Non
so se sia più opportuno occuparci dei diritti delle donne suddividendole
in categorie o dei diritti delle persone tout court. A naso sono più
propensa per la seconda ipotesi e da lì scendere nello specifico
facendo attenzione a non cadere nella trappola delle catalogazioni perché
la frammentizzazione può creare compartimenti stagni dai quali
è difficile uscire e nei quali può essere difficile entrare.
Le corporazioni, le suddivisioni in classi, generi, categorie, mi spaventano:
i gruppi tendono a difendere se stessi creando muri e così pure
chi non si riconosce in essi tende ad isolarli costruendovi intorno altre
barriere. Incomunicabilità, quindi ignoranza, diffidenza, disprezzo
o indifferenza - questo è il pericolo che si corre quando si cade
nella trappola.
Ma
tornando allo domanda iniziale: penso che il primo passo sia individuale,
cominciare cioè da se stessi, dal proprio vissuto nella “quotidianità
lavorativa e privata” - smetterla di chiedere al mondo, agli altri,
di cambiare, di fare, se poi non si è disposti a mettersi in gioco
per primi. È la storia dell’armiamoci e partite - così
non si va tanto lontano.
L’ipocrisia è l’incancrimento culturale e morale di
tutto il genere umano.
Comunque, al di là dell’impegno personale, mi sembra che
vi sia un’apertura o un ritorno al buon senso nelle intenzioni di
alcuni movimenti ancora in definizione (penso a quello di Imma Battaglia
al quale stanno aderendo molte realtà differenti pur conservando
le loro specificità), il tentativo di provare davvero a interpretare
e affrontare la questione dei diritti mettendo al centro la persona come
valore di riferimento da cui partire, l’essere umano nella sua interezza
a prescindere dalla razza, dalla religione, dalla classe sociale, dall’appartenenza
di genere, dalle opinioni politiche e dagli orientamenti sessuali - insomma,
mettere al centro l’individuo perché possa vivere con dignità,
perché abbia diritti autentici, perché possa scegliere liberamente
che farne, perché le differenze non rappresentino una discriminante.
Prima che politicamente occorre cambiare culturalmente. Mi sembra che
in questa direzione valga la pena lavorare.
C.
Ricci
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