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Aggiornato
Mercoledì 19-Feb-2014
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Pare che il Papa abbia dichiarato che in Vaticano vi è una lobby gay. Un po' come dire che in parlamento vi è una lobby eterosessuale. Siccome essere omo o etero non è più o non è ancora un reato, siccome in sé non significa nulla, vorrei che il brav'uomo fosse un po' più onesto e se di lobby vuol parlare, lo facesse per quello che è: una corporazione di pedofili, o di misogini, di trafficoni, reazionari, corrotti e corruttori, degenerati, ecc., senza tirare in ballo l'omosessualità che nulla c'entra col resto. Tuttavia, poiché l’allusione a lui attribuita, peraltro non nuova, mette insieme proprio omosessualità e pedofilia, è bene chiarire subito che l'orientamento dei pedofili è prevalentemente eterosessuale. Dato che intorno a questo tema tutto si fa tranne informazione responsabile, consapevole e corretta, è comprensibile che sia difficile immaginare un maschio eterosessuale interessato ad abusare di un minore del medesimo genere - nondimeno, ciò accade, se ne facciano una ragione gli omofobi. Sono lieta, dopo anni di negazione e oscurantismo, che il nuovo Papa ammetta l'esistenza dei preti pedofili - ma mi piacerebbe che lo facesse badando agli effetti prodotti dalle sue parole, esplicite o sottese. Come il suo predecessore, non è uno sprovveduto, né un ignorante - perciò, se davvero si è espresso come titolano i giornali, l’intento è doloso e colposo: criminalizza l'omosessualità facendone la causa sia della pedofilia, sia dell'associazione a delinquere. A me non importa nulla se una parte di quei preti è anche gay, non è questo che conta o fa la differenza. Quello che mi ripugna e combatto, è l’uso scorretto delle parole che provoca, spesso ad arte, conseguenze nefaste. Al Papa hanno attribuito affermazioni non sue? E’ vittima di una congiura? Può darsi, ma non m’interessa. I giornali approfittano della guerra intestina che si consuma nella chiesa? Può darsi, ma non m’interessa. I giornalisti, i politici e parte del mondo non solo cattolico insinuano o addirittura sostengono pubblicamente che vi sia una lobby gay, accostando fatalmente omosessualità e pedofilia, utilizzando una patologia per stigmatizzare una condizione umana? Beh, sì, questo m’interessa - perché il messaggio che passa accomuna TUTTE le persone non eterosessuali trasformandole in criminali e, in un’epoca dominata da eccessi di semplificazione e superficialità perlopiù dettati dalla malafede, questo può provocare re/azioni sconsiderate che sarebbe meglio contrastare in ogni modo. Nessuna polemica contro il Papa, se egli smentisce di aver parlato di lobby composte da gay pedofili, ma se pure lui, come il precedente, lascia che il venticello (la calunnia, l’insinuazione) faccia il lavoro sporco, beh, allora un po’ di irritazione bisognerà pure manifestarla, e non perché si abbia qualcosa contro il Papa, la chiesa, la fede, i cattolici, ma perché la loro ingerenza ha ricadute pesantissime anche sulla vita di chi cattolico non è. Vi è una parte di umanità che crede in Dio, o meglio, crede nel Dio biblico e nei vangeli, per quanto poco ne sappia e poco o nulla li rispetti. Una specie di credenza per sentito dire, per imitazione e conformismo, che, tuttavia, non ne riduce le conseguenze sul piano personale e collettivo. Non si può credere (o non credere) in quel Dio se non si è cresciuti nel contesto culturale che per convenzione definiamo cattolico, o cristiano. Crescere in tale contesto (e in ogni altro), significa esservi immersi, far parte di un gruppo che ha le sue consuetudini e le sue regole, la sua struttura sociale, le sue gerarchie, propri valori e precetti, dogmi. Definire paternalisticamente “gregge” il gruppo sociale e “pastore” chi lo guida è, quando si parla di comunità cristiane, quanto mai azzeccato. Capita che alcuni soggetti siano totalmente o parzialmente impermeabili ai condizionamenti culturali che l’appartenenza al gruppo comporta. Capita anche che, seppur condizionati, alcuni non vogliano, non possano, non riescano o non sappiano adeguarvisi, riconoscerne l’autorevolezza. Si crea allora una frattura che divide i suoi membri, i quali, anziché vivere e lasciar vivere magari incontrandosi a metà del guado, si mettono pericolosamente (e inutilmente) in contrapposizione. Da una parte vi è una minoranza che non vuole essere espulsa dal corpus sociale, vuole essere accettata e tutelata, dall’altra vi è una maggioranza che ha i numeri per imporsi e lo fa o tenta di farlo, talvolta con ogni mezzo, anche attraverso la coercizione, la demonizzazione, il ricatto e l’inganno, soprattutto rifiutandosi di riconoscere alla controparte medesimi diritti e opportunità. Bisognerebbe, intanto, separare i piani. Un conto sono i diritti civili dei quali devono godere tutti i cittadini, indistintamente, un conto sono i convincimenti soggettivi, le specificità esclusive dei singoli sottogruppi culturali che compongono il corpus sociale nel suo complesso. Nella fattispecie, sulla questione del matrimonio, il problema non dovrebbe porsi perché esiste già una differenziazione riconosciuta giuridicamente che permette alle differenti confessioni di unire le coppie secondo i propri riti, dando agli altri uno strumento analogo e parificato, non ideologico, che è il matrimonio civile. Il vulnus, allora, è tutto nella volontà di discriminare le persone in base al genere e all’orientamento affettivo. La domanda da porsi è questa: è legittimo che le convinzioni di alcuni, sebbene questi siano in numero maggiore rispetto agli altri, possano chiedere, di fatto ottenendo, la limitazione del diritto, travalicandolo e offendendolo? Un sistema che sancisce la laicità dello Stato, libertà di scelta, espressione e autodeterminazione, non dovrebbe permetterlo ed è di questo che dovremmo discutere, più di qualunque altra cosa dovrebbero preoccuparci le conseguenze di una tale macroscopica omissione, ma se confondiamo i piani (diritto e ideologia, laicità e dottrina), si rischia di parlare ognuno per proprio conto, senza riuscire ad intenderci. Io, ad esempio, sono del tutto disinteressata al dibattito teologico e, illudendomi di vivere in un paese laico in cui ognuno ha diritto di cittadinanza, pur apprezzando che questo dibattito vi sia, mi aspetterei di non esservi coinvolta, di non doverne fare le spese. Non credo nel Dio biblico, perciò non faccio parte del gregge cattolico o cristiano. Gradirei che i pastori non pretendessero di riportarmi all’ovile e gradirei che entrambi, pastori e gregge, si occupassero di loro stessi senza tentare di guidare, condizionare la vita e le scelte di chi pensa ed è altro. Non ho nulla da obiettare se i cattolici e i membri delle altre confessioni religiose non intendono riconoscere l’omoaffettività come una delle tante varianti dell’emotività umana, non ho nulla da contestare se vogliono continuare ad escludere dai loro riti le coppie omosessuali, ma non sono disposta a tollerare che le loro opinioni mi offendano, prevalgano sulle mie, limitino la mia libertà, ledano i miei diritti, mettano in pericolo la mia vita e quella delle persone che amo. In quanto non aderente ad alcuna confessione religiosa, devo poter ufficializzare la mia unione con il rito civile, se lo desidero, oppure no, vedendo comunque riconosciute le mie relazioni e la mia esistenza, sul piano umano e giuridico. Le persone LGBT* cattoliche o appartenenti alle altre confessioni religiose, discutano con i loro pastori delle ingiustizie e delle discriminazioni che subiscono nella loro comunità, facciano le loro battaglie in seno ad essa, disquisiscano tra loro quanto vogliono delle guerre fratricide tra prelati, ma la smettano di mescolare i piani, perché non è vero che tutti sono credenti, non è vero che tutti hanno bisogno dell’approvazione del Santo Padre e dei parrocchiani per sentirsi legittimati, non è vero che tutti vogliono sposarsi e non è vero che tutti vogliono farlo in chiesa - soprattutto, non è vero che vi sono gay buoni, “normali”, da santificare, e gay cattivi, “anormali”, da gettare in pasto all’opinione pubblica per distoglierne l’attenzione, per darle qualcun altro contro cui accanirsi. La smettano di sostenere, loro per primi, che vi sono persone meritevoli di rispetto, ascolto e accoglienza perché disposte a tutto pur di conformarsi, ed altre no, perché incapaci o non intenzionate a farlo. Non è additando qualcuno, condannandolo al dileggio e al linciaggio, che otterranno quello che vogliono. Gli esseri umani sono il prodotto della loro storia, degli abusi, dei condizionamenti sociali e culturali che subiscono, e sono proprio le religioni, le ideologie settarie, escludenti, le semplificazioni e i pregiudizi a “inventare” il nemico, a generare i mostri. Vorrei che non lo dimenticassimo, mai.
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