Lucca,
12 Luglio.
Dovrei buttar giù qualche riga. Chissà, magari addentrarmi
in un’attenta quanto presuntuosa analisi politica dei perché
e i come... No, non ne ho né l’energia, né la voglia
- né credo occorra. I fatti, per quanto visti in soggettiva, parleranno
da soli e chi avrà voglia di leggere, saprà...
Le
ultime ore prima della manifestazione sono frenetiche: ci tengo tanto
ad aggiornare il sito in tempo reale, è il mio modo di ringraziare…
Le adesioni sono molte, faccio fatica. Comincio ad essere ottimista, forse
qualcosa si muove, forse, anche se a scoppio ritardato e solo perché
mi sono intestardita, qualcuno, almeno formalmente, reagisce, forse capisce…
L’emozione
cresce: incontrerò tante facce sconosciute, donne che, pur non
essendo attiviste, si sono fatte autonomamente promotrici d’iniziative,
si sono messe in gioco in prima persona… La mia casa è piccola
ma ne ospiterò quante ce ne staranno, dove capita - potessi le
accoglierei tutte… La parola ospitalità ha, oggi, per me,
un significato speciale…
E
poi ci sono gli amici, le amiche - verranno tutti, me l’hanno assicurato,
di fronte ad un fatto tanto grave non possono mancare…
Prima
di arrivare in Piazza Santa Maria mi fermo a bere qualcosa al Betty Blue.
Emy ed Elisa, che hanno preso un giorno di permesso e si sono fatte 330
chilometri per venire a Lucca, preparano la videocamera e la macchina
fotografica, Sandro ci vede, mi saluta con calore, si siede con noi. È
arrabbiato: ha saputo, per caso. Si chiede perché i giornali quasi
non ne abbiano parlato, perché la sua associazione non ha fatto
nulla… Se non fossi tanto stanca, se riuscissi almeno una volta
ad essere superficiale, gli darei una spiegazione qualsiasi, più
o meno sensata, ma… non ce la faccio. Spulcio LA REPUBBLICA e IL
TIRRENO alla ricerca di un trafiletto – niente. Alle 17 ci raggiunge
Stefania, le chiedo quanta gente ha visto - «Nessuno, in piazza
ci sono solo poliziotti e carabinieri…». Penso che fare una
manifestazione di venerdì, a quell’ora, è un suicidio,
ma… Coraggio, andiamo.
Ore
17:15. All’ombra, sotto l’albero, accanto all’edicola,
due amiche. Scambiamo qualche battuta per tirarci su di morale. Un po’
defilate vedo facce sconosciute: ragazze capelli corti, non sono di Lucca,
hanno l’aria spaesata, mi guardano. Penso che sanno chi sono e scioccamente
me ne stupisco, vorrei avvicinarmi per ringraziarle di essere venute,
rassicurarle sul buon esito della manifestazione, che presto la piazza
sarà piena, ma… Tiro fuori le bende e qualcuno mi chiede
se può averne una, le distribuisco e finisco senza rendermene conto.
Un amico, che parteciperà nonostante le stampelle, mi consegna
un CD: «Sono le immagini del raduno di Forza Nuova che c’è
stato a Lucca. Ci sono tutti. Dallo a Sara, chissà, magari può
servire…». Mi tremano le gambe, lo ringrazio, vorrei piangere,
ma… Si avvicina un uomo bella faccia tonda, mi guarda dritto negli
occhi: «Sono Saverio Aversa…» - gli stringo la mano
con forza cercando di trasmettergli la mia gratitudine, comincia a parlare
- so che il mio ruolo m’imporrebbe d’imbastire relazioni,
ma io non sono un politico, non sono nemmeno un animale sociale e poi
non mi piace stare al centro dell'attenzione, non ho questa necessità…
Qualcuno per fortuna mi chiama levandomi d’impiccio, mi volto e
dopo quattro anni rivedo Marina di Milano, al suo fianco Francesca Grossi,
la mia “colonna romana”, come scherzosamente la chiamo da
quando ha deciso che “se non lo fa chi dovrebbe, lo faccio io”,
ci presentiamo ma… Mi prende una specie di confuso malessere, le
parole si sovrappongono, indistinguibili… Alla spicciolata arrivano
Maria Teresa Leone, Cecilia Carmassi, Marta Bonetti, Emanuela Tempestini
(sante donne, Dio le protegga), con loro i volantini, il tamburo…
Me lo metto: provo a suonarlo ma la cinghia per tenerlo su è troppo
lunga, non si può regolare, le bacchette batteranno sul bordo,
e poi è pesantissimo, farò una fatica tremenda, ma…
Qualcuno mi dice che sul CORRIERE DI LUCCA e LIBERAZIONE ci sono due articoli,
arranco tamburo a tracolla verso l’edicola, torno da Stefania e
le dico: «Metti in saccoccia». Anche LA NAZIONE ne parla,
riparto. La giornalaia mi chiede il motivo della manifestazione, vorrei
avere la lucidità per spiegarglielo ma… Trovo un volantino
e glielo consegno, mi sembra interessata. Sono già sfinita. Vorrei
andar via o diventare una mosca.
Le
17:30 sono passate da un pezzo, mi guardo intorno: siamo pochi, pochi
davvero, forse un centinaio… Mi chiedo dove sono quelli che “non
si può mancare”, dove quelli che “s’è
inventata tutto”, quelli che “lesbicacce, va là che
vi è andata bene”… Perché non sono qui per sbatterci
in faccia il loro disprezzo, gustarsi l’isolamento nel quale ci
hanno costrette? Dove sono quelli che “è una schifezza, non
ci sono parole”? Mi dicono che alcuni sono in Piazza San Michele
dove distribuiscono volantini e gridano slogan perché l’idea
di partecipare ad un corteo silenzioso, politicamente troppo corretto,
non gli ha sorriso… Dio…
Ecco Maurizio con il figlio più piccolo capelli sparati che sembra
un istrice, gli carezzo la guancia - che bella sensazione, per un attimo
torno sulla terra… Ecco anche Giulio Maria Corbelli, Massimiliano
Piagentini… Maria Teresa o Cecilia mi presentano alcune donne della
Commissione Pari opportunità ed altre che non ricordo, vorrei almeno
sembrare capace di dire qualcosa, ma… È l’ora, mi metto
in prima fila, mi accorgo di avere accanto Andrea Tagliasacchi, il Presidente
della Provincia, ma non lo vedo, ormai non vedo più nulla, percepisco…
«Vai»…
Do il primo colpo sul tamburo, poi il secondo – piccoli passi, in
avanti, il bavaglio mi casca… Mi verranno le bolle alle mani e hai
piedi ma, anche dovessi sanguinare, porterò questa gente a destinazione…
Via
Fillungo. Poca gente. Attonita, se non proprio atterrita. Qualcuno tenta
di ridere ma non va più in là di una smorfia. Le battute
hanno un suono sinistro forse anche per chi le fa. Alla nostra vista la
gente si schiaccia contro il muro. Davanti ho il vuoto, intorno intuisco
movimenti. Il vicesindaco si mette la fascia tricolore. Mi accorgo che,
caso più unico che raro, le persone chiedono di leggere il volantino,
non lo buttano via, non sgattaiolano, rimangono impietrite lasciandoci
passare. Ho la conferma che quasi nessuno sa quello che è successo,
che oggi saremmo stati qui, e allora maledico tutti quelli che avrebbero
dovuto dire e fare qualcosa ma vi hanno colpevolmente rinunciato: “stupratori!”
- vorrei gridargli in faccia, e gli auguro la morte… Ho rabbia dentro,
dolore, e me ne vergogno - cammino, tengo il tempo perché solo
questo voglio.
Via
Roma. Il cane di due artisti di strada si spaventa e mi si avventa contro.
Non faccio una piega: potrebbe mordermi ma non me ne preoccupo –
io non ci sono... Urlano e ridono: “Una manifestazione di lesbiche!”,
per fortuna non li sento.
San
Michele. Riemergo. Guardo verso la chiesa cercando quella specie di contromanifestazione
organizzata in segno di protesta contro le modalità di questa.
Come si fa a non capire. La piazza è vuota.
Via
Beccheria. Ci siamo. Già da un po’ batto più forte
con una mano sola, l’altra mi serve per tenere su il tamburo all’altezza
giusta. Ho il braccio indolenzito. Mi chiedo se resisterò…
Resisterò, resisterò…
Piazza
Napoleone. Sollievo. È bella. Peccato per le attrezzature del Summer
Festival che ne occupano una buona metà. Concerti per un élite
– tutti gli altri fuori, anche noi, naturalmente. Circumnavighiamo
dribblando i tavolini di un bar - siamo pochi, quindi nessun disagio.
Svolto a destra, direzione Cortile degli Svizzeri, e vedo uno striscione
che copre le transenne. Ingenuamente penso ad un comitato di benvenuto
e invece sento una voce di donna provenire da un megafono… Alla
parola “cazzo” decido di tornarmene nel mio niente.
Cortile
degli Svizzeri. Il suono del tamburo rimbomba, abbasso il volume.
Cortile
Carrara. Mi fermo. Finalmente poso il tamburo – il braccio con il
quale l’ho sorretto ha le convulsioni. Cerco il grande schermo sul
quale proietteranno il monologo di Franca Rame, “Lo stupro”.
Non c’è. Compare un telo di plastica bianca montato su un
tre piedi. Ondeggia pericolosamente agitato dal vento: occorre tenerlo.
Riavvolgono il nastro: c’è troppa luce, non si vede niente,
ma Franca quasi invisibile versione rewind m’inquieta ugualmente.
Compare anche una cassa. Mi chiedo se sarà sufficiente almeno per
sentirla. Per la prima volta dalla partenza del corteo, mi volto. Duecento
persone, non credo di più, due terzi venute da fuori… Ripenso
alla manifestazione del 6 settembre di un anno fa: per una vetrina infranta
si radunarono più di duemila persone… Sì, c’è
qualcosa che non va in questa città, in questo paese…
Toh, ecco Paola Guazzo (venuta nonostante abbiano ricoverato suo padre
in mattinata), saluto anche Cecilia Giusti, Cristiano della Libreria Baroni,
Fausto, Daniele, Ornella, Uliana, Elena, Sara e Gabry (il mio piccolo
ma agguerrito fans club)…
Mi
siedo in terra, il video comincia («Muoviti, puttana, fammi godere…»)
e finisce («Li denuncerò. Domani…»).
Penso a chi ha minimizzato o peggio, gettato discredito, fatto allusioni
pesanti o velate, a chi per avvalorarle parla ancora di “stranezze”…
Penso al CORRIERE DI LUCCA e ad altri squallidi, ammiccanti articoletti,
penso che una giornalista fa parte dell’Associazione “L’Altro
Volto – Lucca Gay e Lesbica” ed è la maggiore responsabile
di questa campagna diffamatoria…
«Li denuncerò. Domani…» - penso che bisogna proprio
essere malati, o in malafede, o feroci per insinuare che due persone possano
inventarsi una cosa come questa per farsi pubblicità - pubblicità
di cosa, per cosa? Rabbia, dolore, offesa – sono parole che da sole
non possono descrivere quello che sento.
«Li denuncerò. Domani…» - penso a Sara che non
se l’è sentita di venire ed è meglio così,
basta una in famiglia.
«Li denuncerò. Domani…». Non riesco a trattenere
le lacrime, le nascondo sotto gli occhiali, mi faccio coraggio: “Via,
Ricci, tirati su… la giornata non è ancora finita”.
Penso
che rivoglio indietro la mia vita.
Ore
19:00 circa. Maria Teresa ringrazia – rompete le righe.
Drappelli
di sconosciute e sconosciuti si muovono guardandomi. Vengono anche da
molto lontano. Hanno preso un giorno di ferie o rinunciato ad andare chissà
dove per essere qui. Gli sono così grata, vorrei lo sapessero.
Hanno viaggiato in treno, in macchina, fatto centinaia di chilometri sotto
il sole, sopportato code, cantieri, incidenti, ritardi, coincidenze impossibili.
Qualcuno viene a salutarmi, deve ripartire altrimenti non avrà
più treni utili per tornare a casa. Cerco Sveva Magaraggia, ci
tengo tanto a stringerle la mano… Buffo, non conosco quasi nessuno
eppure queste sono le uniche persone che vorrei al mio fianco.
Sento gridare: «Inseguila!»
«Chi?»
«Quella ragazza, Mirka! È arrivata da poco, non so da dove,
è da sola, deve ripartire subito!»
Corro, la chiamo. Si volta. Non potrei descriverla, noto solo che il suo
zaino è più grande e pesante di lei. Mi scuso, la ringrazio,
l’abbraccio e la lascio andare. Torno indietro. Mi si avvicina una
donna, mi guarda intensamente: «Sono Silvia, da Milano… posso
chiederti di portare un bacio a Sara?»
«Certo…» - e guardo andare anche lei. Tristezza, adesso.
Sì, queste sono le persone che vorrei mi circondassero, sempre,
ma ci vorrebbe il teletrasporto…
Spargo
la voce: «Andiamocene, non ce la faccio più, non mi regge
il cuore…» - inutilmente. Rilascio persino un’intervista
telefonica a LIBERAZIONE che riporterà la frase più ovvia
e sciocca che ho detto («Le donne devono smetterla di tacere! Non
sono responsabili di niente, sono solo vittime»), poi, Fabio si
avvicina, ha un regalo per me: Laura, da Treviso… «Laura!»
- è arrivata adesso, anche lei, si scusa neanche fosse colpa sua…
È bella, sguardo dolce e intelligente, vorrei stropicciarla…
L’affido al mio gruppetto di donne coraggiose e m’intrattengo
ancora un po’ con le stoiche sostenitrici della manifestazione…
Colpo
di scena. Trafelate arrivano le ragazze del collettivo Clitoristrix di
Bologna: «Ma come, è già finita?» – sì,
è già finita. Ci scambiamo i volantini, avevano persino
fatto degli adesivi… Che forza queste donne…
Decido
di prendere la situazione in mano: «Aperitivo!» e i tre gruppi
si uniscono. Siamo una ventina: che qualcuno venga a dirci qualcosa, adesso,
se ne ha il coraggio. Assaltiamo un bar. Tutte parlano con tutte, ridono.
Donne tanto diverse ed estranee si relazionano, seppur superficialmente,
senza pregiudiziali, senza alzare steccati. Non so chi è lesbica,
chi non lo è, e penso che non importi a nessuna saperlo.
In
fondo basterebbe così poco per trovarsi d’accordo: fiducia,
modestia, generosità, rispetto e buon senso.
Chi
poteva e doveva esserci, oggi ha perso l’occasione d’imparare
qualcosa.
C.
Ricci
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