Non un numero tatuato sul braccio, ma quattro lettere: “DICO”,
come la nota catena di Discount alimentari... e non si vergognano neanche
un po’.
Già
lo sapevamo, almeno dai tempi della presentazione del programma dell’Unione,
in piena campagna elettorale. E lo sapevamo anche da prima, da quando
abbiamo capito che qualcuno coi PACS aveva trovato il modo di prosperare
a spese dei contribuenti. Lo sapevamo e l’avevamo detto: avete fallito,
avete sbagliato, scollate il vostro tronfio didietro da quelle dannate
poltrone, tornatevene a casa! Ma niente, perché in Italia a far
critica, a dire le cose come stanno, ci si ritrova sempre soli, fatti
fuori a suon d’insulti e canzonature, bollati come iettatori, invidiosi,
disfattisti. Poi, a danni fatti, ecco le belle addormentate cadere dal
pero - ecco l’ovino gregge torcersi, tarantolato, strapparsi le
vesti e i capelli, gridare allo scandalo. Ma quale scandalo??? Nemmeno
la decenza di stare zitti.
Questo
disegno di legge non è soltanto un insulto umiliante che offende
il buon senso e l’intelligenza delle persone etero ed omosessuali
(almeno quelle che ne sono dotate), non è soltanto un marchio infamante
con il quale s’intende dividere i cittadini tra buoni cattolici
eterosessuali che hanno in mano la salvezza dell’umanità
e cattivi miscredenti degenerati che vogliono farla a pezzi, è
qualcosa che avalla le ideologie e le pratiche sempre più vessatorie,
discriminanti e violente messe in atto contro ogni forma di dissenso,
diversità e difformità. È un artificio ridicolo che
ci farebbe sganasciare dal ridere se non fosse ad un passo dal diventare
legge dello Stato! È un pastrocchio ipocrita, pernicioso e inutile
che serve solo a porre ulteriori veti e limitazioni (ad esempio alle agevolazioni
e alle tutele sul lavoro attualmente previste in alcuni contratti collettivi),
a sancire definitivamente il primato dei privilegi sui diritti, l'affermazione
di una cultura anche giuridica che impone disparità e disuguaglianze
con lo scopo dichiarato di accontentare i voleri della corte Papale, con
o senza sottana .
Non può e non vuole tenere in alcun conto le questioni di merito,
di principio, i diritti, la realtà tremenda che milioni di cittadini
sono costretti a vivere quotidianamente, le necessità di quelle
coppie, soprattutto omosessuali, che sono costrette a vivere separate,
magari in città diverse, per nascondere il proprio orientamento
affettivo o per motivi di lavoro, studio, famiglia, perché impossibilitate
economicamente a fare scelte diverse o per qualunque altra ragione - e
a tutti, fermamente contrari o falsamente favorevoli, sta bene così.
Questo schifo di legge fa comodo, fa il gioco di molti nei palazzi del
Governo e del Vaticano - ecco perché, nonostante i numeri e le
dichiarazioni ridondanti di catastrofismo, non è escluso che sia
approvata. Se lo sarà, noi che non contiamo nulla, che siamo carne
da macello, zerbini, potremo scordarci per lunghissimo tempo anche solo
la speranza di ottenere una qualche forma di risarcimento per i guasti
che ne ricaveremo. In quanto a Grillini, De Simone, Luxuria & Co.,
dentro e fuori il teatrino, farebbero meglio a preparare le valigie –
approvata la legge, più nessuno si spiegherà cosa ci stanno
a fare là dentro e su nient’altro che ci riguardi potranno
aprir bocca.
In
ogni caso, approvata o meno che sia questa legge sciagurata, pare che
continueremo a non poter mettere le nostre vite nelle mani di chi vogliamo,
come vogliamo. Pare che dovremo ancora chiedere il permesso per sederci
accanto alla persona che amiamo, pare che dovremo ancora vergognarci,
scusarci per non essere come gli altri. Pare che dovremo ancora vivere
senza diritti, sapendo che un colpo di vento, o uno starnuto, può
spazzarci via, in ogni momento...
Ecco
tre esempi pratici.
Se
la persona che amiamo dovesse sentirsi male, la nostra parola e la nostra
esistenza continuerà a non valere nulla – dovremo prostrarci
di fronte ai primari delle strutture ospedaliere affinché ci permettano
di assisterla e se questi, a causa delle proprie convinzioni politiche
o religiose non dovessero consentircelo, dovremo rassegnarci ad essere
trattati come estranei inopportuni e un tantino ributtanti.
Se
la persona che amiamo non potesse prendere decisioni sul proprio stato
di salute, se non avesse lasciate scritte le proprie volontà, dovremo
accettare che i parenti, magari i più lontani e indifferenti (se
non peggio), non ne tengano conto.
Se
morissimo improvvisamente, senza aver fatto testamento in favore della
persona che amiamo, niente o pochissimo di quello che abbiamo raccolto
insieme a lei le spetterebbe (altro che comunione dei beni, pensione di
reversibilità, ecc.!), non solo, pagherebbe più di qualunque
altro parente per l'eventuale successione e se convivessimo da poco e
non avessimo già provveduto, non potrebbe succederci nemmeno nel
contratto di locazione - si troverebbe su una strada.
Visto?
Tutto cambia perché nulla cambi - anzi, perché tutto peggiori.
Giuoco di prestidigitazione da dilettanti - buon per chi ci crede e si
diverte.
Ma
c’era davvero bisogno dei PACS e ora dei DICO?
Diciamoci
la verità: scarseggiano alquanto le coppie eterosessuali bisognose
di forme di riconoscimento giuridico alternative al matrimonio civile
o religioso. Se una coppia eterosessuale, convivente o meno, decide di
avvalersi di determinati diritti, le basta aprire il portafoglio e il
gioco è fatto: una firma e via, benvenuti nel meraviglioso mondo
degli eletti, dei benedetti, dei fornicatori con licenza di procreare.
Il problema del riconoscimento delle coppie di fatto è, dunque,
quasi od esclusivamente limitato alle relazioni omosessuali che, come
abbiamo visto e sappiamo, non vi possono accedere, nemmeno se vogliono.
Le
persone omosessuali che ambiscono a sposarsi non sono molte, ma tutte
vorrebbero il riconoscimento giuridico delle proprie relazioni affettive
- per necessità, per godere dei più elementari, basilari
diritti, diritti di cui, in buona parte, gli eterosessuali beneficiano
anche se non sposati. Non vi è nulla di ideologico in questo, non
è in corso nessun tentativo di scardinare la famiglia, sovvertire
gli equilibri sociali e quant’altro, al contrario. Se gli eterosessisti
sono tanto affezionati al matrimonio, al dualismo maschio/femmina, che
se lo tengano! Siamo certi che non saranno i Pacs o i Dico o i Tico-Taco
a impedirgli di compiere in famiglia, allegramente impuniti, protetti
dagli omertosi ministri di Dio, le loro porcherie sulle donne, i bambini,
chi non sa o non può difendersi. Si tengano i loro matrimoni, il
loro paese dei balocchi, i loro castelli di sabbia, ma la smettano con
quest’assurda crociata, la smettano di dire sciocchezze e menzogne.
La smettano di giocare la loro sporca guerra ideologica sulla nostra pelle,
quella dei loro e dei nostri figli.
In
un paese veramente civile, laico e democratico (e se il problema è
rendere evidente, stabilire con chiarezza una differenza tra il “sacro”
vincolo matrimoniale ed altri tipi di unione affettiva che si realizzano
al di fuori di esso per scelta o necessità), alla Bindi, alla Pollastrini
o chiunque altro, sarebbero bastate un paio d’ore per chiudere decentemente
il tragicomico contenzioso: due persone maggiorenni che hanno una relazione
stabile, non imparentate tra loro e del medesimo genere, SONO
UNA COPPIA, celibe o nubile –
basti un’autocertificazione depositata all’ufficio del registro
senza altre discriminanti e complicazioni, né sul piano giuridico/burocratico,
né su quello linguistico/ideologico. Il resto, tutto il resto (diritti
e doveri delle coppie, sposate, celibi o nubili che siano), di conseguenza.
Punto. Ma si sa, in Italia il “sale”, il coraggio e l'onestà
sono merce rara – ormai, introvabile.
C.
Ricci
Su
questa proposta di legge e sulle conseguenze dirette e reali nel caso
fosse approvata con o senza "migliorie" (non oso immaginare
di quali acrobazie sarebbero capaci pur di darci l'ennesima mazzata),
volentieri pubblico l'interessantissimo approfondimento di Daniela Mantovani.
Vi consiglio caldamente di leggerlo.
OGNI OCCASIONE HA LA SUA FAMIGLIA
Di Daniela Mantovani, Ricercatrice presso il Dipartimento di Economia
Politica Università di Modena e Reggio Emilia e Docente di Scienza
delle finanze
(28
Febbraio 2007)
Leggendo
i giornali di più ampia diffusione, inclusi quelli della sinistra,
si trae la chiara sensazione di un evento -la nascita dei DICO- che, seppur
con molti limiti, sta segnando un primo timido passo verso la creazione
di un sistema di diritti che includa anche gruppi di persone fino ad ora
esclusi da ogni forma di protezione sociale. Tant’è che anche
all’interno del movimento GLBT vi è una componente che punta,
pur lamentando la troppa “prudenza” della legge, ad una approvazione
della proposta, possibilmente migliorata (non si capisce da chi, visto
che la proposta è stata firmata da tutti i partiti della maggioranza).
Mi permetto perciò di intervenire nel dibattito come economista
esperta di sistemi di protezione sociale; una esperienza che mi permette
di analizzare le conseguenze di una eventuale introduzione dei DICO nel
nostro sistema da un punto di vista non comune, che credo possa fornire
a tutti materiale per un dibattito più meditato ed articolato.
La nuda realtà è che questa proposta di legge non è
il “poco, ma sempre meglio del niente attuale” che molti ci
vogliono far credere; I DICO rischiano, se approvati,
di riuscire in un’impresa che neppure si poteva immaginare: togliere
diritti a chi già non ne aveva. I DICO sono la proposta di un sistema
punitivo destinato a peggiorare le condizioni concrete di vita delle coppie
omosessuali. Infatti, per ora, i membri di una coppia di fatto, ai fini
del sistema di protezione sociale, sono trattati esattamente come i single,
mentre i diritti alle erogazioni di protezione sociale dei membri di un
DICO saranno minori di quelle spettanti ai single.
I
DICO non sono una cattiva legge, bensì una legge cattiva.
Lascio ai giuristi la discussione delle parti già tanto controverse
sul riconoscimento formale delle coppie, sulla regolamentazione delle
visite negli ospedali e sulla successione nel contratto di affitto, per
concentrarmi su altre parti della proposta che possono perfino apparire,
ad un’analisi molto frettolosa, delle mezze conquiste. Mi riferisco
proprio alle parti che regolamentano la successione (che comporta qualche
concessione al riconoscimento di diritti successori molto limitati, dopo
almeno 9 anni di DICO, vale a dire non prima del 2017 – una concessione
alla possibilità di ripensamento del legislatore?) e, soprattutto,
alla pensione ai superstiti; in questo caso l’unica cosa decisa
è il limite massimo ai diritti acquisibili dalle coppie DICO, molto
inferiore a quello attualmente concesso ai coniugi, non sono invece definiti
limiti minimi al di sotto dei quali i diritti previdenziali dei membri
di un DICO non possono andare. In altre parole non sono previsti interventi
di protezione sociale aggiuntivi rispetto alla situazione in essere. Nessuno
dei trasferimenti di protezione sociale previste per i coniugi (assegni
familiari e al nucleo familiare, licenza matrimoniale, assenze dal lavoro
per assistere il coniuge malato ...) e nessuna detrazione d’imposta
per carichi familiari è stata estesa ai membri di un DICO. Basta
però inserire la proposta di legge nel contesto di protezione sociale
italiano per capire che i DICO non sono solo una collezione di dichiarazioni
cattive ed offensive contro le persone omosessuali, ma sono anche uno
strumento per ridurre la quota di spesa sociale che le persone omosessuali
oggi ricevono. L’ironia
sta proprio nel meccanismo pratico che permetterà di ridurre i
trasferimenti e i servizi a cui ora possono accedere alcune persone omosessuali:
l’appartenenza allo stesso nucleo anagrafico, condizione necessaria
per essere membro di un DICO. Per capire il funzionamento del meccanismo
che voglio descrivere basta immaginare che le persone omosessuali abbiano,
come tutti, dei percorsi di vita articolati e complessi. Mettiamo che
la nostra persona omosessuale abbia anche altre caratteristiche che gli/le
permettono di accedere ad un qualche servizio sociale. Ad esempio, sia
la madre di un bambino che va all’asilo nido, o sia un anziano malato
e bisognoso di assistenza di lunga durata. Questo tipo di servizi viene
erogato o finanziato dai comuni e il contributo chiesto alla famiglia
dipende dal reddito della famiglia del soggetto coinvolto (“prova
dei mezzi”). Il calcolo della retta avviene secondo un meccanismo
piuttosto complicato, chiamato ISEE, che tiene in considerazione la numerosità
famigliare, il reddito e la ricchezza di tutti i membri della famiglia.
Questo è il trucco: la famiglia considerata ai fini del calcolo
dell’ISEE è la famiglia anagrafica. Se quindi la nostra signora,
madre di bebè, si unirà (firmerà? stipulerà?
raccomanderà?) anagraficamente in un DICO, il reddito dell’altro
membro del DICO verrà considerato ai fini dell’ISEE (da subito)
e quindi la retta da pagare all’asilo nido aumenterà, da
subito. “Naturalmente”, la compagna della nostra signora che
deve contribuire al mantenimento e alla cura del bebè, non ha con
quest’ultimo/a alcun legame riconosciuto, neppure nel caso di morte
della madre naturale: niente eredità, niente reversibilità,
perfino bebè adottabile da estranei, purché eterosessuali
e sposati. Lo stesso discorso, ovviamente, si applica al caso del signore
anziano e malato, se unito con DICO ad un partner, questi avrà
l’obbligo di assistenza economica e materiale e perciò dovrà
pagare la retta (maggiorata) per l’assistenza domiciliare o della
casa di cura cattolica. Magari senza poter neanche visitare il compagno
perchè, come la legge permetterà, il regolamento della casa
di cura autorizza le visite solo per figli e coniuge.
Ogni
occasione ha la sua famiglia. A ben vedere si tratta di un meccanismo
molto semplice: c’è una definizione di famiglia quando si
deve dare e un’altra quando si deve prendere (chi l’ha detto
che adesso la famiglia è una sola?). L’idea geniale sta proprio
nel definire famiglia le coppie omosessuali solo quando le si deve far
pagare. E’ molto difficile credere che questo meccanismo sia sfuggito
agli estensori del progetto di legge, se non altro perchè L’ISEE
è stata introdotta dal precedente governo di centro sinistra, di
cui la Bindi faceva parte. A dire la verità, il meccanismo
che ho appena descritto è un vecchio trucco, conosciuto da tempo,
di fatto incluso nell’armamentario di quasi tutti i sistemi di sicurezza
sociale. Esempi sono il Regno Unito dove le coppie di fatto (di fatto
proprio, non unite civilmente) non possono accedere ai trasferimenti previsti
per i coniugi, ma vedono i loro redditi sommati per il controllo dei mezzi
ai fini dell’accesso all’assistenza sociale. Oppure in Francia,
dove i partner informali non accedono certo al quoziente famigliare, ma
gli assistenti sociali vengono spediti senza remore ad annusare le lenzuola
dei conviventi per appurare l’esatta natura dei loro rapporti, si
sa mai che si possano mantenere reciprocamente così da risparmiare
sull’erogazione del reddito minimo d’inserimento, in caso
di indigenza di uno dei due. La differenza rispetto al nostro paese è
che mentre negli altri paesi ci si può sottrarre alla discriminazione
sposandosi o unendosi civilmente, da noi l’unione nei DICO sarebbe
proprio il mezzo attraverso il quale il meccanismo discriminatorio agisce.
La condizione prospettata per le coppie omosessuali
sarebbe un po’ come quella degli ebrei nell’Europa medievale:
il diritto di esistere, pagato con tasse salate versate ai cristiani,
vivendo marchiati con la stella di David sui vestiti e chiusi in un ghetto
(o, almeno, con un certificato anagrafico che indica una cittadinanza
di serie B); se capita l’occasione, con i bambini sottratti
per essere educati in un ambiente più consono ai bisogni del loro
spirito. Non si tratta di un evento senza precedenti, i pionieri dei diritti
delle persone omosessuali sono spesso caduti in questo tranello, negli
anni ottanta. Chi si occupa di politiche sociali
sa benissimo che nella babele delle norme e politiche in atto si producono
interazioni di ogni genere, con effetti non sempre ovvi (ma in questo
caso lo sono). Per questo la valutazione degli effetti di una politica
si fa misurando la variazione delle imposte versate, dei trasferimenti
ricevuti e dei servizi fruiti seguendo i concreti percorsi di vita delle
persone, non certo sulla base di affermazioni di principio e dichiarazioni
di “civiltà” autocertificate dagli estensori di una
legge. Ho troppa stima per la competenza dei ministri e dei politici del
centro-sinistra che si occupano di sicurezza sociale per pensare che conoscano
così male i ferri del mestiere da essere scivolati su una buccia
di banana. Questa proposta di legge non ha certo lo scopo di migliorare
le condizioni di vita degli omosessuali. Credo quindi che i nostri politici
ci debbano almeno una spiegazione -seria però, stavolta- sul perchè
hanno deciso di portarla avanti.
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