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Aggiornato
Sabato 22-Dic-2012
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Circola in rete la lettera aperta intitolata “We Have No Budget for Photos” (vedi l'articolo), di Tony Sleep, un fotografo professionista che se la prende con la pretesa degli editori di usufruire dei materiali fotografici a costo zero. In questo post, Sleep, se la prende anche con i fotografi dilettanti i quali, nell’illusione di farsi pubblicità o per pura vanità, accettano di lavorare gratuitamente, con ciò rovinando il mercato, la propria carriera e, quel che è peggio, la carriera dei professionisti che hanno fatto della fotografia un mestiere. La lettera è durissima e assolutamente condivisibile, se letta dal suo punto di vista. Non fa una piega, ma forse vale la pena di chiedersi perché la fotografia non sia considerata un'arte, o perché, più in generale, se si vuole fare arte, esprimersi in modo creativo rendendo partecipi gli altri, lo si debba fare a proprie spese e gratis (e talvolta neanche basta per ottenere un minimo di considerazione, spazi di visibilità). Se potessi rivolgermi a lui, direttamente, gli direi che ho 48 anni e non ho passato un solo giorno della mia vita senza fare arte. Gli direi che faccio arte anche quando restauro, imbianco, decoro. Faccio arte anche quando riparo gli oggetti. Ho acquisito tali e tante competenze da far impallidire fior di professionisti, in svariati campi, eppure, mai, questo mi ha dato forme di guadagno adeguate e continuative. Non per mia volontà, ma perché semplicemente il talento, il genio, non sono considerati valori aggiunti degni di protezione, valorizzazione, di riconoscimento e remunerazione. Tutt'altro. Poiché la creatività offende chi non ce l'ha e, spesso, i temperamenti creativi sono anche i più riottosi, poco o nulla controllabili, la tendenza è ad isolarli, renderli inoffensivi e irrilevanti. Il sistema, questa cultura, forma soldati, ci vuole formiche - qualunque difformità è percepita come un fastidio o, peggio, una minaccia. Quando non la si può eliminare, si può almeno ignorarla, fingere che non esista. E allora l’artista, il genio, a poco a poco si spenge, o impara a fare da solo, nell’ombra, per se stesso o poco più. Il mondo va avanti ugualmente. Conforme e scialbo - con gran soddisfazione dei mediocri e delle nullità. Se potessi rivolgermi a lui, direttamente, gli direi che fra tanti fotografi con partita IVA e tanti senza, c’è un piccolo esercito di poeti così malmessi che nemmeno gli amici gli chiedono le foto, così prossimi alla morte civile (o già sepolti, probabilmente) da non avere neppure il diritto di partecipare alla sua ineccepibile guerra tra poveri. Posso io, possiamo noi - i reietti, i dilettanti dello stare al mondo, soprattutto -, rinunciare a vivere seppur viventi? Condannarci al silenzio, smettere d’esprimerci, per non dispiacere chi - più adeguato e quindi benaccetto - può gloriarsi del titolo di professionista? E non sarà che se anche lui fatica ad arrivare alla fine del mese, non è per colpa nostra ma, piuttosto, di quel bel mondino del quale fa o vorrebbe far parte e dal quale gli invisibili, i condannati all’inesistenza, sono completamente esclusi? La critica, durissima, sussisterebbe se gli editori riconoscessero alla fotografia un valore commerciale ineludibile, includendola perciò nel proprio budget di spesa? No, certo. Forse rimarrebbe il fastidio verso chi è disposto a lavorare gratis, ma niente di più. Nella difesa dei propri privilegi o delle prelazioni alle quali si ritiene di avere diritto, si realizza, a partire dalle inezie, il progetto criminale di una società classista e discriminatoria.
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