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Aggiornato Venerdì 21-Dic-2012

 

Dopo la cancellazione immotivata dell’Account di Doriana Goracci su Facebook (non è il primo e non sarà l'ultimo caso eclante) ho deciso di tornare sull’argomento.

Lo avevo già fatto l'anno scorso, nel pezzo "FACEBOOK - Il pifferaio magico nell'era di Internet" - scripta manent.

Dunque, leggiucchiando qua e là ho capito che essere “bannati” è facilissimo. I motivi più ricorrenti che potrebbero causare la cancellazione di un Account sono generalmente dovuti ad un uso smodato di alcune funzioni del programma:

1) Eccessive ricerche di amici, parenti, conoscenti, ecc.
2) Superamento del limite giornaliero di richieste di amicizia (non dovrebbero essere più di tre).
3) Eccessiva creazione di Fan Page, gruppi, ecc. all’interno del Network.
4) Esagerata condivisione di Link ed altri contenuti.
5) Abuso della funzionalità "Trova Amici" (consistente nella ricerca attraverso FB dei nominativi presenti nella rubrica del proprio programma di posta elettronica).

Ho usato il condizionale perché la cancellazione del proprio Account in presenza di tali comportamenti non è sempre automatica e spesso non avviene alla prima “infrazione”. Può accadere, oppure no - dipende, forse, dal tipo di azione che si compie e dalla sua frequenza. Compiere azioni statisticamente non conformi attira, forse, l’attenzione sul proprio Account aumentando le possibilità di finire cancellati.

Come già ho avuto modo di scrivere, è impensabile che Facebook abbia sul proprio libro paga eserciti di precari incaricati di controllare i comportamenti e i contenuti introdotti dagli iscritti - perciò deve esservi un programma che espleta tale compito secondo criteri statistici, appunto, contando, analizzando e comparando parole chiave o chissà cosa - e tuttavia, se così fosse, ogni gruppo e profilo delirante o violento (omofobo, razzista, sessita, misogino, ecc.) dovrebbe sparire, invece ciò non accade. Ergo, da qualche parte, qualcuno, fa selezione, decide chi và e chi resta - oppure quel programma è studiato per fare questo tipo di scelte. Diversamente, tanta ingiusta arbitrarietà a senso unico non sarebbe possibile.

Un altro automatismo che espone al rischio di essere bannati è la funzione “Segnala” (questa pagina, questa persona, questa foto, ecc). Facebook trabocca di aspiranti delatori, millantatori e psicopatici compulsivi che sfogano le proprie frustrazioni facendo segnalazioni, molestando, inventando Account di persone o gruppi inesistenti, rubando e clonando identità. Impossibile difendersi, impossibile prevenirli. Chiunque, per capriccio o altri insondabili motivi, può accanirsi contro qualcuno prendendone d’assalto il profilo con l’intento di far più danni possibile. In mancanza di altre definizioni potremmo chiamarlo “vandalismo tecnocratico”. Quindi, dato per vero (ma è lecito dubitarne) che non ci siano persone in carne ed ossa incaricate di esaminare quello che avviene e circola su Facebook, la funzione “Segnala” (cliccata a ripetizione da soli o in compagnia) finisce per essere un’accetta in mano ai deficienti che lo popolano. E le teste rotolano - più o meno a casaccio, senza che vi sia alcuna verifica né, pare, possibilità di riabilitazioni - con grave danno (emotivo e, in taluni casi, persino economico) delle vittime.

D’altronde, non possiamo interagire con gli amici che sono iscritti a Facebook senza creare un nostro profilo, e per attivare un Account siamo a nostra volta costretti ad iscriverci, sottoscrivendo la Policy, accettandone i termini e le condizioni d’uso che sono interamente a detrimento dell’utente: nessun rispetto della Privacy e del Copyright, nessuna tutela, nessuna garanzia, nessun risarcimento, nessun organo di controllo (o servizio clienti) al quale ci si possa rivolgere per ottenere spiegazioni e soddisfazione. Un “contratto” capestro che chiunque, anche il più sfigato o stupido, faticherebbe ad accettare nella vita reale.

E allora una domanda sorge spontanea: perché tante persone con un quoziente intellettivo nella media (quindi in grado di valutarne i rischi) usufruiscono di un Network così lesivo?

Perché è diventato talmente popolare che - se non si ha bisogno di relazioni di buon livello, si ha necessità di mettersi in vetrina, si è predatori o teppisti - non se ne può fare a meno.

La sua illusoria innocuità, la sua disimpegnata, allegra superficialità ed evanescenza, è tale che chiunque ne faccia parte non può sentirsi seriamente minacciato. Poi, però, capita che la nostra privacy sia violata, o qualcuno ci prenda di mira molestandoci pesantemente, o le nostre foto, i nostri scritti finiscano chissà dove nel web, o (secondo criteri e modalità che rimangono oscuri) si venga bannati e allora cominciano le proteste, subito si pensa al complotto, alla censura, ci si crede vittime di qualcuno a cui abbiamo pestato i piedi, qualcuno che ci odia, ce l’ha con noi. Mesi, anni di relazioni, lavoro, produzione e accumulo di materiali, informazioni - tutto in fumo. Se non siamo esperti informatici, se non ne abbiamo conservato una copia, perso - ma non cancellato.

Internet è una risorsa e un’opportunità inestimabile, è uno straordinario amplificatore ed una straordinaria ribalta, virtuale. Tuttavia, non è vero che basta un clic per annullare quello che abbiamo postato, pubblicato, per eliminare quello che ci disturba, ci contraddice o minaccia - le conseguenze del nostro metterci in gioco, della nostra sovra/esposizione, sono sempre durature, tracciabili, e sempre hanno ricadute reali, tangibili, talvolta drammatiche sulla nostra vita.

Il vero, grande problema, è che usiamo il Web ignorandone o sottovalutandone rischi e potenzialità. I comportamenti inconsapevoli o irresponsabili ne determinano i limiti e da tempo sono presi a pretesto per invocare restrizioni legislative che lo imbriglino, assoggettino definitivamente.

Non penso che occorra farlo. Ci imbrigliamo e assoggettiamo benissimo da soli. E non è nemmeno vero che il Web è terra di nessuno, senza regole, governo, padroni. Qui, come nella vita reale, imperversa e vince il più idiota, il più furbo, il più ricco e potente, non il più probo. Facebook non fa eccezione.

 

 

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