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Compositore (Honfleur, Calvados, 1866 – Parigi, 1925)
Alfred Eric Leslie Satie, ammesso al Conservatorio di Parigi nel 1878, se ne allontanò nel 1887, insoddisfatto dall’accademismo di quegli studi. La stessa insofferenza mostrò durante una breve permanenza come volontario nell’esercito. Congedatosi, per mantenersi prese a lavorare come pianista al cabaret dello Chat Noir (1887). Risale al 1890 il suo incontro con sar Péladan, capo della setta misteriosofica della Rose-Croix, della quale Satie divenne compositore “ufficiale” con musiche quali la “Première pensée de la Rose Croix” (1891) e le “Trois Sonneries de la Rose Croix” (1892) per pianoforte, il dramma esoterico “Le Prélude à fa porte héroique du Ciel” (1892) e le musiche di scena per il dramma di sar Péladan, “Le fils des étoiles” (1892). Pagine mediovaleggianti, caratterizzate - come i precedenti brani pianistici “Ogives” (1886), “3 Gymnopédies” (1898) e “3 Gnossiennes” (1890) - da una staticità legata all’impiego di un ritmo che, in assenza di suddivisione di battute, viene lasciato fluire liberamente, nonché al ricorso ad armonie dal colore modale, accostate in modo non funzionale e perciò private della dinamica di tensione/distensione. Tale scelta stilistica avrebbe attratto Debussy, che Satie conobbe nel 1891. Allo stesso filone mistico appartiene anche la “Messe des pauvres” per coro e organo (1895), composta per l’Église métropolitaine d’art de Jésus Conducteur fondata dallo stesso Satie che se ne autoproclamò ironicamente anche unico adepto. L’eccentricità e le scelte provocatorie dovevano rivelarsi lati fondamentali della sua personalità: trasferitosi nel sobborgo proletario di Arcueil (1898) per vivervi in deliberata solitudine, nel 1905, ormai quarantenne Satie decise di riprendere lo studio del contrappunto iscrivendosi alla Schola Cantorum di V. d’Indy. Frutto di quegli anni (conclusisi con un diploma nel 1908) fu una serie di pagine pianistiche nelle quali il ricorso ad una scrittura di spoglia e di essenziale linearità si unisce alla scelta di titoli stravaganti e ironici (“Nouvelles pièces ftoides”, 1910; “Quatre préludes flasques (pour un chien)”, 1912; “Descriptions automatiques, Embryons desséchés”, 1913 ecc.), eloquente dimostrazione di una polemica presa di posizione nei confronti tanto dei turgori espressivi tardoromantici quanto delle atmosfere evanescenti dell’impressionismo debussista. A contatto con tutta l’avanguardia artistica parigina di inizio secolo - il cubismo, il dadaismo, il surrealismo - Satie proclamò la sua avversione a quella che Cocteau avrebbe chiamato «la musique qui s’écoute la tête dans le mains» e ad ogni forma di psicologismo in musica, contrapponendo a quella una musique d’ameublement, «qui n’a pas besoin d’être écoutée», atteggiamenti che ne fecero l’indiscusso capo spirituale del Gruppo dei Sei. Opera cruciale di questa fase fu il balletto «realista» “Parade” (1917), nato per i Balletti russi di Diaghilev in collaborazione con Cocteau (ideatore del soggetto) e Picasso (che ne curò le scene e costumi). I retaggi degli studi «dotti» s’intrecciano in questa partitura a reminiscenze del jazz, della musica del café-concert e delle fiere popolari, ma anche al ricorso a rumori presi dalla vita cittadina: una scelta che se da un lato richiama le predicazioni moderniste dei futuristi, dall’altro sembra prefigurare successivi esperimenti di musica “concreta”. L’ideale di un’arte spoglia di ogni connotazione sentimentale e soggettiva impronta anche “Socrate” (1918), dramma sinfonico per voci e piccola orchestra basato su passi dei “Dialoghi” di Platone nella traduzione francese di V. Cousin. Ma, contrariamente a quanto il pubblico parigino presente alla “prima” intese, accogliendo con risate il nuovo lavoro di Satie (che reagì malissimo), l’ironia pungente che aveva caratterizzato le creazioni precedenti qui è del tutto assente, mentre rimane l’austerità, tradotta da un canto rigorosamente sillabico, accompagnato da formule ripetitive e ostinate. Negli ultimi anni della sua vita Satie fu il punto di riferimento per i compositori dell’École d’Arcueil (tra loro H. Sauguet). Scrisse anche l’operina per teatro di marionette “Geneviève de Brabant” (1899); la pantomima “Jack in the box” (1899); i balletti “Lepiège de Méduse” (1913), “Mercure” (1924) e “Relâche” (1924, “Ballet instantanéiste” su testo e scene di F. Picabia che contiene “Entr’acte”, il celebre intermezzo cinematografico di R. Clair); “La belle excentrique”, “Fantasia seria” per orchestra di music-hall (1920); liriche e varie pagine pianistiche, tra cui “Trois morceaux en forme de poire” (1903) per pianoforte a 4 mani, “Véritables préludes flasques” (1912), “Sport et divertissement” (1914), “Les trois valses du précieux dégoûté” (1914) e la “Sonatine bureaucratique” (1917).
(Testo di Silvana Chiesa tratto da “Storia della musica”, Jaka Book Editrice)
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Satie è senza dubbio il padre spirituale di quella musica che negli ultimi trent’anni del Novecento è stata definita “concreta” ed ha avuto in Harold Budd (il quale, tra l'altro, ha reinterpretato in "PLATEAUX OF MIRRORS" il famoso e bellissimo “3 Gymnopédies” di Satie dilatandone i tempi con ciò ulteriormente accentuandone la coloritura modale), Brian Eno, John Cage, Michael Nyman ed altri, i più illustri ideologi e sperimentatori. Una concezione della musica tonale che sviluppatasi in forme malamente definibili con termini quali "minimalismo" (Philips Glass, Klaus Schulze) e la cross-over più colta (Wim Mertens), spesso impropriamente e sbrigativamente catalogate come new-age e world-music, ad esempio, ha finito per influenzare e modificare un po’ tutti i generi, dal pop al rock, dal jazz all’avanguardia. C. Ricci
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