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DIZIONARIO CRITICO SUL LESBISMO E LA LESBOFOBIA NEL CINEMA DAL 1895 AD OGGI...
risponde all’esigenza di raccogliere in un’unica opera quante più informazioni esistono non solo sul tema dell’omosessualità femminile ma anche, più in generale, sui devastanti effetti che maschilismo, sessismo e omofobia (o lesbofobia, secondo una recente differenziazione) hanno prodotto sul modo di rappresentare la donna nel cinema dal muto all’avvento del colore sino ai giorni nostri. Un DIZIONARIO CRITICO che privilegia la qualità, da consultare ma anche da leggere, accurato, originale nella forma e nel contenuto, dinamico e persino divertente, scritto in un italiano corretto, senza inutili tecnicismi e verbosità, scorrevole e semplice ma non discorsivo o gergale, che partendo dall’assunto ragiona, dialoga, si apre a ventaglio, spazia in ogni campo, travalica i suoi stessi confini così da poter essere apprezzato e consultato anche da un pubblico non direttamente interessato all’argomento. Per
questo abbiamo inteso raccogliere anche quei film che, al di là
dei riferimenti impliciti o espliciti al lesbismo, talvolta esplorano
l’esperienza e l’animo umano ben oltre i ruoli e le appartenenze
di genere, più spesso, purtroppo, tornano ad affermarle anacronisticamente
incoraggiando contrapposizioni autolesioniste che offendono il buon senso
e l’intelligenza. Centinaia di titoli che, tuttavia, sono solo una piccolissima parte di quelli esistenti. Non è possibile, infatti, individuarli tutti in una filmografia sconfinata che raramente giunge nel nostro paese conquistandosi una distribuzione appena decente e qualche riga sulla stampa specializzata o meno che sia. Se poi all’interno di un film il lesbismo non è argomento abbastanza rilevante, o non è ritenuto particolarmente significativo o conveniente, i recensori glissano rendendo la ricerca ancor più improba… Per stanarli ho praticamente passato al setaccio tutti i dizionari italiani che sono in commercio ed un gran numero di altre pubblicazioni facendo controlli incrociati fra le sinossi e le critiche anche soltanto vagamente allusive, ma poiché spesso le une attingono dalle altre perpetuando omissioni, inesattezze e scempiaggini, ed io stessa per distrazione, stanchezza o ignoranza posso aver trascurato o frainteso qualcosa, so di aver dato vita ad un progetto sicuramente destinato a rimanere imperfetto, lacunoso e parziale. Il cinema, dunque: pretesto, occasione, specchio ineffabile dell’apparenza, mai capace sino in fondo di somigliarci, di raccontare le infinite grandezze e piccinerie delle quali siamo capaci. La realtà (la storia) supera la fantasia e noi, attori e/o spettatori, non possiamo far altro che interpretarla, subirla, negarla o indagarla. Al cinema il compito difficile e affascinante di provare a descriverla, o trascenderla – e talvolta persino inventarla. Cinzia Ricci è una ricerca che definire cospicua è poco. Gran parte del materiale è già stato raccolto ma per poterlo pubblicare integralmente mi occorrono non solo moltissimi mesi di lavoro costante, giornaliero (indispensabile per trascrivere, riordinare, approfondire, aggiornare, verificare, selezionare e impaginare ciascuna scheda), ma anche una competenza in fatto di costruzione di siti web che si và affinando nel tempo. Confido pertanto nella vostra comprensione: non spazientitevi troppo di fronte alle numerosissime "Pagine in preparazione" che troverete, prima o poi porterò a termine il lavoro - è una promessa. Inoltre, se scorrendo l’elenco dei film scoprite che ne mancano alcuni, se riscontrate errori, inesattezze o avete informazioni e immagini che possono arricchire le schede esistenti o crearne di nuove, non esitate - scrivetemi subito!
GRAZIE per aver scelto di visitare il mio sito e... buona navigazione!
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LESBOFOBIA NEL CINEMA ETEROSESSUALE
In questa sezione ho raccolto principalmente i film che, dal muto all’avvento del sonoro sino ad oggi, hanno in qualche modo ammesso e mostrato l’esistenza del lesbismo, ma anche altri che hanno raccontato storie di donne insolite, fuori dagli schemi, dimostrando, forse per caso, che vi è una dimensione “altra” nella quale l’ingegno e l’emotività femminile di tanto in tanto si distinguono, hanno un moto di ribellione ed emergono con prepotenza senza un piano prestabilito, una meta, un fine - identità vigorose o effimere capaci di smentire i pregiudizi e se stesse, la prevedibilità dei ruoli. Luminose, sbiadite o cupe eccezioni che, nel cinema e nella vita, confermano la regola e spesso tornano nell’ombra ad essere strumento. Partendo quindi dai primissimi film in bianco e nero nei quali il lesbismo è perlopiù sottinteso (“Cinématographe”, dal 1914 alla fine degli anni Sessanta), passando attraverso le produzioni nostrane più scadenti e raccogliticce (“sTRASHissimi!”, porno, thriller, horror, soft e hard, veri cult per estimatori), il cinema delle mayor statunitensi, i film indipendenti e d’autore d’ogni genere e nazionalità, anche italiani ma fuori dal trash volontario o involontario (“Tracks on the sand”, titoli a partire dagli anni Sessanta), sino ad arrivare alla fiction e ai documentari televisivi (“Zapping”), proponiamo un ampio catalogo di film che spaziano dalla serie “A” alla “Z”, talvolta veri e propri cimeli scampati all’oblio, al disprezzo o al saccheggio, altri ormai introvabili, probabilmente andati perduti, dei quali si sa poco o nulla, più spesso, naturalmente, prodotti di largo consumo nei quali il lesbismo è appena accennato, più o meno esplicito, di norma marginale, esecrato o deriso, utilizzato per attrarre lo spettatore o sostenere preconcetti e luoghi comuni duri a morire come chi li fa propri. Così era e perlopiù così è ancora - purtroppo. Certo, comincia a farsi strada qualche timida o sfrontata apertura, finalmente in alcuni film destinati al grande pubblico il tema è affrontato con nonchalance, magari buttato lì senza approfondirlo ma almeno non trasformato in tragedia. In alcune pellicole è addirittura sopravvalutato, edulcorato al punto da sembrare inverosimile anche a chi non ne sa niente, ma tant’è... al di fuori delle produzioni indipendenti, dei festival e delle rassegne di settore, questo offre il mercato, prendere o lasciare - e noi che siamo un bel po’ fuori di cotenna, prendiamo, altroché se prendiamo, nei limiti del possibile. Cinzia Ricci
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IL BIANCO E NERO DAL 1914 AGLI ANNI SESSANTA
Dalla nascita ufficiale del cinema alla fine della storica epopea del bianco e nero avvenuta intorno agli anni Sessanta, non esistono molti film che parlano apertamente di lesbismo, né alle donne che hanno contribuito a fare del cinema la settima arte è riconosciuto il merito che avevano ed hanno. Le ragioni del silenzio sono ovviamente le stesse di sempre, tuttavia ci pare che vi sia stato, soprattutto nei primi decenni del Novecento, un fermento creativo, una vivacità intellettuale ed anche in taluni casi una spavalderia che, fatte le dovute distinzioni tra i differenti periodi storici e i diversi contesti culturali, nel tempo è progressivamente venuta meno lasciando il posto ad un vero e proprio progetto di opposizione a qualsiasi tipo di cambiamento che includesse la ridefinizione dei ruoli con tutte le implicazioni in termini di perdita di potere e privilegi che le strutture sociali fondate sul dogma familistico tradizionale, sul dualismo maschio/femmina eteresessuale, garantiscono ai suoi fautori. Pensiamo, ad esempio, a “A Florida Enchantment” di Sidney Drew (1914, Usa), il primo film che, servendosi del travestimento farsesco, inverte i ruoli sessuali e ci mostra due donne che fanno baldoria e vanno a caccia di femmine come fossero impenitenti donnaioli. Una commedia degli equivoci, ovviamente, nella quale è la visione maschile dei sessi a dominare il travestimento e a rimettere tutto a posto, ma nella quale emerge comunque e con evidenza una sorprendente tolleranza (o per meglio dire un’allegra sottovalutazione) verso le possibili “devianze” affettive e sessuali femminili, subito messa a tacere dalla nascita di comitati moralizzatori e leggi specifiche che, ovunque nel mondo ma soprattutto in America già a partire dal 1915, sono servite ad ammansire artisti e spettatori, condizionandone le scelte e addormentandone le coscienze. Così il lesbismo che non poteva essere né cancellato né mostrato, è divenuto prima “invisibile”, quindi è stato strumentalizzato demagogicamente, ridicolizzato o criminalizzato (un fenomeno purtroppo ancora attuale), infine, a partire dagli anni Settanta, trasformato in un escamotage commerciale capace di affollare i botteghini. Il periodo che ha preceduto in Europa l’avvento del nazismo (che soffocò per sempre gli straordinari fermenti culturali fioriti in seno alla Repubblica di Weimar e subito dopo sterminò la fiorente comunità gay e lesbica facendo soltanto in Germania non meno di 15.000 vittime) e in America l’entrata in vigore il 31 Marzo 1930 del famigerato codice Hays (che in settanta anni di vittime ne ha fatte molte di più, ma nessuno potrà mai contarle), ci ha regalato opere memorabili ed artisti straordinari che hanno scritto la storia della cinematografia. Molti di questi sono donne ma quasi nessuno lo sa. Nel peggiore dei casi l’oscurantismo maschilista le ha rimosse dalla memoria storica, nel migliore le ha relegate in ruoli subalterni, nell’ombra di colleghi spesso non altrettanto meritori eppure, solo perché uomini, degni d’approfittare del loro lavoro, raccoglierne i frutti e gli onori (Thea von Harbou, scrittrice e sceneggiatrice funambolica, moglie del celebrato Fritz Lang, sino al 1933 autrice “negata” dei suoi film – tanto per citarne una). Quanti sanno, ad esempio, che Alice Guy-Blanché è stata la prima donna regista e il primo regista al mondo che ha utilizzato un soggetto per il grande schermo precedendo Méliès? Quanti sanno che del periodo del film muto Dorothy Arzner è l’unico montatore donna (oltre che regista), insieme alla russa Esfir Sub, ad essere ricordata ufficialmente, che è l’inventrice dei microfoni mobili e che Francis Ford Coppola ha imparato da lei tutto quello che c’era da sapere su come si fa un film? E cosa dire di Germaine Dulac che anticipò l'avanguardia degli anni Venti? Della magnificenza figurativa e stilistica dei documentari di Leni Riefenstahl, tuttora nominata con imbarazzo nonostante la monumentale importanza della sua opera? Un’epoca attraversata dalle donne in punta dei piedi eppure, piaccia o meno a qualcuno, le orme che hanno lasciato sono tracce indelebili che ci auguriamo il tempo, almeno quello, riscatterà.
L’avanguardia femminile
Questo
è un elenco certamente incompleto delle registe che hanno operato
dal 1895 al 1935 circa. Avrei voluto proporre di ognuna una scheda biografica,
magari anche solo due righe, ma nonostante l’impegno profuso, sulla
maggior parte di loro non ho trovato nemmeno una parola. Ancora una volta
devo constatare che il lavoro delle donne non è tenuto in alcun
conto, che la realtà è una moneta truccata che mostra di
sé solo una faccia – quella che gli storici e i critici conoscono,
o preferiscono.
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FILM A PARTIRE DAGLI ANNI SESSANTA
Il cinema è finzione. La realtà, appunto, è un’altra cosa, è sempre stata altro e non perché il cinema non ha fatto “arte”, non ha prodotto “pensiero”, non ha mostrato l’esistente divenendo denuncia e rivendicazione (talvolta sì, certo, soprattutto all’inizio o in successive correnti espressive nate specialmente in Europa), ma perché più che in altre discipline ha dovuto fare i conti con gli interessi economici politico-religiosi delle lobbie che hanno alternativamente governato i paesi e i mercati, ha dovuto sottostare ai loro diktat, a codici di regolamentazione restrittivi ancorché iniqui, strumentali e propagandistici che, sebbene nel tempo mutati, ancora lo condizionano pesantemente. Il cinema, dunque, è stato più o meno connivente - per sopravvivere si è adeguato. Non si può parlare di film che affrontano direttamente o indirettamente tematiche omosessuali (maschili ma, soprattutto, femminili) senza tenerne conto, senza conoscere la storia del cinema dal 1895 ad oggi, il contesto storico, politico, sociale e culturale nel quale il cinema si è sviluppato, senza conoscere i condizionamenti e le pressioni che i cineasti (moltissimi dei quali erano e sono omosessuali), hanno subito. Non si può parlare di cinema senza dare risalto ai guasti che il cinema americano, il più importante e influente esportatore di modelli culturali, ha saputo produrre in oltre un secolo. “fiLmES”, fra le altre cose, si propone di fare anche questo. Cinzia Ricci
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ITALICHE INDECENZE, O QUASI...
In senso generale il panorama del cinema italiano è alquanto desolante, avvilente, se poi andiamo a cercarvi un guizzo d’originalità e coraggio capace di farci sperare in un futuro migliore, beh, inutile scapicollarsi… Insomma, visti gli scarsi mezzi messi a disposizione e l’ancor minore sensibilità rispetto a certi temi, sull’omosessualità femminile, a parte qualche rara eccezione peraltro ormai datata, è stato prodotto veramente poco - e male, anzi, malissimo! Nel nostro paese, ancora drammaticamente arretrato dal punto di vista culturale, ora più che mai integralista, saldamente avvinghiato alle sue tradizioni catto-maschiliste ed omofobe, il lesbismo era e rimane un escamotage soft e hard utilizzato per attrarre quella fetta di pubblico (pruriginoso e purtroppo assai vasto) composto da guardoni, coppie scambiste, integerrimi padri e madri di famiglia o giovani aspiranti tali che delle “devianze” sessuali e ideologiche hanno bisogno per rafforzare la loro smisurata opinione di sé: razza superiore, popolo di eletti che si genuflette al cospetto dei dogmi religiosi e politici, ma dietro le mura di casa ne combina di tutti i colori con una naturalezza che lascia senza fiato… Così nel cinema italiano le scene e i personaggi falsamente lesbici si sprecano - a loro uso e consumo. Dall’horror gotico ai pecorecci passando attraverso il thriller, il poliziesco, lo psicologico, il melodramma, dal neorealismo alla commedia, dai film impegnati ai vacanzieri dell’ultima ora, le lesbiche emergono, certo, ma solo in quanto bisessuali o ninfomani scriteriate, figlie e spose del demonio, assetate di sangue, potere e denaro, incapaci di amore puro e altruistico, vittime sacrificali dei propri e altrui deliri, schiave del desiderio, succubi della carne, nemiche perdenti dell’ordine costituito, dell’istituzione familiare, dei sani principi e dei buoni sentimenti cattolici e neoliberisti. Se profondamente, veramente lesbiche, per loro è sempre pronto un castigo divino esemplare, la giustizia terrena non ha alcuna pietà: nella peggiore delle ipotesi sono destinate alla solitudine e al disprezzo eterno, nella migliore muoiono invariabilmente assassinate o suicide, talvolta anche quando “inspiegabilmente” pentite, “miracolosamente” rinsavite – la morte morale o fisica come premio, liberazione, catarsi, massima efficacia e valore dell’espiazione, prova inconfutabile dell’avvenuta redenzione, trionfo dell’esistente, della sacrosanta “normalità”. Non vi è traccia nel cinema italiano di un happy end quando si tratta di amori lesbici autentici e corrisposti. Il lieto fine si fa strada negli anni Novanta solo se la lesbica “irriducibile” a poco a poco “evapora” dalla storia mentre la compagna, evidentemente in un’innocua fase transitoria, alla fine le preferisce l’amico comprensivo e tollerante, magari gay, e con lui concepisce pure l’erede al trono dell’imbecillità imperante. Le lesbiche in quanto figure fumettistiche, talvolta misteriose, temibili, spesso miserabili, comunque improbabili, che stagnano nel cervello degli italiani perlopiù ignorate, disprezzate o distorte, portate sullo schermo dai loro detrattori, dai paladini del buon costume o prodotte dalla catena di montaggio cinematografica che negli ultimi quarant’anni le ha infilate dappertutto pur di accaparrarsi qualche spettatore in più, sono quasi sempre nude, bambole gonfiabili, accessorie o necessarie, comunque strumentali devianti. Le lesbiche in quanto creature umane, persone con proprie identità e specificità ma non dissimili dalle altre, ovunque nel mondo ma in Italia più che altrove, non hanno diritto di cittadinanza, non esistono – quasi mai. I film italiani che parlano di lesbismo con una certa onestà si contano sulle dita di due mani e tutti sono di una tragicità assoluta, gli altri (cult, drammatici, orrorifici o divertenti che siano) sono centinaia – una montagna di spazzatura che malgrado i generi e le intenzioni degli autori (spesso oppressi da produttori privi di scrupoli, cultura, buon senso e gusto) è diventata un filone e, qui, un’ulteriore sezione: “sTRASHissimi!” appunto - perché se lo meritano. Cinzia Ricci
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NEW QUEER E NEW DYKE: CINEMA LESBICO E DINTORNI...
Parallelamente al cinema commerciale maschilista sostanzialmente misogino, omo e lesbofobico, dagli anni Settanta/Ottanta si è andato affermando il cosiddetto cinema indipendente, nel quale a poco a poco anche gli omosessuali e le lesbiche hanno cominciato ad apparire sul grande e piccolo schermo per quello che erano: persone viventi sempre meno caricaturali e non mostruose invenzioni letterarie, schegge impazzite destinate a morte sicura, al peggior inferno terreno e metafisico. Una concessione che nel cinema soprattutto “commerciale” è costata lacrime e sangue a centinaia di personaggi di celluloide, ma anche a tanti, troppi uomini e donne che dandogli vita ne hanno scontato l’infamia rovinandosi la carriera. Con il tempo gli autori di film gay/lesbici si sono dotati di canali di produzione e distribuzione propri conquistando fette di mercato destinate ad espandersi con il progressivo deterioramento dei preconcetti - le loro produzioni innovative e trasgressive hanno dato vita a vere e proprie correnti fortemente indipendenti, che si esprimono in modo particolare attraverso i corti e mediometraggi, nella fiction ma soprattutto in opere documentaristiche o sperimentali, nell’animazione: fra queste ricordiamo il New Queer Cinema (che comprende un gran numero di film a tematica prevalentemente gay) e il New Dyke Cinema (che comprende un modesto numero di film prodotti da una specifica comunità lesbica statunitense – “Go-Fish” è uno di questi). Ormai inseriti nel tessuto sociale, perlopiù “visibili”, fra loro collegati, organizzati, certamente accomunati da interessi e obiettivi comuni, gli omosessuali hanno potuto e saputo occupare spazi appena qualche anno fa inimmaginabili nei quali solo occasionalmente le donne hanno avuto un ruolo rilevante. Forse più riservate, di certo socialmente, culturalmente e politicamente isolate, ai margini di un mondo comunque costruito dagli uomini per gli uomini, le lesbiche sono rimaste nell’ombra continuando ad esprimere con scarsissimi mezzi e ancor meno attenzione la propria creatività e ingegno senza peraltro avvertire la necessità o l’urgenza di darsi una ribalta che le rendesse giustizia. Non penso si possa sostenere che vi sia un progetto lesbico di ampio respiro, tuttavia esiste un impegno civile finalizzato al raggiungimento di obiettivi pratici di utilità generale che le donne perseguono in modo disomogeneo e anarcoide, tutto sommato ognuna per conto proprio o al più organizzate in piccoli gruppi scollegati fra loro se non addirittura inutilmente e inspiegabilmente antagonisti. No, di fatto non esiste un progetto politico, ma esiste una cultura delle donne, quindi, se di cinema lesbico possiamo parlare, dobbiamo riferirci ad essa andando a scoprire ed analizzare quelle pellicole prodotte da un ristretto numero di donne per un altrettanto ristretto e selezionato pubblico quasi esclusivamente femminile, più o meno impegnato; film che di norma, soprattutto in Italia, sono approdati al grande schermo tramite i Festival Gay e le rassegne di settore, relegati in piccoli spazi comunque marginali ai quali inevitabilmente è stato dato poco risalto e ancor meno importanza. D’altronde non vi sono molte pellicole scritte da donne (alle quali, occorre dirlo, tuttora non sono concesse le stesse opportunità date agli uomini) e il loro cinema si esprime attraverso stili e linguaggi non propriamente “universali” - si ha a che fare con temi e modalità personalissimi, fortemente caratterizzati, intimi o intimisti, sempre meno femministi o politicizzati, propri dell’essere umano tout court ma relativi al vissuto femminile e alle sue problematiche, ad un modo di percepire ed esprimere che, anche se ancora condizionato dalla cultura maschile, sempre più si appropria di una sua specificità e per ciò stesso allontana dalla possibilità di divenire popolare, rappresentativo, economicamente e politicamente conveniente. Così è e così continuerà ad essere almeno sin quando prevarrà la cultura maschilista, a qualsiasi religione o ideologia appartenga (1). Certo, qualche clamorosa e inattesa eccezione vi è stata: “Cuori nel deserto”, ad esempio, un film sfacciatamente esplicito e sincero prodotto in tempi non sospetti (era il 1985), è trasmesso con una certa regolarità dalle emittenti televisive di mezzo mondo ed è ancora una delle videocassette più noleggiate! Penso che sarebbe riduttivo ed offensivo affermare che tanto successo lo debba solo alle delicate seppur realistiche scene di sesso fra le protagoniste (esistono film precedenti e successivi capaci di accontentare anche il più esigente voyeur!), credo, piuttosto, che abbia conquistato il grande pubblico per la sua imparzialità e franchezza, cosa che dimostra una disponibilità alla normalizzazione ed un bisogno di “verità” che i cineasti gay, lesbiche ed eterosessuali mediamente dotati di onestà intellettuale, dovrebbero affrettarsi a soddisfare - pur non rinunciando ad esprimere le loro specificità concettuali e stilistiche, qualora vi siano. E allora la domanda è legittima e retorica, la risposta scontata: “Only for woman?” - no, o almeno così non dovrebbe essere. Cercheremo nei limiti del possibile di integrare le informazioni già esistenti sui film lesbici con altre inedite, nuovi giudizi critici e quant’altro potremo e sapremo raccogliere sperando in una fattiva collaborazione da parte di chi apprezza questo tipo di cinema, lo ospita, distribuisce, magari crea. Più che una speranza è una preghiera - sappiamo che occorrerà molto tempo prima di riuscirci ma se non si comincia... Cinzia Ricci
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