“Andiamo
ad occupare il Comune, vieni anche tu?”
A
giudicare dall’eccitazione generale avrei giurato si fosse in cento,
ma quando mi trovai nell’anticamera del Sindaco e cominciai a contare
i presenti, questa convinzione si dimostrò infondata: eravamo non
più di una quindicina - ciò nonostante l’idea di battere
i piedi in quel bel palazzone mi sorrideva e decisi di rimanere.
Così
mi misi a sedere insieme agli altri attendendo l’improbabile colloquio
con il Sindaco.
L’usciere
passeggiava avanti e indietro sogghignando ogni volta che ci voltava le
spalle giacché noi, decisi com’eravamo ad andare sino in
fondo alla faccenda, ci mostravamo sempre più irremovibili ad ogni
suo tentativo di scoraggiarci.
“Vogliamo
parlare col Sindaco!”
“E’ l’ora di farla finita!”
“Noi giovani non sappiamo che farcene delle promesse!”
“Vogliamo uno spazio da autogestire!”
L’usciere,
sempre meno sogghignante e paziente, tornava a ripetere quanto detto in
precedenza: “Il Signor Sindaco non c’è... Tornatevene
a casa… Senza appuntamento non può mica ricevervi…”.
Verso
le due, due e mezza del pomeriggio, l’ora in cui il Comune chiude
i battenti, eravamo rimasti in cinque o sei, ma ben armati!: cartoncino
bristol, pennarelloni colorati, rotoli di scotch… in breve i primi
manifesti furono pronti per essere attaccati nelle vie del centro. Pressappoco
dicevano: “Stiamo occupando il comune… bla, bla, bla…
aderite in massa!”. Riuscimmo persino ad organizzare i rifornimenti
di derrate, mentre l’usciere cominciava ad innervosirsi oltremisura:
“Ragazzi, io sono buono e caro, ma ora andate a casa, sennò
chiamo la polizia”. Difatti: le forze dell’ordine (n. 2 Vigili
Urbani) sopraggiunsero con la consueta rapidità e c’intimarono
di abbandonare ogni proposito bellico, per quanto chiare fossero le nostre
posizioni pacifiste (stavamo seduti in terra a scrivere gli ultimi manifesti).
I tutori dell’ordine presero nota delle nostre generalità,
inaugurando una delle consuetudini destinate ad avere maggiore successo
nei rapporti fra il futuro Mercatino e l’indigena società
civile; poi, a sbloccare la situazione, apparve il Vicesindaco Licheri,
che rinnovò le vecchie promesse e ci persuase ad andarcene di nostra
spontanea volontà, sollevando i due imbarazzati Vigili Urbani dall’increscioso
quanto probabile compito di buttarci fuori a calci nel culo.
Era
il 7 Agosto del 1981 e faceva molto caldo.
Così
mi avvicinai per la prima volta concretamente al Mercatino dei Libri di
Testo Usati, la cui storia era iniziata cinque anni prima e si era snodata
tra vicissitudini travagliate, sedi fantasma e, per finire, boicottaggi
mercantili da parte delle librerie che temevano “concorrenze sleali”.
A
quel tempo avevo uno Studio Grafico in Via Fontana. Ben presto divenne
il magazzino dei libri di testo usati, fra lo sgomento degli organizzatori
che rischiavano di vedere ammuffire ogni cosa in quella specie di cantina
galleggiante.
Fortunatamente
di lì a poco, il 13 Agosto, arrivò la grande notizia: grazie
all’interessamento del Vicesindaco il Mercatino avrebbe potuto disporre
di una sistemazione provvisoria sino al 15 Novembre presso lo stabile
in attesa di ulteriori interventi di ristrutturazione e destinato ad ospitare
il Consiglio di Circoscrizione n. 1, in Via S. Andrea 33 (ex Filocaristiche
- ?!).
Si trattava di quella che sarebbe divenuta la sede storica del Mercatino,
un grande palazzo di quattro piani (più cantina e soffitta pericolanti)
così composto…
-
piano terra rialzato: un atrio di passaggio e annessa stanzina;
- piano 1°: cinque stanze cinque, una di passaggio e una toilette
con acqua calda, il tutto perfettamente agibile, imbiancato e relativamente
pulito; due larghi corridoi con ampissime porte e finestre a vitrage e
un teatro con palco (completo di sipario, quinte, soppalco con camerini,
ecc.), pericolante ma facilmente ristrutturabile;
- piano 2° e 3°: varie stanzine e stanzette inagibili, abbandonate
a loro stesse come tutto il resto.
A
noi, ovviamente, toccò il piano terra rialzato (atrio di passaggio
+ stanzina senza servizi igienici) che fu immediatamente battezzato “lo
stallino”. Comunque questa sistemazione provvisoria era meglio di
niente; oltretutto si vociferava di una possibile sede definitiva a Villa
Bottini (altra croce e delizia dei movimenti giovanili lucchesi)!
Il
24 Agosto, il Mercatino iniziò le sue attività legate allo
scambio di libri di testo usati, un servizio utilissimo del quale, è
bene chiarirlo una volta per tutte, nessuno si è mai servito a
scopo di lucro. Fatto sta che nelle librerie fu registrato un calo del
volume di affari pari al 2% (?!) - cifra destinata a salire col tempo,
di pari passo con l’iperansietà dei nostrani bottegai. Inoltre
partirono le prime iniziative culturali che avrebbero dovuto trasformare
il Mercatino in un centro di riferimento per la vita giovanile lucchese:
proiezione di superotto, cartoni animati, film, audiovisivi, diapositive;
attività psicomotorie; nacque un gruppo di animazione per ragazzi
che s’impegnò a svolgere un interessante lavoro pedagogico
servendosi dei burattini; si formò un gruppo teatrale (il futuro
“Mercatino degli oggetti perduti”) che si dilettava nella
produzione d’improvvisazioni caotiche ma piuttosto efficaci, e tante
altre cose. In seguito a quest’enorme e vitale incremento delle
iniziative, chiedemmo di poter utilizzare alcune stanze dell’intoccabile
primo piano, che (seguendo la sorte di gran parte dell’ingente patrimonio
edilizio cittadino, se ne stavano marcendo in un tetro ed incomprensibile
abbandono.
Non
l’avessimo mai fatto!
Di
lì a poco si scatenò un vero putiferio e il Mercatino divenne
un “caso di rilevante portata sociopolitica”: tutti ne parlavano
ma nessuno lo voleva. L’opinione pubblica si divise nei consueti
tre settori: a destra “sono tutti finocchi, puttane e drogati”;
al centro “poverini, sono solo dei nostalgici sessantottini”;
a sinistra “bravi ragazzi, purché se ne stiano per conto
loro”! Le forze politiche s’industriarono a dar veste ideologica
a queste pubbliche opinioni, mentre le Istituzioni, ovviamente, pensavano
a ben altre strategie: il Presidente della Circoscrizione n. 1, tale Giovanetti,
dichiarò pubblicamente che, reduce dalle vacanze estive, aveva
sorprendentemente trovato l’atrio del palazzo (quello che, stando
alle sue affermazioni, sarebbe dovuto diventare il suo Ufficio –
quasi che questo signore ne fosse l’Usciere e non il Presidente!)
occupato da alcuni strani ragazzi, onde per cui, non essendo stato informato
della concessione (e per pura ripicca verso l’amministrazione comunale
ed il Vicesindaco Licheri) si vedeva costretto a rifiutare la chiave di
detto stabile, intimando poi in altre sedi “Niente Circoscrizione
se c’è il Mercatino!”.
Assistemmo ad una girandola di bizze e paradossi. Ci dissero: “Ci
sono poche stanze e manca il telefono” (!). Il socialista Bachi
ci confidò che nel Consiglio c’era una gran “baraonda”
e il suo partito accusò la stampa di aver strumentalizzato e falsato
le loro affermazioni. I comunisti accusarono i consiglieri DC di tenere
comportamenti diversi a seconda delle correnti che si venivano a creare
nei confronti degli stessi amministratori comunali democristiani, causando,
di fatto, nella circoscrizione la paralisi amministrativa (il che, per
quanto ci riguardava, corrispondeva abbastanza a verità). Il DC
Sebastiani apostrofò provocatoriamente il socialista Bachi sulla
“questione giovani” (?). Il capogruppo DC Siclari affermò,
a titolo beninteso personale, che il Vicesindaco, ricostruita in altre
sedi tutta la vicenda, aveva sostenuto che gli sembrava di ricordare che
vi fosse stata una specie di consenso della Circoscrizione allorché
quest’ultima fu informata della proposta fatta al Mercatino e concernente
l’uso temporaneo del piano terra rialzato delle ex Filocaristiche,
la cosa che più lo sconcertava, però, era costatare improvvisi
afflati d’amore verso i giovani, allorché, scorrendo i verbali
delle riunioni, s’imbatteva in frasi del tipo: “Quando si
tratterà di buttarli fuori, chi si prenderà la briga di
farlo?”. Il Presidente della Circoscrizione, il solito Giovanetti,
infuriato rispose a questa domanda dando le dimissioni e ciò, come
sempre avviene in politica, sortì il prodigioso effetto di risanare
i rapporti e ricreare gli equilibri interni tra le opposte fazioni e alla
fine anche all’esterno tutto tornò più o meno come
prima. Fu dunque ribadita la tautologica posizione iniziale: il Consiglio
di Circoscrizione prenderà possesso della nuova sede, rimanendone
provvisoriamente sprovvisto, quando detta sede sarà libera…
La
tempesta partitico-burocratica che si era scatenata intorno al Mercatino
non aveva comunque fermato il normale svolgimento delle attività
ed anzi, approfittando di questa improvvisa e insperata notorietà,
ne avviò altre: corsi di kung-fu e yoga, corsi di flauto, chitarra,
fotografia e…
Il
Mercatino stava effettivamente aggregando un gran numero di persone ed
energie, stava divenendo una realtà propositiva, forte ed anche
pressante, ma il 15 Novembre era vicino - occorreva trovare al più
presto una soluzione capace di soddisfare questa rinnovata vitalità
e siccome alla mezzanotte del 14 nessuno ci aveva ancora offerto uno straccio
di alternativa, l’indomani ci rifiutammo energicamente di abbandonare
lo “stallino”.
Indicemmo
una petizione popolare e raccogliemmo ben 1.500 firme a favore dell’esistenza
del Mercatino - in una città conservatrice come Lucca e considerata
la scarsa visibilità e credibilità di cui godevamo, non
era poco.
Il
6 Dicembre organizzammo uno sciopero generale degli studenti contro lo
sfratto del Mercatino, vi aderirono più di 500 ragazzi delle Scuole
Medie Superiori (ottima cifra in tempi di riflusso!), mentre bene o male
l’80% degli studenti non si recò alle lezioni. Quel giorno
il Gruppo Teatrale esordì con una performance mimico-cabarettistica
che coinvolse ed entusiasmò i presenti grazie alla sua semplicità
ed immediatezza. Quella performance, interamente improvvisata, diventò
poi uno spettacolo vero e proprio, il cavallo di battaglia del Gruppo
Teatrale e del quale avrei interpretato il ruolo principale… il
Mercatino.
In
seguito alla manifestazione, il Comune s’impegnò a dare una
risposta concreta entro la fine dell’anno, mentre, sul piano concreto,
si guardò bene dal proporre una qualche soluzione alla necessità
di disporre immediatamente di altri spazi, anche provvisori, in cui svolgere
le nostre attività.
Nel
Gennaio del 1982 chiesi e ottenni (con molte riserve) uno spazio all’interno
del Mercatino per allestire un Laboratorio Artistico del quale sarei stata
la coordinatrice, ma preparai un programma di lavoro troppo ardito per
le mie sole forze e dopo qualche iniziativa, praticamente cessò
di esistere.
Il
9 e il 23 Gennaio andò in scena lo spettacolo “Vita, morte
e miracoli di un Mercatino qualsiasi”, nato dalla performance del
trascorso 6 Dicembre e in occasione del debutto si costituì ufficialmente
il Gruppo Teatrale, assumendo la denominazione di “Mercatino degli
oggetti perduti”.
A
Febbraio riuscii ad inserire nel palinsesto di Radio Città (gloriosa
emittente privata ormai estinta) il “Notiziario del Mercatino”.
Andavo in onda due volte alla settimana e trasmettevo ogni informazione
che riguardasse il nostro Centro. M’impegnai personalmente affinché
questo spazio non restasse fine a se stesso. Ero convinta che attraverso
il mezzo radiofonico avremmo potuto gettare un ponte fra noi ed altre
realtà isolate e “invisibili” come la nostra, fra noi
e gli altri gruppi d’aggregazione disseminati sul territorio. Ero
anche certa che se avessimo promosso le nostre iniziative ed avessimo
dato di noi un’immagine più credibile, avremmo sicuramente
ottenuto appoggi concreti e forse risolutivi.
Pensavo che fosse necessaria una decisa apertura verso l’esterno,
che dovevamo smetterla di arroccarci su questioni meramente difensive,
ma fu allora che cominciai ad avvertire quelle inconsulte diffidenze che
sempre segnano la fine di tutte le belle storie collettive: non fui né
aiutata né compresa - e meno ancora lo sarei stata in futuro. Così,
tutto sommato, non fui dispiaciuta quando dovetti abbandonare i miei propositi
a causa della chiusura definitiva di Radio Città, semmai amareggiata.
Per la prima volta mi rendevo conto di alcune contraddizioni interne al
Mercatino; battendoci la testa contro, ne stavo comprendendo la pericolosità
ed avevo ormai capito che, a lungo andare, esse avrebbero allignato tra
noi, guastando irreversibilmente la nostra armonia. Non potei fare niente
e nemmeno si aprì una seria discussione: a quanto pareva, ero l’unica
ad avvertire l’esistenza di questo problema.
Ma
ecco che fummo illuminati da un ultimo collettivo lampo di genio: “qui
lo spazio c’è, ragazzi, basta prenderselo!” e infrante
le barriere della legalità, salimmo al primo piano e (con grande
scoramento della Circoscrizione) prendemmo possesso dell’intero
edificio.
Il
27 Febbraio demmo una festa per celebrare adeguatamente l’occupazione
ufficiosa.
Poter
usare il teatrino - che meraviglia fu! Ci debuttammo quella sera stessa
con uno spettacolo di cabaret, nel salone facemmo una cena luculliana,
c’era la musica, il vino e tanta, tanta gente felice di essere lì
- era splendido! Slogan della festa: “SE HAI IL MORALE A TERRA,
PROVA ALMENO A SALIRE AL PRIMO PIANO”. Quella stessa notte un raid
vandalico si scatenò per le vie del centro adiacenti il Mercatino:
ad ognuno di noi venne il fondato sospetto che in seguito all’occupazione
vi fosse stato un tentativo (comunque fallito) di criminalizzare pesantemente
la nostra esperienza. Comunque l’unico risultato che i sedicenti
vandali ottennero fu un ulteriore inasprimento dei rapporti con il vicinato.
A
scatenare l’ennesimo putiferio (evidentemente chi di dovere si sentiva
adesso in grado di trarne decisi vantaggi…) fu l’intervento
della Polizia: il 25 Marzo, senza preavviso e senza complimenti, alcuni
agenti misero un bel lucchetto al cancello delle scale impedendoci così
l’accesso al primo piano dello stabile.
La
Giunta Comunale fu accusata da più parti di non avere volontà
politica (non gliene importava nulla di onorare gli impegni assunti, ma
questo era evidente già da un pezzo) e noi tutti guardammo con
giustificato disprezzo il Presidente della Circoscrizione (nonostante
le dimissioni, si trattava ancora del suddetto Giovanetti) che, poco prima
dell’intervento della Polizia, aveva riconosciuto pubblicamente
il valore positivo delle iniziative intraprese dal Mercatino ma contemporaneamente
continuava a fare pressioni “in alto loco” affinché
lo stabile di Via S. Andrea fosse sgombrato dalla nostra cicalante presenza
per far posto al suo scricchiolante scranno.
La
parola d’ordine di quei giorni fu: “DAL COMUNE MAI UNA GIOIA”
- ma i rinnovati problemi che giungevano dall’esterno ci avevano
almeno rafforzato all’interno, perciò proponemmo, con molta
pacatezza, alcune alternative alla sede dalla quale saremmo stati sfrattati
comunque, basandoci su di una scelta precisa fatta tra gli immobili sfitti
di proprietà comunale: ma da quell’orecchio…
I
rapporti con la Giunta divennero insostenibili e in quella situazione
la cosa che più colpì, scandalizzò e indispose la
cittadinanza fu la presenza al Mercatino di tre giovani che al primo piano
dormivano nel sacco a pelo… visto che una di quei tre ero io, posso
garantire a nome anche degli altri che ciò scandalizzava persino
noi giacché avremmo certamente preferito un bel lettone grande
grande, e magari un po’ di riscaldamento! Possibile che a nessuno
venisse in mente che se quei tre “drogati” avevano trovato
un posto dove dormire lo dovevano solo al Mercatino e non certo all’interessamento
della Giunta Comunale? Buon senso ed ironia a parte, la conclusione fu
che ci ritrovammo sulla strada - come prima dell’occupazione, del
resto.
Ho
vissuto molti mesi al Mercatino e ancora oggi non posso fare a meno di
essergli riconoscente. Fu un atto generoso e coraggioso dare ospitalità
a chi ne aveva bisogno perché, nonostante fosse evidente che questo
avrebbe causato non pochi problemi, a tutti parve che non si potesse decidere
altrimenti: il Mercatino era o non era (allora…) un vero Centro
Sociale e Culturale Permanente AUTOGESTITO?!
Grazie
all’azione/blitz del 25 Marzo, alcune attività dovettero
essere sospese, altre si alternarono nell’unica stanzina utilizzabile
- insomma, rispondemmo con la “sopravvivenza”: dibattiti,
conferenze e continui improduttivi incontri con i rappresentanti del Comune.
I
danni che avevamo subito erano facilmente quantificabili: su 76 iscritti
a quella decina di corsi che faticosamente tenevamo in piedi, solo una
trentina continuarono a frequentarli.
Il
3 Aprile organizzammo un’altra manifestazione. Anche quel giorno
gli studenti che vi parteciparono furono molti e una delegazione del Mercatino,
composta prevalentemente da studenti, fu ricevuta dalle autorità.
Il Primo Cittadino, il dottor Mauro Favilla, se ne uscì con un’affermazione
tanto inquietante quanto illuminante: “Io ho la piena potestà
d’imperio”… Le polemiche si estesero a macchia d’olio.
I dissidi e le contraddizioni tornarono a galla ingigantiti. Giunta Comunale
e Circoscrizione continuarono nella loro silenziosa, inappellabile latitanza.
Quello
stesso mese, preso il coraggio a quattro mani, rioccupammo il primo piano
e cercammo di ripristinare i corsi e le attività interrotte. Non
avevamo altra scelta: accettare l’emarginazione alla quale ci stavano
costringendo, subire l’indifferenza e progressivamente rassegnarsi,
di fatto significava arrendersi, vanificare nove mesi di lotte e impegno
quotidiano.
Nel
giro di due mesi riuscimmo ad intensificare le iniziative: concerti rock,
incontri di poesia, spettacoli di burattini e animazione per ragazzi,
nelle piazze, nelle scuole, ovunque fosse possibile. Parallelamente promuovemmo
una campagna di sensibilizzazione pubblica attraverso la stampa. Fummo
persino appoggiati da alcune forze politiche finalmente uscite allo scoperto
e in questo si distinse la CGIL che ci dette qualche buon aiuto. Nacque
un giornalino a fumetti, “Terra di nessuno”; nacquero altri
corsi: uno d’informazione sulle energie alternative, uno sull’alimentazione
naturale e uno di scacchi. Istituimmo, inoltre, un Centro di Documentazione
riguardante le vicende del Mercatino ed una biblioteca… insomma,
un gran minestrone!
Lo
scopo di tanto lavoro svolto in così breve tempo, era quello di
scoraggiare qualunque altro attacco radicale nei nostri confronti; ritenevamo
infatti che se avessimo conquistato le simpatie dell’opinione pubblica
attraverso l’utilità e la varietà delle nostre iniziative,
ogni altra azione biecamente repressiva avrebbe compromesso le autorità
mandatarie agli occhi dell’elettorato. E’ vero che prendemmo
in considerazione il fatto che l’elettorato lucchese era ed è,
nella migliore delle ipotesi, in gran parte democristiano o fascista e
che, in quanto tale, sarebbe rimasto del tutto indifferente anche se ci
avessero impiccati in Piazza S. Martino, e che i 1500 dichiarati simpatizzanti
del Mercatino non costituivano certo un appoggio plebiscitario ne potevano
essere intesi come un valido deterrente, ma ci parve impensabile che di
fronte a un movimento così ampio e costruttivo qualcuno avrebbe
trovato il coraggio e le motivazioni per giustificare mosse tanto azzardate,
poco “democratiche” o “cristiane” nei nostri confronti…
Come
al solito peccammo d’ingenuità e presunzione. Qualunque cosa
avessimo pensato e di qualsiasi cosa fossimo convinti, la scelta fatta
dal Comune fu comunque ancora una volta assolutamente scontata: attraverso
l’eliminazione del Mercatino l’autorità si sarebbe
riaffermata e, quindi, chi l’avesse esercitata avrebbe attratto
più consensi che dissensi. (Gli elettori così detti moderati,
la maggioranza, traggono dalle dimostrazioni di forza una specie di godimento
perverso, una soffusa, riempitiva, rassicurante illusione di tutela -
poco importa se qualcuno dovrà farne le spese e poi, a guardar
bene, le minoranze a qualcosa devono pur servire… E’ opinione
comune che questa sia democrazia.)
Così
il 17 Giugno un certo dottor Di Grazia, fiancheggiato dalla Polizia, venne
a cambiare la serratura del portone d’ingresso allo stabile destinato
alla Circoscrizione, credendo perciò di rientrarne in possesso…
Fallace speranza, giacché ci facemmo chiudere dentro!
Con
quanta soddisfazione il suddetto dottore provvide al cambio della serratura,
ma che bile dovette ingoiare quando fu costretto a chiuderci la porta
in faccia, sì, ma… dal di fuori (cosa alla quale i funzionari
amministrativi non sono proprio abituati)! E posso solo immaginare l’imbarazzo
e la rabbia quando gli si profilò evidente la necessità
di dover rispondere di persona al Sindaco dell’ennesimo fallimento…
di grazia, signor Di Grazia, che figuraccia!
Ecco,
ripensandoci devo ammettere che all’epoca qualche soddisfazioncella
me la presi.
In
quei giorni molta gente si mangiò il fegato a morsi in un turbine
di ventilati provvedimenti penali ed obbligatorie giustificazioni pubbliche.
Era la prima volta che occupavamo veramente e ufficialmente i locali di
Via S. Andrea; ci eravamo messi in rotta di collisione con le istituzioni
e le autorità e sulle ulteriori decisioni del Mercatino gravava
il peso delle minacciate denunce - peso che cominciò a schiacciare
un po’ di gente. Si venne così a creare una “divisione”
interna caratterizzata da tre correnti: i “guerrafondai”,
decisi a battersi sino all’ultimo sangue, non solo metaforicamente
(tuttavia la maggior parte di loro, nell’improbabile eventualità
di uno scontro frontale, avrebbero lasciato ad altri il compito di farsi
massacrare); gli “obiettori di coscienza”, dubbiosi sul da
farsi ma decisi a non diventare né eroi né martiri; le “banderuole”,
quelli che, spesso nell’ombra, sostenevano gli uni o gli altri senza
dare troppo nell’occhio e che ben presto si rivelarono decisivi
per far sorgere una definitiva maggioranza che provvide a denunziare la
presenza di pericolose zavorre all’interno del Mercatino. Ebbene,
queste zavorre erano pochi individui che si opponevano strenuamente sia
alla maggioranza che alla minoranza, esseri multiformi e pericolosissimi
perché capaci di ingenerare nuovi dubbi a causa dei quali i precari
“equilibri” interni si sarebbero alterati a discapito dell’ordine
e dell’attivismo. Fra quelle tre o quattro persone, come il Lettore
avrà facilmente intuito, c’ero io - non di meno dovevamo
essere individuati e neutralizzati, al più presto! Iniziò,
dunque, la Caccia alle Streghe.
Sul
fronte esterno, intanto, tutto era tornato più o meno come prima,
fatta eccezione per alcuni piccoli, ripetitivi e quindi fastidiosi dettagli:
il solito Di Grazia, sempre più verde di bile, aveva preso la sciocca
abitudine di venirci a far visita tutte le mattine per cogliere sul fatto
qualche drogato che avesse trascorso la notte al Mercatino (a quel tempo
era piuttosto diffusa l’opinione che al calar della sera il Mercatino
si trasformasse in una specie di caravanserraglio ove gli astanti potevano
dar libero sfogo ad ogni sorta di depravazione e vizio: il vicinato, il
Consiglio di Circoscrizione e la Giunta Comunale, infatti, cominciarono
a vedere gente ignuda e sovraeccitata, siringoni galattici e maniaci sessuali
ovunque)! A causa di quell’insignificante problemuccio (che, invero,
funzionò da cartina di tornasole per la labilità psicologica
di parecchie persone) si scatenò un’accesissima polemica
che indusse i tre pernottatori a non usufruire più del Mercatino
come privato recapito… Fortunatamente io partî per una tournée
teatrale.
A
settembre tornai agguerrita e ben decisa a mettere le cose in chiaro.
Elaborai una proposta attraverso la quale intendevo raggiungere due obiettivi
precisi: stendere un velo pietoso sulle beghe interne e riqualificare
il Mercatino. Chiesi di rinunciare, senza farsi prendere da afflati nostalgici
ed inutili dubbi esistenziali, a tutte quelle iniziative fondate sullo
spontaneismo e sul dilettantismo ad ogni costo che, se nei primi tempi
avevano favorito l’aggregazione e ispirato simpatia nell’opinione
pubblica, ora erano divenuti anacronistici, addirittura irritanti e controproducenti.
Occorreva, a mio parere, offrire qualcosa di più delle solite battutine
elargite dai promotori del Gruppo Teatrale, qualcosa di più costruttivo
delle riunioni in cui erano sempre le stesse persone a parlare, persone
che dicevano sempre le stesse cose usando sempre la stessa terminologia,
gli stessi slogan. Erano sorte esigenze diverse: chi veniva al Mercatino
si era stancato di perdere tempo, voleva un po’ di qualità,
voleva tornare a casa con la sensazione di aver fatto qualcosa per cui
valeva la pena impegnarsi; chi avrebbe potuto sostenerci si aspettava
da noi una concretezza maggiore, una progettualità in crescita,
una sincera volontà di apertura e confronto… Attraverso il
Mercatino si sarebbe potuta esprimere liberamente la ricchezza dell’“altra”
cultura, ma era necessario che lo scopo da raggiungere fosse questo e
non accontentarsi di un agglomerato di detriti esteriormente culturali,
vivacchiare su noi stessi, sulle velleitarie mediocrità degli egocentrici
di turno. Non mi sarei mai battuta a favore del “professionismo”
(e i soldi chi ce li dava?), ne pretendevo di alterare la natura stessa
del Mercatino, tuttavia era necessario dare un segnale di rinnovamento,
dimostrare che dopo sette anni eravamo quantomeno capaci di farlo. Se
vedevamo da mesi le solite facce, non era certo perché mancava
lo spazio fisico o perché il Comune aveva terrorizzato le persone
con i suoi blitz! Ma per la maggioranza le responsabilità erano
tutte esterne - fui accusata più o meno velatamente di essere una
disfattista e poiché era ormai evidente che una di quelle “zavorre”
di cui avevano tanto parlato/sparlato ero io, a poco a poco cominciarono
ad isolarmi.
Ciò
nonostante decisi di continuare a lavorare ai miei progetti. Credevo in
quello che pensavo ed ero davvero convinta che prima o poi sarei riuscita
a dimostrargli le mie ragioni - ero una ragazzina saccente e tanto, tanto
presuntuosa. Forte della formale, esteriore tolleranza dell’assemblea,
pretesi ed ottenni lo spazio che mi occorreva. Organizzai una mostra collettiva
alla quale ebbi la pessima idea di partecipare personalmente con alcune
tele. Ebbe un discreto successo, tanto che decisi di procrastinarne la
chiusura - successe il finimondo: fu convocata una riunione, mi accusarono
di opportunismo, processarono le mie intenzioni, le mie passioni, saltarono
fuori questioni di ordine strettamente personale (alle quali, peraltro,
mi sentivo ormai del tutto estranea) ed anche queste furono messe in discussione
- il risentimento esplose in un’aggressione verbale vera e propria.
Ebbi la netta sensazione di trovarmi di fronte ad un fenomeno di impazzimento
generale, di isteria collettiva e forse proprio per questo sentî
che il mio contributo all’esperienza del Mercatino non aveva più
molto senso. Rimanevano i rapporti personali e la speranza che magari
all’ultimo minuto qualcosa sarebbe cambiato.
La
Circoscrizione sapeva che dopo il fatidico 17 Giugno avevamo rioccupato
lo stabile, ma saggiamente preferì ignorare l’accaduto onde
evitare di alimentare un fuoco che, ormai a corto di legna, si stava spengendo
da solo. Così, il 16 Ottobre, senza alcun preavviso si insediò
armi e bagagli e senza colpo ferire, nei locali del primo piano. Silenziosi
prendemmo la nostra roba e tornammo nello stallino.
Per
la maggioranza, comunque, l’avevamo spuntata noi giacché
alla fine la Circoscrizione aveva dovuto accettare la convivenza - ma
non era quello che voleva la Giunta sin dall’inizio? Non era quello
contro cui avevamo lottato consapevoli che qualunque compromesso ci avrebbe
precluso ogni autonomia progettuale? Senza dubbio chi aveva fatto tutto
quel baccano solo per guadagnarsi un po’ di visibilità, per
ottenere una stanza dove poter chiacchierare, lanciare proclami e vendere
libri, aveva ragione a sentirsi soddisfatto, oltretutto gli avrebbero
permesso di continuare a battere i piedi - non era poco!
Il
18 Ottobre organizzammo un’altra manifestazione in favore del Mercatino,
ma l’affluenza e l’interesse per l’avvenimento furono
alquanto deludenti.
Le
contraddizioni e le controversie personali affliggevano da tempo il Mercatino
e ne condizionavano il comportamento sociale. Totalmente consapevole del
suo precario stato di salute, elaborai un je accuse dal titolo
“Leaders e gregari, ovvero: lupi e pecoroni” nel quale riprendevo
sul vivo alcune tematiche già esposte nel presente articolo e che
circolò “clandestinamente” nel ristretto giro degli
amici fidati (posso constatare un istruttivo paradosso: quel documento,
allora aborrito con sdegno e sarcasmo, fu in seguito largamente condiviso
e la validità delle mie critiche e teorie - peraltro parzialmente
riprese dai “leaders”! - divennero un dato acquisito). Fu
un moto di ribellione, l’ennesimo tentativo da parte mia di risvegliare
le coscienze, di scuotere, di far capire che certi comportamenti avvallavano
le strategie suicide dei “politicizzati” - fallace speranza,
la mia posizione già tanto precaria s’insabbiò fra
nuovi stati d’ansia e vecchie diffidenze. I rapporti, già
tesi, si esasperarono ulteriormente causando (come peraltro avevo auspicato)
la tanto attesa “frattura interna” allorché, durante
un’assemblea, leaders e gregari si sbranarono a vicenda attribuendosi
gli uni agli altri le responsabilità morali dei vari errori politici
e dei malumori personali. Dal canto mio, potei constatare con soddisfazione
che finalmente, e per un puro fenomeno di congestione mentale collettiva,
il marcio stava venendo a galla.
In
quei giorni il Mercatino esalò il suo ultimo, patetico e lugubre
respiro: una ventina di vecchietti rincitrulliti e una decina di pischelli
psicopatici avevano pensato di commemorare nella chiesa di San Michele
in Foro, il centenario della nascita di un certo Cavalier Benito Mussolini.
Il Mercatino pensò di doversi fare portavoce di chissà quale
indignazione civile nei confronti di questa riesumazione di cadaveri,
non riuscendo a far altro che dare, a sua volta, pubblico spettacolo di
necrofilia ideologica e rimediare qualche randellata dalle ringalluzzite
forze dell’ordine…
Archiviai
il “caso” Mercatino con le
scattate quel 25 Aprile del 1983!
Se è vero che esiste il tempo e il luogo giusto per l’inizio
e la fine di ogni cosa, Via S. Andrea fu quel luogo per ben due volte:
la prima “morte apparente” si verificò quando decise
di abbandonare spontaneamente l’Ex Filocaristiche per occupare uno
stabile diroccato in Via Galli Tassi; la seconda morte, stavolta constata
dai medici legali della storia, si ebbe quando decise di… tornare
in Via S. Andrea, con tanto di riconoscimento del Comune di Lucca, per
prendere possesso di una nuova, grande e bella sede definitiva poco distante
dagli uffici della Circoscrizione!
Quel
giorno morì un’irripetibile esperienza vitale e nacque l’ennesima
istituzioncella votata ad elargire briciole d’esistenza a chi se
ne accontenta.
E
così divenne storia ogni episodio che dette un volto, un corpo
e un’anima al Mercatino.
Io
non frequentavo più i compagni di allora, ma devo confessare che
a volte era forte la tentazione di andare a scuriosare in Via S. Andrea
per tirare le orecchie a qualcuno. Di
Villa Bottini come sede non ne parlava più nessuno: in Via S. Andrea,
ormai, ci stavano comodi… Penso che non parlassero più nemmeno
dello spettacolo “Vita, morte e miracoli di un Mercatino qualsiasi”
- meglio così, avrebbero dovuto cambiargli il titolo in “Vita
e morte del Mercatino (senza miracoli!)” e francamente non sarebbe
stato un granché. Ormai
lo chiamavano soltanto “centro sociale”, e facevano bene:
sarebbe stata un’offesa alla sua memoria e a chi (come me) ha osato
profanarne la tomba, continuare a chiamarlo col suo nome di battesimo.
C.
Ricci
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