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Aggiornato
Venerdì 21-Dic-2012
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Attenzione: la lettura di queste mie considerazioni, presuppone la conoscenza della storia tra Felice Schragenheim e Lilly Wust, portata al successo prima dal libro del 1995 di Erica Fischer “Aimée e Jaguar”, poi, nel 1999, dal film omonimo di di Max Färberböck.
Qualche giorno fa, pungolata da un’amica che mi chiedeva informazioni sulla figura di Felice Schragenheim (1922-1945, ebrea e lesbica berlinese antinazista), ho rivisto il film del 1999 “Aimée e Jaguar”, di Max Färberböck, tratto dall’omonimo libro del 1995 di Erica Fischer. Il libro e il film, narrano la storia d’amore tra Felice Schragenheim e Lilly Wust, una casalinga ariana che le sopravvisse (per maggiori dettagli vi rimando alle molte sinossi facilmente reperibili in rete). Riguardandolo, mi sono resa conto che in esso e nel libro, vi sono parecchie insinuazioni le quali, se ci si fa conquistare acriticamente dagli aspetti romantici della vicenda, finiscono in secondo piano o direttamente nella spazzatura. Senza che me ne rendessi conto, però, già negli anni Novanta la mia mente gli aveva dato importanza e nel tracciare la figura di Lilly, usavo termini inesplicabili altrimenti. In effetti, ad una lettura superficiale (romantica, appunto) del film e del libro, Lilly non ne esce malissimo - la si può, al più, accusare di superficialità, inconsapevolezza, ingenuità ed istintività, ma, finalmente interrogandomi sul perché fossi tanto dura con lei e sul perché il film risvegliasse in me tanti dubbi, ho fatto una piccola ricerca in Internet imbattendomi in una pagina in tedesco che mi ha fatto sobbalzare (http://www.berlin-judentum.de/frauen/predski.htm). E’ così che ho scoperto l’esistenza di Elenai Predski-Kramer, la quale, dopo lo straordinario successo della prima edizione del libro, è uscita allo scoperto narrando la sua verità sulla storia d’amore tra Felice Schragenheim e Lilly Wust. Occorre premettere che le accuse di Elenai sono gravissime e nulla, o quasi, può provarle. La sua è una testimonianza, ma testimonianze sono anche le altre, quelle raccolte da Erica Fischer e riproposte filmicamente da Max Färberböck. La testimonianza di Ilse, tra tutte, è la più critica e insinuante, tuttavia si tende a non darle troppo credito perché siamo portati a credere che non abbia mai superato il risentimento verso Lilly per esserle subentrata nel cuore di Felice. Può darsi che Ilse esageri i suoi giudizi e le sue accuse, ma anche le altre non scherzano. E allora, perché prediligere un racconto parziale, edulcorato ed omissivo a scapito di una verità che, sebbene non possa più essere suffragata da prove documentali, ci consegnerebbe una vicenda meno suggestiva, ma più realistica? Per ragioni commerciali, di appeal narrativo. Una storia realmente accaduta d’amore lesbico, è maggiormente vendibile se ambientata in tempo di guerra, in un contesto e con personaggi così paradigmatici. Un’ebrea, bella, ricca, colta, dissidente che collabora con la resistenza e una casalinga, ariana, poco o nulla acculturata, decorata al merito, quattro figli, moglie di un soldato anch’esso decorato e convinto nazista, amante, quando il marito è al fronte, di numerosi gerarchi nazisti, che, grazie al suo matrimonio e alle sue frequentazioni gode di parecchi e altrimenti inarrivabili privilegi tra i quali cibo, divertimenti e persino una governante (Ilse) - le due s’incontrano (per caso???) e scocca la scintilla, l’amore con la “A” maiuscola, oltre e contro ogni differenza, ogni impedimento, sociale, culturale, razziale, ecc. Affascinante, credibile, in un romanzo - ma nella realtà? La realtà è più complessa o semplice, la realtà è prosaica - la realtà supera la fantasia ma è anche meno seducente, consolatoria. Un romanzo che ometta o inventi non scandalizza, ma possiamo perdonare ad un libro che vuole essere biografico e storico furbette faziosità, comode esemplificazioni? La Fischer (e Max Färberböck, nel film) accenna, ma poi si guarda bene dall’indagare, anzi, moralisticamente, dopo aver “sorvolato”, disseminato qua e là allusioni, invita le sopravvissute a far pace con Lilly Wust e le sue responsabilità. Un’ammissione, finalmente. Elenai parla di una realtà così ovvia da passare inosservata: tutti (protagoniste incluse) erano disposti a tutto pur di accaparrarsi qualche privilegio, migliorare o salvare la propria miserabile esistenza. Gli ebrei denunciavano gli ebrei, i tedeschi si vendevano al miglior offerente e rubavano ai morti. Ovvio e illuminante. Ed ha ragione ad arrabbiarsi: il libro e il film, ci mostrano un gruppo di ragazze ebree costantemente in pericolo di vita che, come fossero state più frivole e incoscienti di Lilly, non rinunciano ad esporsi, bere, fumare, ballare, scopare, mentre intorno il mondo gli da la caccia andando a fuoco! La disperazione rende irrazionali, imprudenti, coraggiosi o vili - ma sempre in funzione della sopravvivenza. La loro priorità era salvarsi la vita, a qualunque costo, Lilly non aveva altro scopo che migliorarla o almeno non degradarsi. Non voglio sostenere che non vi fosse amore tra Felice e Lilly, ma non si può non tener conto del contesto. Se quell’amore c’era, non poteva non esserne fortemente condizionato. Elenai racconta che Felice, nel 1943, era stanca di fuggire, di dover continuamente trovare alloggio e cibo, rifugio presso persone che nascondendola rischiavano loro stesse la vita o che, per trarvi guadagno, avrebbero potuto denunciarla. Ricoveri e buoni pasto erano riservati ai cittadini tedeschi, ariani, con i documenti in regola. Lilly godeva di questi ed altri privilegi, aveva una casa - in effetti, per quanto possa apparirci avventata, la scelta di approfittare della sua ospitalità, non era così peregrina. “Un pensiero allettante, la sicurezza promessa” - afferma Elenai, e aggiunge - "Felice credeva di avere la situazione sotto controllo. Quello fu il suo errore". Già. Una casa, una famiglia, una storia d’amore - il sogno di ogni persona braccata, sola, stanca e ferita. In condizioni di normalità, o senza coinvolgimenti particolari, forse avrebbe potuto funzionare, ma entrambe, sia Felice, sia Lilly, per motivi e con obiettivi diversi, non avevano il controllo di nulla, tanto meno di loro stesse. Lilly, colta sul fatto dal marito, in preda ad una specie di delirio di onnipotenza, gli chiede il divorzio e nella sua testa, Felice deve prenderne il posto assicurandole presenza e sostegno. Ma Felice, spaventata dalle minacce di Günther e dalle conseguenze di quel gesto melodrammatico, plateale, che mette lei e le sue amiche in pericolo, sparisce per giorni, senza dare spiegazioni. Noi sappiamo che è in questa occasione che Felice e le amiche si procurano i documenti per tentare la fuga, ma Lilly non lo sa. La tormenta, è gelosa, sospetta la presenza di altre donne, si sente umiliata e offesa. Alla fine, Felice cede ai pianti, alle recriminazioni - le confessa di essere ebrea e rinuncia a partire. Che intenda usarla o meno, l’arma del ricatto (e la vita di Felice) è ora saldamente nelle mani di Lilly. Pochi giorni dopo, nel luglio del 1944, Felice scrive un testamento in cui le lascia in eredità quel che resta del suo patrimonio. Il 21 Agosto del 1944, al ritorno da una gita al lago, le due donne trovano la Gestapo ad attenderle e Felice è brutalmente arrestata. A questo punto, le accuse di Elenai diventano pesanti come macigni. Elenai avanza l’ipotesi che, per gelosia ma anche per interesse venale, la delazione sia opera di Lilly. “La casalinga limitata e senza istruzione, sente intuitivamente che l'affascinante e cosmopolita Ebrea la lascerà dopo la fine della guerra” - e se non starà con lei, per sempre, non starà con nessuno, per lungo tempo. Forse non immaginava che quel gesto irresponsabile avrebbe avuto conseguenze irrimediabili, per Felice letali. Forse non è vero che l’abbia denunciata, di certo, però, è tutto molto strano e ciò che Lilly fa in seguito getta sulla sua figura una coltre di sospetto più che giustificato. Elenai, rileva due circostanze che proverebbero il coinvolgimento di Lilly. 1) Nell’imminenza della fine della guerra, i nazisti berlinesi erano come impazziti: bastava il semplice sospetto che qualcuno tradisse, tendesse alla resa o nascondesse ricercati, per finire ammazzati, non solo per mano dell’esercito o della Gestapo, ma anche per mano di semplici cittadini trasformatisi in giustizieri. Lilly aveva nascosto un’ebrea, avrebbe dovuto essere arrestata essa stessa, invece, lei, la sua famiglia e gli amici ariani che le frequentavano, furono ignorati, non subirono alcuna conseguenza. 2) Nei giorni seguenti all’arresto, prima ancora della morte di Felice, Lilly si precipita a reclamarne i beni (mobili, argenteria, gioielli, pellicce). Ma fece di più, qualcosa che lascia stupefatti e, francamente, la discredita seriamente: nel Settembre del 1944, si reca al campo di Theresienstadt, dove Felice è in un primo momento internata o dove ha una qualche speranza di sopravvivere, chiedendo di incontrarla. Nonostante le suppliche degli amici, nonostante sappia che tale comportamento avrebbe potuto condannare a morte sia Felice, sia le persone vicine a lei che avrebbero potuto essere facilmente individuate - va al campo e chiede di vederla, chiede che le siano consegnati almeno i suoi vestiti ancora caldi! Di fronte alla disperazione e allo sconcerto delle amiche che la accusano di aver firmato la condanna a morte di Felice, non ha alcun dubbio, rimorso, cedimento: si vanta persino di essere stata cacciata dal sergente delle SS Rudolf Heindl, e si giustifica dichiarando di aver voluto dimostrare il suo coraggio e la sua determinazione. Il suo piccolo, piccolo cervellino non trova niente di meglio per innalzarsi al livello di quelle donne che la disprezzano e rigettano, di un mondo del quale vuol far parte, che sa essere altolocato, audace, colto e raffinato, tanto distante da lei. Ma la condotta pericolosa, stupida e puerile di Lilly, può anche essere un goffo tentativo di scagionarsi. E’ come se volesse dimostrare di aver perso la ragione a causa dell’arresto di Felice: può, una donna tanto disperata, folle d’amore, esserne responsabile? Adesso tutti devono accettare che lei e quell’amore impossibile esistono! Adesso, tutti devono ammirarla o compatirla e perdonarla. Quaranta anni dopo, grazie al libro e al film, Lilly è riuscita nel suo intento.
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P.S.: Nel fare le mie ricerche alla caccia di altre informazioni e riscontri, mi sono imbattuta in questa pagina: "BIOGRAFIE DI LESBICHE E DONNE ANTIFASCISTE in Italia, Olanda, Germania e Austria" di Marina La Farina e Paola Guazzo (http://www.ellexelle.com/html/biografie.htm). Scorrendone l’elenco, invero assai striminzito, ho scoperto che il nome di Felice non c’è, ma c’è quello di Lilly. Forse una dimenticanza, tuttavia, se non si può accusare la Wust di aver causato la morte di Felice, nemmeno la si può considerare antinazista/fascista, non in senso stretto. Cinquanta anni dopo, Lilly ha ottenuto molto di più di quello che voleva. Senza averne alcun merito e senza che potesse immaginarlo, è entrata a far parte della storia, da eroina antinazista. Non ho parole.
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