|
||||||||
|
||||||||
Regista (Asnières, o Amiens, Francia, 17 novembre 1882 - Parigi 1942)
Charlotte Élisabeth Germaine Saisset-Schneider, regista e produttrice indipendente dal 1916, teorica del cinema puro e integrale, del film come sinfonia visiva, anticipò l'avanguardia degli anni Venti, di cui fu la maggiore rappresentante, e per prima definì con la parola “impressionismo” la teoria sulla quale si fondava. Figlia di un capitano di cavalleria, è accudita dalla nonna di Parigi. Studia Arte e impara ad amare la musica lirica. All'inizio del secolo si sposa con lo scrittore Marie-Louis Albert Dulac e dal 1908 si dedica alla critica teatrale e cinematografica divenendo, fra l’altro, direttrice del giornale “La Française”, l'organo del Movimento Francese Suffragette. Nel 1915 crea insieme al marito una piccola casa di produzione, la Delia Film. Nel 1916 esordisce alla regia dirigendo film a basso costo dei quali il primo è “Les Soeurs ennemies”. Conosce il giornalista Louis Delluc (del quale la Dulac continuò l’opera sviluppando i cineclub) e insieme realizzano “La Fête espagnole” (1919, scenario di Louis Delluc), storia di due uomini che amano la stessa donna e diventano complici di omicidio quando vengono a sapere che lei ama un altro. In seguito la Dulac diresse molti altri film, non sempre congeniali al suo temperamento inquieto. Divorzia dal marito e nel 1923 gira quello che viene considerato il suo capolavoro assoluto: “La Souriante Madame Beudet”, dove la Dulac porta alle estreme conseguenze la sua esplorazione dell’animo umano e dove descrive, con grande padronanza del mezzo cinematografico, la vita matrimoniale di una donna. Oltre all'aspetto politico circa la condizione della donna in rapporto all'uomo, il film la rende la figura più importante del movimento impressionista francese e apre la strada ad un genere intimista e psicologico nel quale, però, la Dulac non si addentrò, preferendo invece cimentarsi in nuove forme d’avanguardia. Sempre nel 1923 gira “Gossette”, interessante incontro di due storie: quella di un'orfana e quella di un uomo accusato di uxoricidio. In seguito la Dulac entra a far parte della seconda avanguardia del cinema francese con La “Coquille et le clergyman” (1927). Antonin Artaud che ne firmò la sceneggiatura, accusò la Dulac di non averla utilizzata secondo i principi antiborghesi, autenticamente rivoluzionari e provocatori del movimento e ripudiò l’opera, nondimeno il film è considerato un genuino esempio del surrealismo cinematografico insieme a “Un chien andalou” (1928) e “L’âge d’or” (1930) entrambi di Luis Buñuel e Salvator Dalì, e “Las Hurdes” (1932) dello stesso Buñuel e Pierre Unik. Lo stesso anno realizza l'interessante “L'invitation au voyage”, tratto da una poesia di Charles Baudelaire. Interessante anche “Rythme et variation” (o “Thèmes et variations”), nel quale il movimento delle immagini segue il ritmo suggerito dalla musica di Chopin e Debussy. Negli anni Trenta e Quaranta si occupa di cinegiornali d’informazione con la serie delle France Actualités, prima alla Pathé e poi alla Gaumont.
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Da “Dolci sorelle di rabbia – Cento anni di cinemadonna” di Pino Bertelli
Artista del mezzo cinematografico dimenticata e allontanata o scomparsa da convegni storici o negli incontri sul cinema d’autore. Principessa di “cinema puro” e “musica visiva”. Nel 1909 la Dulac è redattrice nella rivista d’ispirazione femminista “La française”, cura dei ritratti su donne celebri e scrive di teatro e di cinema. Nel 1915 fonda (insieme alla poetessa e romanziera Irene Hillel-Erianger che collabora alle sceneggiature) una sua casa di produzione, la Delia Film. Con Louis Delluc, Marcel l’Herbier, Jean Epstein e Abel Gance dà vita al gruppo “famoso” per l’appellativo “gli impressionisti” (che tutti “tradiscono” con dovizia d’intenti). La Dulac esordisce nel cinematografo con “Les soeurs anèmies” (1916) e apre una via estetica di complesso valore affabulativo, realizzando lavori di notevole talento visionario apparsi nel periodo del muto, come “Dans l’ouragan de la vie” (1917), “Ames de fous” (1918), “La cigarette” (1919), “La Fête Espagnole” (1919), “La souriante Madame Beudet” (1922). L’ingresso nel cinema commerciale è segnato da “Gossette” (film a episodi, 1922), “Le diable dans la ville” (1924) o “Princesse Mandane” (1929)... la Dulac crede possibile l’innesto del cinema d’avanguardia nella produzione mercantile, fallisce in entrambi i modi. I segni della poesia contenuti nel cinema d’arte sono inghiottiti dalla sequenzialità della trama legata alla domanda filmica e sullo schermo non resta nulla o poco di quanto questa artista del sogno farà con il suo capolavoro “La coquille et le clergyman” (1927/28), tratto da un soggetto di Antonin Artaud. Straordinario attore per Carl Th. Dreyer (“La passione di Giovanna d’Arco”, 1928) e autore del “Teatro della crudeltà”, uno dei testi più radicali mai scritti sulla possibilità di fare ed usufruire del teatro d’assalto contro gli altari del conforme e del prestabilito. Anche se i surrealisti contestarono il film della Dulac, violentemente, nella serata di presentazione allo “Studio des Ursulines”... perché l’autrice aveva sconvolto la sceneggiatura e l’aveva “femminilizzata!” (Artaud voleva linciare la regista, colpevole di non aver filmato i meccanismi del sogno ma soltanto il sogno...), “La coquille et le clergyman” resta, comunque lo si legga, un piccolo gioiello di cinema surrealista. Il film dunque è il sogno di una donna. Spezzettato in tanti frammenti contrapposti e sviluppati con trucchi, dissolvenze che compongono quello che la Dulac teorizzava come “sinfonia visiva”. Senza sequenzialità narrativa né temporale. Il clergyman (un prete protestante) è in preda ad un’ossessione sessuale e insegue affannosamente per la strada, in una chiesa, in una festa… una donna dai capelli bianchi (a volte simboleggiata anche da una conchiglia). La donna gli viene portata via (sempre) da un personaggio rude, autoritario, che assume a volte le vesti di ufficiale pluridecorato, altre di alto prelato. Quando riesce ad incontrarla è assalito dal panico e sottomesso dalla vergogna o dal pudore. La donna cerca di fuggire e l’uomo tenta di strozzarla. Ma la fantasia non ha mai ucciso nessuno e così la signora dai capelli bianchi riappare all’uomo ogni volta che non si aspetta e sempre in forme diverse. Almeno fino a quando il prete non riesce a bere il suo sangue. Artaud rivide in parte le accuse di tradimento del suo scritto contro la Dulac... qualche tempo dopo, anche i surrealisti rivalutarono il film e qualcuno disse che “La coquille et le clergyman”, «ha preso forza con il passare degli anni e merita di avere il suo posto tra i classici del cinema surrealista» (Georges Sadoul). Dopo il 1930, con l’avvento del sonoro, le idee della Dulac e di molti altri sperimentatori, non trovarono più una collocazione e le opere del “cinema integrale” o del “cinema puro” dei poeti dell’immagine (trasversale) in movimento, furono ingoiate o cancellate dalla ribalta dei consensi ottenuti in ogni parte del mondo dal cinema-industria. Il cinema parlava ma il pubblico diveniva sempre più muto. La Dulac non si allontana però dal cinematografo. Tra il ‘30 e il ‘40 è nominata direttrice aggiunta alla Gaumont e si occupa del dipartimento di France-Actualités (lavora a trasmissioni televisive settimanali che presentano gli eventi del mondo). È tra i fondatori della Cinèmathèque Française e raccoglie materiali delle attualità Gaumont per realizzare un documentario importante, "Le cinéma au service de l’Historie" (1937). La Dulac muore nel 1942, sola e abbandonata. Assistita e curata soltanto da Marie-Anne Melleville, amica e aiutoregista dei suoi ultimi film. La Melleville non riuscì a salvare le opere dell’amica dalla distruzione sotto il nazismo né a fare riconoscere (quando era ancora in vita) la Dulac come quella straordinaria visionaria dell’eleganza che era stata. La sua memoria fu commemorata solo nel ‘45, dopo la liberazione. Ma non ci furono i fuochi d’artificio, come la Francia aveva riservato a qualche ex-collaborazionista o voltagabbana. «Forse al di là di tutte le sue teorie, la scoperta più importante di Germaine Dulac fu che il cinema è sensazione fisica oltre che intellettuale e, come tale, piacere inenarrabile" (Ester Carla De Miro). Ciò che resta del cinema della Dulac, è la ricchezza delle sfumature e indipendentemente dall’espressione logica e dalle catene affabulative della macchina/cinema, le sue icone aggraziate rispondono ad una tenerezza del presente come evento che si vive in estremità della vita quotidiana.
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|