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“CINEGAY – l’omosessualità nella lanterna magica”
di Pino Bertelli
(Fabio Croce Editore, 2002)
Il cinema è un reliquiario maschile ed anche se il “Cinemadonna” (il cinema delle donne fatto dalle donne) è nato con la scoperta del “Cinématographe Lumière” (1895), le donne dietro la macchina da presa sono viste e considerate come intruse, diavoli o angeli scellerati che continuano a fare film per loro e tra loro. Una sciocchezza culturale che relega la mentalità media dell’uomo a quel piccolo pozzo di presunzione e di volgarità sul quale ha eretto il suo spettacolare edonismo, la sua falsa mascolinità. Il “Cinemadonna” è una poetica cinematografica poco conosciuta, quando non è ostacolata, derisa o semplicemente soppressa all’interno delle baracconate filmiche del mercato delle immagini.
All’uomo sono sconosciute la sofferenza, la bellezza e il silenzio delle donne che gridano l’amore fuori dal grossolano, dall’ordinario, dall’occasionale... l’anima bella delle donne fa nascere intorno a sé anche la bellezza interiore degli uomini ma sovente questi non se ne accorgono e piano piano perdono ogni piuma della loro tenerezza ludica. (...)
L’immagine che muove dal profondo cinematografico delle donne segna lo spirito del tempo nuovo, riporta alla visione androgina di un luogo dell’ anima abitato dalle fate dove l’eros diviene passione e passaggio verso una totalità di sentimenti che si fanno Anima del mondo.
Quando si è toccati dalla malinconia di Venere si comprende che il vero cuore della vita quotidiana è l’immaginazione... (...) L’attività immaginale di un grande poeta non ha sesso... L’epifania di un posto incantato dentro e fuori di noi è all’origine di tutte le felicità e le infelicità dell’ esistenza umana.
Il vedere in trasparenza delle donne non è soltanto per una naturale psicologia del sentire o per il modo trasversale di guardare... la trasparenza del cuore delle donne è nella capacità di ri/vedere se stesse nella psicologia androgina, archetipale della Donna... l’uomo che amano diviene fratello, padre, amante, un tutto che è parte di loro... in generale, resta soltanto un conoscente con il quale scopare qualche volta, dormire insieme, fare dei figli in attesa che l’anima di ognuno si spenga per sempre. “Non sono sicuro di nulla, tranne della sacralità degli affetti del cuore e della verità dell’immaginazione. Ciò che l’Immaginazione coglie come Bellezza deve essere Verità” (Keats). Il cinemadonna trova qui la fucina della rêverie illuminata che nel rapporto con le immagini e attraverso le immagini porta ai risvegli “ dell’ amore e alla ribellione del cuore.
Il cinema al femminile di Alice Guy, Esfir Shub, Elvira Notari, Lois Weber, Lilian Gish, Jacqueline Audry, Matilde Landeta, Dorothy Arzner, Leontine Sagan, Leni Riefensthal, Ida Lupino, Maya Deren, Germaine Dulac... anche quando rientra nei circuiti commerciali, esprime la coscienza nobile della diversità... i loro film sono corsi da quel pensiero androgino che li spinge a letture polisemiche... le didascalie, le parole, i suoni, i movimenti di macchina, le inquadrature, la direzione attorale, l’illuminazione, la sensibilità della narrazione trattata... hanno poco a che fare con le dottrine o le catalogazioni dell’altro cinema... (...) il cinemadonna disvela un territorio perseguitato ma non contaminato... e accentua la rivolta delle donne fuori da ogni misoginia di vendetta (almeno nel grosso delle opere), s’invola verso quell’utopia amorosa dove la donna non è ne madre ne figlia, ne moglie ne amante, ne omosessuale ne altro... che Donna.
Il “Cinématographe” era appena nato e già conteneva lo spettacolare mercantile del proprio successo. (...) Si creano comitati di salute pubblica contro l’influenza nociva di questa nuova forma di spettacolo (Chicago Tribune, 1906), nel 1909 nasce il primo Ufficio Nazionale di Censura (promosso dal People’s Institute di New York e la Motion Pictures Patents Company). Di lato si moltiplicano i locali per soli uomini dove “i soggetti sono piccanti, senza limiti, ed eccitano l’interesse collettivo a tal punto che delle donne si abbigliano con abiti maschili per assistere agli spettacoli” (Variety, 1908)... intanto negli U.S.A. le donne non hanno diritto al voto fino al 1919.
Il cinema delle donne dà subito scandalo... “Shoes” (1916) e “Where are my children?” (“Dove sono i miei bambini?”, 1916) di Lois Weber, “Christhoper Strong” (“Falena d’argento”, 1933) di Dorothy Arzner, “Gigi” (1943) di Jacqueline Audry, “Not Wanted” (“Non abbandonarmi”, 1949) di lda Lupino... ritornano alle loro radici e si portano fuori dalla trascendenza idealistica e dalle volgarità maschili che furoreggiano nei Palazzi del cinema o nei Cinema ambulanti del mondo, vanno a toccare subito la trasparenza dell’amore e il disagio di vivere.
«(...) Quando la prima e la seconda guerra finiscono, le donne, che hanno affollato i posti di lavoro degli uomini impegnati ad ammazzarsi tra loro, sono ricacciate a casa, alla culla e ai fornelli. E la loro ribellione genera mostri sul grande schermo. Ma con le ali» (Mariuccia Ciotta). È un cinema autoriale che insinua sul disamore del “permesso”, frammenti eversivi dell’immaginario femminile. (...) Siamo nel 1943, gli uomini sono così indaffarati a fare la guerra per un pugno di gloria e molta stupidità... non si accorgono cosa si muove nella testa delle donne... e nemmeno delle loro ultime lacrime versate sull’amore violato, al quale hanno donato i migliori anni della loro vita.
Lo sdegno delle donne è semplice: non hanno bisogno solamente di cose terrene ma anche e soprattutto di una giustizia sessuale che metta fine alla fallocrazia e al patriarcato come unico ordine possibile. Non si tratta di negare ciò che esiste (sulla scorta di De Sade, Marx, Freud, Jung o Reich), ma instaurare ovunque il rispetto per la differenza e andare a edificare una nuova valorizzazione del genere femminile. Questo sarà possibile soltanto se muteremo i linguaggi (audiovisuali) e capiremo (...) che la liberazione sessuale della donna (e dell’uomo) comporta la scoperta degli eccessi/incontri o la naturalezza della sensualità portata agli estremi, soltanto con la ri/nascita verticale dell’identità o con la scoperta della propria Ombra (celata nei dogmi del passato) possiamo conoscere il pensiero della differenza femminile e divenire “uguali” (con pari opportunità) dentro un tempo e un’etica della differenza sessuale dove ognuno si arricchisce delle proprie solitudini e delle proprie gioie.
(...) La malinconia di Venere o l’occhio dionisiaco della donna sono il cuore dell’immaginazione come Bellezza e Verità (alle quali auspicava Keats)... il coraggio di “stare dove si è” per modificare se stessi e quindi anche il mondo intorno... riluce nell’incapacità dell’uomo di comprendere le emozioni e i silenzi che tuonano nella testa della donna. “Vedere in trasparenza” significa imparare il “tuo se interiore, da chi sa queste cose, ma non ripetere parola per parola quel che dice” (Rulli). Gettati nell’esistenza dove le idee sognano una Poetica del fuoco che spezza i destini, guida le passioni e fiorisce sui deserti del nostro scontento. Dietro l’esultanza amorevole dell’uomo si nasconde la catena del suo cane. L’encomio del giullare al proprio tiranno implica anche l’elogio della frusta... i pericoli della saggezza si misurano sempre sul finire delle illusioni che fanno del fantasma dell’inviolabile la galera di tutti i sogni. Quando si piange si sa ciò che si vuole... quando si ride si finisce col non saperlo più. C’è uno stupido o un ribelle al principio e alla fine dei nostri infiniti inverni.
In cent’anni di “Cinemadonna” sono stati disvelati territori d’amore e paesi conosciuti solo agli angeli di Rilke... il cinema al femminile segna sovente un ritorno alle origini delle immagini, a quella psicologia archetipale dove gli angeli sono bambini ed i bambini giocano col sesso degli angeli. Le donne hanno usato la macchina da presa con meno narcisismo per la violenza e meno sentimentalismo dolcificato degli uomini... hanno fatto rivivere sullo schermo il loro dolore o la loro gioia (l’amore, l’amicizia, l’omosessualità, la solitudine, la speranza, la felicità, l’utopia...) in forme espressive più vicine alle turbolenze del cuore che agli incensamenti del botteghino. Hanno cercato di far conoscere il “fondo” del disagio di esistere, per non dimenticare. Rosa Luxemburg, assassinata dallo Stato per avere osato sognare un mondo più giusto e più umano per tutti... così scriveva alla sua amica Luise Kautsky: “Ero fermamente convinta che la vita, quella vera, esistesse in qualche posto lontano, laggiù oltre i tetti. Da allora continuo ad inseguirla. Ma essa si nasconde ancora da capo dietro altri tetti. Alla fine è stato tutto un gioco crudele con me, e la vita reale è rimasta lì... e se alla prima occasione mi viene voglia di calare a terra un paio di stelle per regalarle a qualcuno come gemelli da polso, nessun freddo pedante deve impedirmi, col dito levato, di portare lo scompiglio in tutti gli atlanti scolastici di astronomia”... la stregoneria ammaliante del “Cinemadonna” ha messo fine alla violazione e al feticcio del “giocattolo donna” destinato dall’uomo a merce.
(...) «La storia è stata segnata da donne coraggiose che continuano a lottare per conquistare spazi alle altre» (Lina Mangiacapre).
L’intuizione dell’istante o la poetica del fuoco della donna nel cinema, ha ridisegnato il dolore del presente e la coscienza dell’avvenire dell’insieme sociale... ha unito la passione alla morale ed ha fortificato i cuori o sorriso sulle lacrime di stelle per non piangere mai più.