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Negli anni venti i film potevano essere approvati o censurati a seconda delle concessioni a determinati atteggiamenti e pregiudizi, ma i censori e i critici non credettero alle “convinzioni religiose” di Alla Nazimova, quando presentò nel 1923 “Salomè” con un cast, a quanto si disse, tutto gay in omaggio a Oscar Wilde (nel 1921, però, avevano lasciato passare una breve scena lesbica nella versione di “La signora delle camelie” della stessa Nazimova). Il film venne accolto con quel tipo di entusiasmo che di solito si concede alle produzioni dell’Off Off Broadway sui travestiti portoricani (e in effetti, l’ultima volta che “Salomé” ha girato per i cinema americani, nel 1971, è stato accoppiato a “Broken Goddess”, il cui protagonista è Holly Woodlawn, il travestito portoricano super-star di Andy Warhol). Le scene e i costumi di “Salomè” furono ripresi da illustrazioni di Aubrey Beardsley ed eseguiti da Natacha Rambova che oltre ad essere la moglie di Rodolfo Valentino era stata per qualche tempo, a quanto si sussurrava, l’amante della Nazimova. I titoli di testa attribuiscono la regia al marito di Alla Nazimova, Charles Bryant, ma aveva contribuito alla regia anche Natacha Rambova, che aveva scritto la sceneggiatura sotto lo pseudonimo di Peter M. Winters. Il film fu un insuccesso di critica e di pubblico, prosciugò tutti i risparmi di Alla Nazimova e provocò, almeno per qualche tempo, il declino della sua credibilità artistica. Nel modesto “Valentino” (1977) di Ken Russell, la Nazimova, interpretata da Leslie Caron, incontra un giornalista mentre arriva con incedere maestoso al funerale di Valentino all’inizio del film. “È vero - le chiede il giornalista - che Rodolfo Valentino ha rifiutato di partecipare alla sua produzione tutta omosessuale di ‘Salomè’?”. Offesa non per il fatto che il suo lesbismo viene dato per scontato, ma per l’insinuazione che Valentino le avesse detto di no, la donna risponde con voce tagliente: “In quel periodo non era disponibile!”. Il modo frivolo e superficiale con cui Russell si prende gioco della sessualità di queste persone contrasta in modo stridente con il clima degli anni Venti, anche se oggi come allora il pubblico è rimasto ingenuo e male informato. Nel 1922, in America, si stavano approvando leggi di censura in trentadue Stati e questo clima pesante di moralizzazione riusciva a penetrare in un’industria che a tratti pareva incarnare ogni sorta di perversione. I censori inorridirono per “Salomè” e ordinarono il taglio di parecchie sequenze, in una delle quali si mostrava esplicitamente la relazione omosessuale fra due soldati siriani. Il rapporto del censore, compilato ad una proiezione del 1923, concludeva così: “Questo film non è affatto religioso nel tema e nella sua interpretazione. Secondo il mio giudizio, è una storia di depravazione e di immoralità dal punto di vista delle immagini e del contenuto, resa ancora più grave per il suo sfondo biblico. Sacrilego”. La Nazimova usava i suoi personaggi con abile sensualità come raffigurazioni della decadenza e dell’androginia, ma alla fine non li condannava, cosa che il pubblico considerava offensiva e disgustosa.
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Rimane piuttosto evidente l'amore (che in origine doveva essere ancora più esplicito) che lega il paggio di Erodiade e Narraboth, "principe siriano defraudato del trono e costretto a fare da capo delle guardie di Erode". Nel testo di Wilde il paggio ricorda di aver regalato a Narraboth orecchini e profumi (che a vederlo sullo schermo, ripulito e impomatato, ci par quasi di sentire), mentre nel film non fa nulla per nascondere la sua gelosia nei confronti dell'ex principe siriano, che sembra avere ora occhi solo per Salomé, che d'altronde lo ignora perché si è incapricciata della testa del Battista. Può far piacere vedere uno smagrito e nasuto Giovanni trionfare su Narraboth, maschione che pare appena uscito dalla palestra, ma questo è solo un sottointreccio del tutto secondario. (Mauro Giori su www.culturagay.it)
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Prima versione filmica dell'opera teatrale omonima di Oscar Wilde (1891-96) illustrata dell'inglese Aubrey Beardsley (1872-98).
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• La rivista Variety, scrisse in un articolo piuttosto pungente che un titolo più appropriato per vendere il film sarebbe stato «Espressioni facciali della Nazimova» e aggiunse che «alle figure eroiche è conferita una parvenza decisamente effeminata e gli schiavi di colore sono appesantiti più che muscolosi». • La pellicola è stata restaurata dalla Library of Congress negli anni Novanta. |