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«È
accaduto il 18 aprile scorso. Un agguato dietro casa. Due, sui trent'anni.
L'hanno colpita alle spalle. È caduta nel fango, tramortita. L'hanno
tirata su. Uno la immobilizzava. L'altro agiva, parlava in continuazione,
la umiliava, insultava. Le ha detto, usando il mio nome, che lo facevano
a lei perché tanto farlo a me non sarebbe servito, così
avrei imparato, capito, che dovevo smetterla, altrimenti sapevano dove
andarla a cercare».
Questa è la denuncia di Cinzia, dura, dettagliata, di un fatto
che la città stenta a capire. Un fatto troppo grave per essere
taciuto, ma che può essere impossibile raccontare, per chi lo ha
vissuto. Un atto di violenza sessuale contro una giovane donna lesbica,
per minacciare la sua compagna.
Cinzia Ricci è nata nel 1964 a Lucca. Dipinge, scrive poesie e
racconti, si specializza nel disegno artistico (illustrazioni, grafica
pubblicitaria, Ex Libris) e tecnico (complementi di arredamento e scenografie),
progetta e realizza allestimenti teatrali, lavora come tecnico luci, macchinista,
attrezzista anche per il cinema, si dedica alla fotografia, impara l'arte
del restauro e della decorazione. Diventa un ottimo artigiano e con questo
si guadagna da vivere. Nel 2001 è tra le fondatrici della mailing
list Ali (Alternativa lesbica italiana, comunità on-line nazionale)
per la quale progetta la grafica dello zibaldone «AcchiappaLesbiche!».
Da circa due anni lavora ad un'ambiziosa e articolata ricerca su lesbismo
e lesbofobia nel cinema. Fra i suoi più importanti impegni vi è
l'inchiesta «Borderline», a partire dalla quale la radio di
stato tedesca ha realizzato un programma che è andato in onda recentemente.
Cinzia promuove, con un quotidiano lavoro culturale, il volto dell'omosessualità
che viene definito come «lesbismo sommerso». Raccoglie storie
di vita, esperienze taciute, negate, impopolari e destinate all'oblio,
quelle che non fanno notizia, tendenza. Lo fa da anni, attraverso le inchieste
raccolte nel suo sito www.cinziaricci.it, «una galleria permanente»
per chi è invisibile. Un progetto, questo, sostenuto dalla sua
compagna, Sara, che quella mattina passeggiava nella tranquilla periferia
lucchese insieme al suo cane, e che ha vissuto un incubo impronunciabile.
Racconta
Cinzia: «Sara dice che avevano due facce pulite da bravi ragazzi
e l’ultimo modello di un’auto, sicuramente costosissima. Forse
una ragazza a casa ad aspettarli, certamente dei genitori, magari una
moglie, dei figli, e un lavoretto da fare, durante il fine settimana,
senza rischi… Aggredire una donna per colpirne un’altra, solo
perché non ha vergogna di essere se stessa, non si nasconde, non
tiene il becco chiuso. Colpirla perché rimanga vulnerabile. Colpirla
nei suoi affetti contro natura. Colpirla perché la smetta di sentirsi
libera. Colpirla perché capisca cosa vuol dire non esserlo, che
la sua vita non conta nulla e chiunque può farne quel che vuole,
specie se ha buoni amici pronti a coprirgli le spalle, amici che conoscono
il codice penale tanto da sapere che non puoi essere giudicato per stupro
se non l’hai fatto con il pene, perché per la legge italiana
se prendi una donna e la massacri con un bastone, le mani, un camion,
non l’hai stuprata, no, hai solo compiuto atti di libidine...Sara
è stata aggredita, violentata e minacciata perché donna
e lesbica. Ecco la nuda verità, ecco cosa è accaduto».
Cinzia e Sara denunciano subito l’accaduto al comando dei Carabinieri.
Ma le indagini, passate alla Procura della Repubblica di Lucca, arrivano
presto ad un punto morto. Nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno
collabora.
Racconta ancora Cinzia: «Questo succede nell’opulenta Lucca
delle meraviglie, in quest’Italia felice, ricca, civile, cattolica.
Stiamo pericolosamente regredendo, degradando su posizioni sempre più
integraliste, reazionarie. Di questa deriva politica, culturale ed etica
ne fanno le spese tutti. Dimmi, che razza di prospettive può avere
una persona omosessuale o in transito da un genere all’altro, in
un paese dove le sono negati pari diritti e opportunità? Dove se
sei “visibile”, impegnata a chiedere di essere riconosciuta,
le istituzioni permettono senza scandalizzarsi che tu divenga oggetto
di soprusi, privazioni, pestaggi, stupri, linciaggi fisici e morali? Noi
non siamo gradite, non godiamo di alcun credito, garanzia, protezione.
Non ti sembra un copione già scritto? Non ti sembra che dovrebbe
essere un dovere opporsi, rifiutarsi di guardare da un’altra parte?
Qualcuno dice che dovremmo cercarci un buon avvocato… A quale scopo?
Per difendere la nostra reputazione dalle insinuazioni che privati cittadini,
stampa e istituzioni bisbigliano? Per tutelare il nostro onore, pretendere
che sia fatta giustizia? Noi non ne abbiamo diritto. Quello che è
successo, tutto quello che sta succedendo adesso, ne è una dimostrazione.
Non siamo noi che dobbiamo dimostrare di dire la verità, di essere
state oltraggiate nel corpo e nell’anima, è chi si fa complice
che deve dimostrare a se stesso, a sua madre, a sua moglie, alle sue figlie,
a tutti, di avere le mani pulite e la coscienza a posto».
Non è la prima volta che Cinzia denuncia il volto violento del
neofascismo, che a Lucca sembra sia nascosto dietro troppe coperture.
Un anno fa, il 27 settembre 2003, Forza nuova promuove un nuovo raduno,
l’ennesimo, che giunge a coronamento di un’estate caldissima
in cui, in diverse occasioni, all’uscita di locali o discoteche,
omosessuali vengono aggrediti da giovani teste rasate, mai identificate.
E la vetrina di una libreria del centro storico, rea di avere ospitato
la presentazione di libri di cultura omosessuale, quell’estate è
finita in frantumi, con la scritta «Gay Raus». In migliaia,
quel giorno, risposero al raduno di Forza nuova e al comizio del suo segretario
Roberto Fiore. Dopo un breve corteo, dal palco, insieme ai partigiani
e agli antifascisti, anche Cinzia aveva preso la parola. «A chi
cerca di ricacciarci nel ghetto – aveva detto - rispondiamo con
la cultura e l'orgoglio. Il fascismo non è solo il saluto romano,
una bandiera con la croce celtica, i proclami apparentemente innocui,
la difesa della famiglia, della razza. Il fascismo è disprezzo,
è il tentativo di fondare una società sui privilegi, è
negare il diritto all'esistenza dell'altro, negargli pari opportunità,
sicurezza, cittadinanza».
Pochi mesi dopo, in una piovosa mattina primaverile, Sara viene violentata.
Nei giorni immediatamente successivi, consigliate dagli inquirenti, Sara
e Cinzia tacciono per non interferire nelle indagini. Ma quando queste
giungono a un punto morto, loro denunciano pubblicamente l'accaduto. Escono
alcuni articoli di giornali, ma la città sembra non comprendere.
Dubita, insinua, molte illazioni ne svelano la faccia peggiore. Alcuni
accusano Cinzia e Sara di essersi inventate tutto, altri sorridono nel
leggere i giornali e fanno battute. In fondo sono lesbiche.
La città democratica reagisce, le istituzioni si indignano, in
una serata estiva Cinzia apre un corteo cittadino silenzioso di denuncia.
Però i responsabili delle violenze a Sara non hanno ancora un nome.
«Lucca – commenta Cinzia – non si è mobilitata
con sufficiente forza e incisività contro ciò che è
ci accaduto. È mancata l'informazione e la volontà di trasformare
una tragedia in un'occasione per dire finalmente basta, aprire un serio
dibattito intorno alle discriminazioni e alle violenze che alcuni e alcune
nel nostro paese subiscono, oggi più di ieri, nell'indifferenza
generale, godendo di legittimazione politica e di forme più o meno
evidenti di tolleranza. Ci auguriamo che almeno gli uomini e le donne
che non si sono fatti intimorire, e hanno sostenuto il nostro grido silenzioso,
contribuiscano con il loro senso civico a risvegliare le coscienze di
questa indolente italietta».
Intanto, anche grazie al fatto che la notizia è stata resa pubblica,
l'inchiesta riprende. Secondo la testimonianza della compagna di Cinzia,
uno dei due aggressori, quello che parlava, sarebbe certamente toscano,
ma non lucchese. Ciò rende le indagini ancor più complicate
e forse sottende che gli autori dell'aggressione siano arrivati da fuori,
e che magari abbiano agito su commissione.
“Sì – conclude Cinzia -, aggressori e mandanti sono
ancora là fuori. D’altronde qualcuno il lavoro sporco dovrà
pur farlo. Gli squadristi fanno comodo, in questo paese che non ha imparato
nulla dalla storia, per chi crede che basti adeguarsi, far finta di niente
per non avere responsabilità ed essere al sicuro. Beh, nessuno
lo è».
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