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Regista (Evanston, Rhode Island, 1918 - Los Angeles, 1983)
Giunto a Hollywood nel 1941, è assunto dalla RKO come semplice impiegato alla produzione e percorre nel modo tradizionale tutte le tappe della carriera professionale passando da segretario di produzione ad amministratore delegato, diventando infine assistente di C. Chaplin, W. Wellman, R Fleischer, J. Renoir, Fred Zinnemann, L. Milestone, M. LeRoy, J. Losey e Polonsky. Nel 1951 diviene produttore delegato dei film di B. Lancaster e interpreta una piccola parte nel film “La grande notte” di Joseph Losey. Il successo di una serie televisiva di cui è sceneggiatore e produttore (dopo un breve periodo di tirocinio in Francia) gli consente di dirigere il suo primo film. Con quest'opera Aldrich tenta di rompere il grigiore televisivo lanciandosi nella ricerca di nuove angolazioni. Realizza così una serie di telefilm di successo, imponendosi all’attenzione del pubblico tra il 1954 e il 1956 con alcuni film vigorosi, polemici nei riguardi dei generi tradizionali, realizzati con inquadrature nette, ritmi veloci, prevalenza dell’azione. Sono di questo periodo: “L'ultimo apache” (1954), “Vera Cruz” (1954), “Un bacio e una pistola” (1955), “Prima linea” (1956), acuto film antimilitarista, ma il più forte di tutti, il pamphlet anti-Hollywoodiano “Il grande coltello”, lo mette in urto con l’industria cinematografica e in breve è estromesso dalla lavorazione de “La giungla della 7° strada”. Aldrich si trova costretto a compiere alcuni tentativi di autoproduzione e regia itinerante in Europa. Nel 1956 vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino con il film “Foglie d’autunno”. Il suo cinema d’accusa continua con “I quattro del Texas” (1963) e il rilancio commerciale avviene solo nel 1962 con “Che fine ha fatto Baby Jane”. Segue poi “Quella sporca dozzina” (1967), film basato sulla violenza corale. Per alcuni anni, grazie al suo incontestabile successo, Aldrich sarà l’unico produttore-regista americano proprietario degli studi cinematografici in cui realizza i suoi film, tuttavia non nasconde le sue idee (soprattutto contro il razzismo), né l’avversione per quella forma di ipocrisia di cui è pervasa l’America ed Hollywood. Dal 1968, il regista comincia ad esasperare le proprie contraddizioni stilistiche sottolineando al tempo stesso il gusto per la brutalità virile e i temi scomodi o scandalosi come in “L'assassinio di Sister George”, 1968 e “Quando muore una stella” (1968), entrambi un atto di accusa contro il mondo cinematografico. Prosegue con “Quella sporca ultima meta” (1974), d’ambiente carcerario, poi con “I ragazzi del coro” (1977), aspra requisitoria sui metodi della polizia che gli causa in patria l’attacco anche della critica, e infine con “California Dolls” (1981), che racconta ancora una volta il fallimento del sogno americano attraverso le vicende di due lottatrici di catch. Le sue opere, seppur con qualche concessione alle esigenze commerciali, sono sempre di alto livello, con un retrogusto amaro, disincantato. Aldrich è stato testimone diretto del declino della società americana, ma anche del tramonto di un cinema del quale il cineasta - formatosi nell’intreccio tra tradizione e modernità - resta uno degli ultimi grandi testimoni e maestri.
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