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Il
produttore Bart Langner (Borgnine), decide di realizzare un film su Lylah
Clare, famosa diva di Hollywood morta in circostanze poco chiare, ma banali.
Per la sua straordinaria rassomiglianza, sceglie una giovane attrice,
Elsa Brinkmann (Novak), e incarica di dirigerla il dispotico Lewis Zarkan
(Finch), regista e vedovo della Clare. Zarkan riesce a farne una copia
perfetta, tanto da azzerarne la personalità e la volontà,
ma Elsa, in un ultimo singulto di ribellione, rifiuta di girare l’ultima
scena del film: morire cadendo dalle scale le sembra una scena ridicola.
Zarkan la accontenta e trasferisce il finale in un circo: Elsa sale sul
trapezio, ma, mentre sta per eseguire l’esercizio cui seguirà
una rovinosa caduta, perde l’equilibrio e finisce sulla rete rompendosi
l’osso del collo. Ciò nonostante, Karzan non interrompe le
risprese, continua a girare riprendendo la sua morte, senza pietà.
Il film avrà uno strepitoso successo soprattutto per questo.
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Tratto
da un originale televisivo di Robert Thom e Edward De Blasio sceneggiato
da Hugo Butler e Jean Rouverol, è – dopo “Il grande
coltello” (1955) – la seconda impietosa incursione nel microcosmo
Hollywoodiano, nelle sue ipocrisie, amoralità, nei suoi eccessi.
Un melodramma ridondante, crudele, aggressivo. Snobbato dal pubblico e
non compreso dalla critica, fu un insuccesso. Oggi sappiamo ampiamente
immotivato.
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Da il “Mereghetti” apprendiamo che «il film è un ritratto al vetriolo del mondo del cinema: luogo infausto abitato da esseri immondi (Rossella Falk interpreta una lesbica drogata, dagli occhi di serpente, che ha le caldane per Kim Novak)»… Passi l’accostamento oltremodo offensivo “lesbica-drogata” (cose probabilmente vere, nel film, ma messe così puzzano lontano un miglio di pre-giudizio), passi per gli “occhi di serpente” (di un’impressione soggettiva si tratta - problemi con le donne fuori dall’eterosessualità?) ma dare ad intendere che gli “esseri immondi” peggiori, anche se messi fra parentesi (un bisbiglio, naturalmente), siano prima di tutto le lesbiche, aggiungendo inoltre che hanno le “caldane” (wow, che lessico!) per la Novak (condivisibile entusiamo, no?), ci pare veramente troppo, specie per un dizionario che non solo è il più venduto, ma non è nemmeno fra i peggiori! Ma alla soffusa e talvolta malcelata lesbofobia di questo libro, il lettore più accorto avrà già fatto o farà la tara… ci auguriamo. C. Ricci
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• La canzone “Lilah” di Frank De Vol e Sibille Siegfried, è interpretata da quest’ultima. |