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Aggiornato
Venerdì 21-Dic-2012
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Qualcuno mi chiede le ragioni del mio silenzio, come mai, nonostante vi siano montagne di accidenti da commentare, me ne stia zitta. Perché non ne posso più di scrivere le stesse cose. Se avessi voglia di ripetermi, dovrei dire che noi italiani non stiamo tornando indietro, semplicemente non ci siamo mai mossi - come in un fermo immagine, siamo rimasti inchiodati al mito del superuomo, ai deliri populisti, regionalisti, sessisti e razzisti di settanta anni fa ed oltre. La Germania ha dovuto fare i conti con la propria storia, con le proprie responsabilità, ha subito lo stigma planetario, ha avuto i suoi processi, le sue condanne, ha vissuto sino in fondo la vergogna. Noi, grazie alle nostre capacità trasformiste, al nostro inarrivabile qualunquismo, siamo balzati sul carro del vincitore un attimo prima di schiantarci, così, invece di ritrovarci con le ossa rotte, invece di leccarci le ferite imparando da esse la dura lezione della colpa, abbiamo ballato e cantato, ingrassando alla tavola del padrone. I fascisti, vale a dire il 99,85% degli italiani votanti in una progressione plebiscitaria impressionante, dal 1922 al 1945 non c’erano - e se c’erano, dormivano. Quando si sono svegliati, un nano secondo dopo la fine del conflitto, hanno ricominciato la stessa vita di sempre, occupando i medesimi posti di potere, conservando i propri privilegi e, nella sostanza, le proprie convinzioni - non sotto mentite spoglie, semplicemente offrendo i propri servigi alla causa anticomunista in cambio dell’impunità. In un batter d’occhio, si sono improvvisati liberali, repubblicani, democratici, e lo hanno fatto con una tale abilità mistificatoria, da riuscire a minimizzare le responsabilità accumulate nei decenni precedenti, di fatto, facendoli sparire sotto il tappeto insieme a circa 347.000 italianissimi cadaveri. Tutto cambiò affinché nulla cambiasse. Ecco, su queste fondamenta abbiamo costruito l’Italia dal dopoguerra ad oggi. Quella era la nostra cultura, quelli eravamo e quelli siamo rimasti - nel tempo, però, perdendo la memoria storica e la consapevolezza politica, collettiva e individuale, del paese e di noi stessi. Il berlusconismo, i rigurgiti squadristi, la partitocrazia, la propaganda e la censura dilagante, la repressione, ‘o sistema (criminale, economico e politico), sono la naturale conseguenza di un ammorbamento virale che non si è mai voluto curare - tutt’altro -, che ha piantato le sue radici nella nostra indifferenza, nel nostro granitico solipsismo. Il potere partitocratrico e teocratico può operare, affermarsi, disvelarsi apertamente nella più totale, sfacciata soperchieria, solo in un caso: quando, oltre ad eludere i doveri, i cittadini abbiano rinunciato ad esercitare i propri diritti, a pretendere uguaglianza, il rispetto delle leggi e delle regole condivise. E quand'è che un cittadino elude i propri doveri, rinuncia ai propri diritti, smette di pretendere uguaglianza, il rispetto delle leggi e delle regole? Quando non ne capisce e non ne condivide il senso, non riesce a dargli valore al di là dei propri interessi, delle proprie necessità personali. Vi è sempre correità, dunque, e sempre vi sono solidi presupposti (culturali e storici) alla (ri)nascita un regime. Non si può guardare al presente, capirlo e combatterne le insidie, senza tenere conto del passato, sostenendo che non vi sia corrispondenza diretta, continuità, tra ciò che è stato e quello che è. Sono stanca di ripetere ovvietà. Stanca di non riuscire a fissare lo sguardo sul dito che indica la luna. Se mi riuscisse potrei far parte del coro, unirmi alle urla, agli strepiti privi di costrutto, e allora, forse, mi parrebbe di non parlare da sola, potrei compiacermi di essere fra quelli che s’illudono di cambiare il mondo senza saperne immaginare un altro.
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