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Regista, attrice, sceneggiatrice e produttrice (Brixton, Londra, 4 febbraio 1914/16/18? - Burbank, Los Angeles, California, 3 agosto 1995)
Sul suo anno di nascita i dizionari consultati si sbizzarriscono alquanto – non è dato sapere se sia nata nel 1914, nel 1916 o nel 1918. Discendente da una celebre dinastia di attori teatrali inglesi, studia alla Royal Academy di Londra ed esordisce giovanissima nel teatro. Dopo il debutto sul grande schermo all’età di quattordici anni nel film “L’altalena dell’amore” (1932) di A. Dwan, si trasferisce negli Stati Uniti dove, sotto contratto con la Paramount, appare in “Sogno di un prigioniero” (1935) di H. Hathaway e ottiene il primo successo con “La luce che si spense” (1939) di W. Wellman. Negli anni Quaranta recita in film di Raoul Walsh (“Strada maestra”), di Michael Curtiz (“Il lupo dei mari”) e di Anatole Litvak (“Fuori dalla nebbia”) e nel 1942 ottiene per “The Hard Way” il premio della critica newyorkese. Attrice di grande temperamento drammatico a suo agio però anche nella commedia brillante (“Artisti e modelle” di R. Walsh, 1937) e nel gangster-movie (“Una pallottola per Roy” sempre di R. Walsh, 1941 con H. Bogart). Nel 1949 la Warner Bros la sospende dal lavoro e lei, inaspettatamente, diventa regista sostituendo in “Non abbandonarmi” il regista Elmer Clifton che si è ammalato. Poco dopo fonda con Oliver Jang una società di produzione che si prefigge di affrontare argomenti scomodi e scoprire giovani talenti. Diviene così sceneggiatrice, produttrice e regista di film di notevole spessore centrati su personaggi femminili magistralmente analizzati, in cui costringe il pubblico a sperimentare le angosce e le violenze vissute dalle sue eroine (tradimenti, gravidanze indesiderate, abusi familiari, stupro, ecc.). Il primo film in cui viene accreditata ufficialmente come regista è “Never Fear” (1950), nel quale la poliomelite preclude le possibilità di carriera ad una giovane ballerina. Segue “La preda della belva”, anch'esso del 1950, su una ragazza che viene violentata poco prima di sposarsi e ne rimane gravemente traumatizzata, “Hard, Fast and Beautiful” (1951), in cui mostra una madre decisa a far intraprendere la carriera di tennista alla figlia. Nel 1953 gira “La belva dell’autostrada”, in cui due uomini d’affari in viaggio caricano sull’auto un ricercato psicopatico che li tiene come ostaggi, e nel 1954 “La grande nebbia”, che affronta il tema della bigamia. Intanto, oltre alla carriera di regista, continua a recitare per Nicholas Ray (“Neve rossa”), Robert Aldrich (“Il grande coltello”) e Fritz Lang (“Quando la città dorme”). Nel 1966 dirige ancora un film, “Guai con gli angeli”, con Rosalind Russell. Tratto da un romanzo di Jane Trahey, osserva la vita di alcune ragazze in un collegio gestito da suore. Una di loro prende i voti. La sua ultima interpretazione ce la regala nel 1972 in “L’ultimo buscadero” di Sam Peckinpah con Steve McQueen. Si sposa due volte: con Louis Hayward e Howard Duff. Molte anche le regie di serial televisivi. Tra le serie più note dirette dalla Lupino: “Alfred Hitchcock presenta”, “The Twilight Zone”, “Gli intoccabili”, “Boris Karloff’s Thriller”, “Il fuggitivo” (ritrasmessa in Italia nel 2005), “Il fantasma e la signora Muir”.
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Da “Dolci sorelle di rabbia – Cento anni di cinemadonna” di Pino Bertelli
Il cinema ordinario di Ida Lupino, la “mamma di Hollywood”, continua a destinare l’insorgenza femminile nei connotati della donna che trova la morte ogni qual volta cerca di esprimere la propria identità o il proprio dolore al “maschio”. Ma in “Not Wanted” (Non abbandonarmi, 1949) l’ex-attrice riesce a dare una lezione di grande coscienza morale, rovesciando il “lieto fine” e rivestendolo di altri valori. Il film (prodotto, sceneggiato e diretto dalla Lupino) racconta la storia di una ragazza madre che di fronte al perbenismo familiare/sociale rischia la pazzia. Sola e povera, Sally acconsente di dare il figlio in adozione... cade nella solitudine, si aggira perduta per la città... in un momento di rabbia ruba la carrozzina con un bambino e fugge via... poi viene arrestata. All’uscita del carcere trova il padre del bambino rapito che vuole perdonarla... Sally scappa su impalcature, gradinate, ponti in ferro... il ragazzo è sciancato e non riesce a raggiungerla... ad un tratto, Sally si ferma, si gira e torna indietro. Due “cuori sensibili” o toccati dalla “diversità” s’incontrano. Il mondo cattivo è fuori di loro. La grande fotografia (in bianco e nero) di “Not Wanted” conferisce al film una specie di aura magica, quasi surreale... la Lupino mescola suoni, visioni, accentua l’interpretazione di Sally, esagera i momenti topici con cadute ed euforie fuori corda… ma tutto questo viene depositato in un lavoro di grande spessore emozionale e la Lupino riesce a scendere nel profondo della sofferenza infinita e della bellezza solitaria della donna... a scoprire la tenerezza gettata nell’anima, «in quel terreno polivalente, policentrico in cui conversa - dove cioè cambia direzione insieme agli altri abitanti; e da cui esce come per una lotta con l’angelo del destino e giunge nel mondo in forma di uno scritto (un film, una pittura, una fotografia, un sogno...), di una protesta, o di un cambiamento nella carriera; divenendo così una manifestazione di rivolta contro la monotonia del dolore e contro la prigione della pietrificazione psicologica» (Eva Loewe). Solo nella distesa dell’elogio ereticale, può esistere il canto della diversità (anche omosessuale) come eterno presente.
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La
dinastia LUPINO...
Famiglia di ballerini, attori, clown e acrobati inglesi di discendenza italiana (inizialmente Luppino) attiva dal sec. XVII. Ne fu capostipite Giorgio (1612 circa), un rifugiato politico di origine bolognese che fu burattinaio in Inghilterra, portandovi la maschera di Pulcinella (anglicizzata poi in Punchinello o Punch). Tra i moltissimi discendenti si sono distinti il mimo George William (1632-1693), figlio di Giorgio; l’acrobata Thomas William (1791-1859), che operò al Covent Garden e all’Astley’s Circus, e, nel Novecento, l’attrice e regista cinematografica Ida.
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