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Attrice, ballerina, produttrice e regista (Yalta, Crimea oggi Ucraina, 1879 - Los Angeles, 13 Luglio 1945)
Allah Orleney Nazimov, educata a Mosca, Ginevra e Zurigo dove ha studiato canto, danza e recitazione, diviene apprezzata prima attrice russa al teatro Nemetti di Pietroburgo. Nel 1904 abbandona la Russia per contrasti con il governo zarista e tra il 1905 e il 1906, dopo una tournée in Europa, si trasferisce a New York dove ben presto diventa una delle dive più prestigiose della Metro portando sullo schermo una recitazione stilizzata e raffinata, la predilezione per l'estetismo ieratico che in seguito avrebbe ispirato molte attrici del muto e del parlato. Affermatasi ottima interprete dei lavori di Ibsen, nel 1917 forma con il marito Charles Bryant, attore, scenografo e regista, una propria compagnia. Bruna, grandi occhi scuri, una raffinata cultura alle spalle, inizia la sua carriera cinematografica nel 1916 con grandissimo successo e compensi straordinari, prima come interprete, poi come produttrice ed anche regista. Le sue migliori interpretazioni sono legate a figure femminili mature e tormentate, in pellicole che non sempre incontrano il gusto del pubblico e della critica. Nel 1923, ad esempio, interpretò e investì tutti i suoi risparmi nella produzione del film “Salomè” di Charles Bryant e Natacha Rambova – l’operazione si rivelò un tale insuccesso che la ridusse sul lastrico e per qualche tempo ne compromise la credibilità artistica. In quegli anni girò anche “Aphrodite”, basato sul romanzo di Pierre Louys, in cui si mostravano esplicitamente vicende di erotismo e amore lesbico. La scure della censura si abbetté sulla pellicola distruggendola integralmente. A questo punto, insistere sarebbe stata follia, così tornò ad interpretare ruoli drammatici e nuovamente s'impose per il suo forte temperamento. Lasciò il cinema intorno al 1925 e per quindici anni si dedicò esclusivamente al teatro. Tornò sugli schermi nel 1940, ma con l’avvento del sonoro venne relegata in ruoli di buona caratterista. Sola e dimenticata, morì di trombosi cerebrale a Los Angeles, nel 1945. (Per approfondire, leggi l'interessante scheda biografica di Andrea Giampietro)
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Da “Le dive del silenzio” di Vittorio Martinelli
Nazimova è stata innanzi tutto attrice di teatro, ma quel che conta non è solo la sua grande presenza sulla scena, da molti critici reputata la maggiore del ventesimo secolo sui palcoscenici americani, ma l’aver fatto conoscere, attraverso le opere di autori moderni come Ibsen, Cechov, Strindberg, Gorki, Hauptmann, l’evoluzione dell’arte drammatica e altresì la conseguente trasformazione dei modelli recitativi. La scuola classica e romantica del teatro ottocentesco si esprimeva con una recitazione brillante ma statuaria, solenne; lo stesso impianto drammatico dei lavori era divenuto una sentimentalizzazione del reale. Col sorgere della scuola realista, divenne inevitabile che una nuova maniera di recitare sostituisse la retorica magniloquenza con una più concreta e rude espressione della realtà della vita. Nazimova aveva compiuto questa transizione, quando presentò agli sbalorditi pubblici americani “Hedda Gabler”, “A Doll’s House”, “Little Eyolf” di Ibsen, “Die Märchen” di Schnitzler o “Il giardino dei ciliegi” di Cechov. Nel 1915, legatasi all’attore-regista Charles Bryant, portò sulle scene un atto unico veementemente pacifista, “War Brides”, viaggiando da costa a costa e sempre a teatri esauriti. Alla fine della tournée, accettò che divenisse un film (1916), che secondo le enfatiche critiche del pur serioso Moving Picture World: «Reaches a tragic height never before attained by a moving picture». Due anni dopo, accettò il favoloso contratto della Metro: 13.000 dollari alla settimana, scelta di soggetti, registi e attori, nessuna interruzione dell’attività teatrale, realizzazione dei film in epoca di sua scelta. Furono undici i film che Nazimova interpretò per la Metro tra il 1918 ed il 1921. I migliori furono quelli realizzati nel 1919 da Paul Capellani, “Out of the Fog”, storia di un’orfana che vive chiusa in un faro, e “The Red Lantern”, una vicenda che si svolge sullo sfondo della rivolta dei boxers, con una mezzo-sangue che, innamorata di un bianco che non potrà sposare, si suiciderà. Entrambi i film sono molto accurati; nel secondo Nazimova si integra perfettamente al personaggio con una elaborata truccatura. Nei film successivi la collaborazione di Natacha Rambova ai soggetti, alle sceneggiature, alle scenografie risulterà deleteria. La stessa Nazimova, pioniera del realismo interpretativo, vi si aggira con toni affettati, manierati e le critiche saranno pronte a rintuzzare le mediocri caratterizzazioni di “Stronger than Death”, “Madame Peacock” e “Billions” (tutti del 1920). In “The Brat” (1919) e “The Heart of a Child” (1920) si ridicolizza la propensione verso ruoli da adolescente. “Sulla scena è facile barare - scrive un recensore - e nascondere l’età nelle ombre del palcoscenico; ma il cinema non conosce questa pietà. E una signora di mezz’età non può giocare a fare la fanciulletta”. Ultimo film per la Metro fu una stravagante versione della “La signora delle camelie – Camille” (1921). Passata alla United Artists, Nazimova si produsse in “A Dall’s Hause” (1921), ma la performance cinematografica non fu all’altezza di quella teatrale di anni prima. E la “Salomè” (1922) in stile Beardsley, prodotta in proprio, fu una sorta di suicidio professionale ed economico. Il film venne giudicato oltraggioso, Nazimova quasi messa all’indice per questo originale e troppo intellettuale lavoro, in anticipo sui tempi e dove tutti gli attori erano rigorosamente omosessuali. In seguito, Nazimova fece qualche altro film, poi preferì tornarsene alle scene. La si rivedrà al cinema quindici anni più tardi, ormai spento il suo ardore, in particine di contorno.
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Donna affascinante e... lesbica - perfettamente calata nell'atmosfera, nei fermenti culturali che animarono i primi decenni del Novecento e nei quali primeggiò come artista e come avventuriera. Dei suoi festini lesbici, dei suoi amori e delle sue conquiste, i tabloid dell'epoca e più tardi i “saggi” cinematografici, hanno scritto molto, finendo in buona parte per oscurarne l’opera e il talento. Un destino che condivide con quasi tutti i “fenomeni da baraccone”, veri o inventati (al di là dell’orientamento sessuale), che calcarono le scene di quei tempi ed oltre, sino ai giorni nostri. Girovagando sul web (con particolare riferimento ai siti italiani), stupisce la quasi totale mancanza d'informazioni o, di contro, la gran quantità di pettegolezzi sulla vita privata che ci si trova costretti a leggere per avere un’idea ancorché approssimativa delle artiste che si prestarono al cinema, perlopiù intese come emanazione diretta o indiretta di altre personalità e miti – maschili, naturalmente, talvolta non meno scandalosi. Così, di Alla Nazimova e delle donne che furono e sono ritenute a torto o a ragione le sue amanti (su tutte Jean Acker e Natacha Rambova, entrambe dipinte come rovinose virago, viziose e frivole devastatrici di poveri uomini sventurati, accecati dall'amore, instupiditi dai loro capricci), sappiamo cose abbastanza inutili, poco o nulla documentate, conseguenza di matrimoni di facciata (ad esempio quelli delle suddette con Rodolfo Valentino), strategie tese a nasconderle (raramente difenderle) e, più in generale e realisticamente, di uno stile di vita che ci ostiniamo a considerare legittimo ma che la massa, allora come adesso, non gradiva, forse più per invidia che per altro. Persone e talenti che i codici di regolamentazione, la censura, le leggi penali, le crociate moralizzatrici, il nazi-fascismo planetario e gli altri regimi totalitari politici e religiosi, ricacceranno nel buio o spazzeranno via nel giro di appena qualche anno costringendo i posteri a fare i conti con una voragine culturale, storiografica e biografica vergognosa, sempre più difficile da colmare. Peccato. C. Ricci
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Il pungente, se non proprio velenoso trafiletto che segue, è tratto da “I grandi libri del cinema” (Ed. Coged, 1977 circa), una pubblicazione in due tomi che aveva verso gli aneddoti, i pettegolezzi e i bisbiglii una particolare attenzione ed oggi, con il senno di poi, già dal titolo ci dice molto dell'aria che si respirava vent'anni fa. Per quel gusto che abbiamo verso le cose “d’altri tempi”, ci piace proporvelo – prendetelo per quel che è e fatevi la stessa domanda che ci siamo posti noi: da allora (ma ancor di più da un secolo a questa parte) cos'è cambiato veramente?
Una «Salomè» che piaceva alle donne
Nel 1922, dando realizzazione al suo grande sogno, la ballerina Alla Nazimova, che aveva allora 43 anni, fece costruire a Beverly Hills una villa sontuosa di cento stanze, che volle chiamare «Il giardino di Alla», ma non ebbe mai modo di godere di quella splendida dimora. Nazimova (il vero nome era Allah Orleney Nazimov, nata a Yalta, Crimea, nel 1879) perse tutta la sua fortuna col film Salomè, che imprudentemente aveva voluto finanziare. Il film era di un audace cerebralismo, incomprensibile alla maggior parte degli spettatori, che nel film in costume non accettava la satira dissacratoria. Il pubblico fischiò la scena in cui una stagionata Salomè seduceva un Erode che pareva un clown da circo. La casa di fiaba della diva rovinata dovette essere venduta e divenne un albergo; lei se ne andò a New York. In seguito, le sue apparizioni cinematografiche si fecero sempre più sporadiche, pur continuando fino ai giorni della sua morte, avvenuta il 13 luglio 1945. Era stata allevata in Svizzera, dove aveva imparato il francese e il tedesco e a suonare il violino; poi tornò in patria e studiò arte drammatica. Recitando in teatro conobbe l'attrice francese Jane Hading, che la spinse a tentare la via del cinema. Quella con Jane fu la prima di una serie di amicizie particolari (con Jane Gilder, moglie di un grosso editore, con famose attrici, ballerine, giornaliste) che le spianò la strada del successo. Restò, tuttavia, una grande attrice drammatica di tipo teatrale: era esaltata, gesticolante, smodata. Il cinema le andava stretto. Nel 1916 sposò l'attore Charles Bryant; portava in sé tutte le pecche e le qualità del divismo più sfrenato, quello che stavano covando le Swanson, le Negri e le Garbo. Le sue ultime pellicole importanti furono rovinate dall'estetismo, dalle massicce iniezioni di «passione e morte» e di «anima slava». Anche quando il cinema si dimenticò di lei, continuò una corretta attività teatrale. La chiamavano «Madame» o anche «la donna più meravigliosa del mondo», ma quando morì era una vecchietta rinsecchita, che mostrava molto più dei suoi 66 anni.
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