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Con il passare del tempo le distinzioni di genere in ambito culturale hanno sempre meno senso. Gli anni novanta, ad esempio, si caratterizzano per il sincretismo, la mescolanza fra linguaggi e stili. Un fenomeno che trova nella musica il suo terreno ideale di rappresentazione. Se si dovesse indicare quale possa essere la tendenza comune della musica dell’ultima decade del millennio questa sarebbe la sintesi, l’utilizzazione e la riutilizzazione di materiali del passato e di origine diversa che vengono fatti confluire in lavori che sono il frutto dell’incontro di esperienze molteplici. Con gli anni Novanta la musica vive nel pieno del suo fervore la stagione della “riproducibilità tecnica”: il grande sviluppo tecnologico offre ai compositori, di qualunque estrazione, possibilità praticamente infinite di recuperare i materiali del passato, di rielaborali, citarli, deformarli e al tempo stesso di creare nuove sonorità. Addirittura cambia il mestiere del musicista, visto che in molti casi la macchina si sostituisce all’uomo, sempre più consapevole di avere nella tecnologia la risorsa che gli consente di attingere all’intera gamma dei suoni del mondo, dall’orchestra sinfonica al rumore della giungla.
NUOVE TENDENZE MUSICALI
La tendenza che meglio esprime in musica questa propensione al sincretismo è la new age, un filone figlio di un movimento culturale che a partire dagli anni Settanta si è imposto come un vero e proprio fenomeno che per certi aspetti ha a che fare anche con la moda. Nata insieme ai movimenti neoecologisti della California degli anni Settanta, la new age ha trovato il suo ideale terreno di sviluppo in un’epoca in cui è molto forte l’aspirazione verso una nuova spiritualità. Tutto questo in musica trova una diretta espressione nella produzione della Windham Hill, la casa discografica americana che, sia per la grafica delle copertine sia per i contenuti degli album rimane il simbolo della moderna new age. Lo “stile Windham Hill”, anche dal punto di vista grafico, è il risultato del lavoro svolto dal produttore Manfred Eicher a partire dagli anni Settanta con la sua etichetta ECM (Editions for Contemporary Music), i cui dischi sono considerati un modello imprescindibile per i musicisti che percorrono la strada della contaminazione tra il jazz e la musica improvvisata in generale, il repertorio classico e il patrimonio folclorico ed etnico. Un modo di intendere la composizione tipico anche del neominimalismo di musicisti come Michael Nyman e Wim Mertens che hanno attualizzato e ampliato la lezione di Philip Glass e LaMonte Young raggiungendo una notevole popolarità grazie anche alle colonne sonore composte per film come “Lezioni di piano” o “Il ventre dell’architetto”.
MUSICA PER FILM
Un rudimentale commento sonoro era affidato, ai tempi del cinema muto, ad un pianista o ad un’orchestrina: la musica veniva improvvisata o messa insieme sulla base di un repertorio corrente di effetti e brani musicali, e aveva soprattutto la funzione di coprire il rumore della proiezione. Maggiori ambizioni ebbero però alcune partiture orchestrali scritte da compositori famosi non come puntuale commento sonoro, ma adeguandosi al clima generale del film: è il caso di Saint-Saëns (“L’assassinat du duc de Guise”, 1908), poi di Pizzetti, Mascagni (“Rapsodia satanica”, 1914), Milhaud, Ibert, Eisler, Hindemith, Honegger, Sostakovic. Particolarmente significativo il rapporto tra ritmo musicale e ritmo visivo che si crea in “Entr’acte” (1924) di R. Clair con la musica di Satie. L’avvento del film sonoro, nel 1926-27, e i suoi veloci perfezionamenti mutarono profondamente la situazione: la musica per film divenne un genere a sé, legato momento per momento alle esigenze del ritmo dell’azione, al succedersi delle scene (anche se non mancano casi, specie in certi film comici, in cui proprio alla musica si fa scandire il ritmo delle sequenze). Nelle sue varie funzioni (narrativa, di commento, di creazione di atmosfere), la musica per film mantiene una posizione inevitabilmente subordinata, che rende impossibile il suo trasferimento a una sede diversa da quella filmica senza una consistente elaborazione. Ciò vale anche per il caso più celebre ed esemplare di perfetto adeguamento tra film e musica: la collaborazione tra Eizenstejn e Prokofev. Da “Aleksandr Nevskij” il musicista trasse una celebre cantata, mentre non ritenne opportuno fare altrettanto per “Ivan il Terribile” e “La congiura dei Boiardi”. Il fatto che la musica per film sia divenuta un settore specializzato non ha impedito ad alcuni illustri compositori di scriverne: tra questi G. F. Malipiero, G. F. Ghedini, G. Petrassi, R. Vlad, Renzo Rossellini, e, su altro piano, Copland e Bernstein. Non è infrequente il ricorso da parte dei registi a celebri musiche del passato (si pensi a Visconti). Tra i pochi compositori-registi si ricorda Charles Chaplin (“Le luci della città”, “Monsieur Verdoux”, “Luci della ribalta”). Fra i compositori specializzati in musica per film si citano: gli americani M. Steiner, M. Rozsa, A. Newman, F. Waxman, D. Tiomkin, S. Amfitheatrov, G. Duning; gli inglesi A. Bax, R. Addinsell, J. Greenwood; i francesi M. Thiriet, M. F. Gaillard, K. Kosma, M. Landowski, G. Van Parys, M. Le Roux, M. Jaubert; nel cinema sovietico si sono distinti N. Kriukov, D. Serbacev. In Italia tra gli “specialisti” meritano rilievo: Nino Rota (legato particolarmente ai film di Fellini e Visconti), A. Cicognini (autore di musica per film di De Sica), G. Fusco (che ha firmato alcuni film di Resnais e diversi di Antonioni), C. Rustichelli (legato ai film di Germi), M. Nascimbene, A. F. Lavagnino (specie per film a carattere documentaristico), Ludovico Einaudi e ultimo, certamente non per importanza e produttività, Ennio Morricone.
Breve storia del cinema…
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