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Da “Dolci sorelle di rabbia – Cento anni di cinemadonna” di Pino Bertelli
La “Falena d’argento” della Arzner, tratto dal romanzo di Gilbert Frankan, è un’opera di grande temperanza poetica e di notevole visione eversiva. Qui la Arzner va a incrinare la sacralità dei corpi adorati sullo schermo e rivela la personalità androgina/ereticale di Katharine Hepburn. È la storia dell’aviatrice Amy Lowell, che fece il giro del mondo in aereo. Amy/Dorothy/Katharine sono le falene d’argento che sfidano la superbia dichiarata di un mondo dominato dagli uomini... Amy ha una relazione con un uomo sposato, diviene campione di volo, quando scopre di attendere un bambino si getta nel vuoto dal suo aereo e toglie a tutti la possibilità di crescere il piccolo principe delle nuvole di carta velina. La visione filmica della Arzner gronda di sensualità… ogni volta che inquadra la Hepburn si coglie una specie di tenera abrasione tra regista e attrice e l’iconologia che fuoriesce dal film denota una certa atmosfera omosessuale… l’angolazione delle luci sul volto della Hepburn, la gestualità dell’attrice, il taglio degli abiti (maschili) e soprattutto quello stare addosso della macchina da presa della Arzner, configura la vincenda su profondità comunicative di forte respiro trasversale... forse è il solo grande film della Arzner e consegna alla storia del cinema i primi piani indimenticabili (androgini), di una Hepburn che sullo schermo non sarà mai più bella ed ambigua così. |