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“DALLE COMICHE ALLA COMMEDIA” |
Il genere comico ebbe il massimo splendore nell’epoca del muto. Nacque come breve comica finale: farsa con un protagonista buffo, acrobata e clown, ridotto a maschera pressoché immutabile, talvolta accompagnato da un partner.
In Francia, nel primo decennio del secolo s’imposero i comici della Pathé, mentre negli U.S.A. emergeva John Bunny, corpulento caratterista di parodie domestiche. André Deed si affermò anche in Italia col nome di Cretinetti e influenzò Polidor e Robinet. Max Linder, elegantone da vaudeville, con la sua fama internazionale favorì in Europa il sorgere di altri centri (in Danimarca con Madsen e Schenström, cioè Pat e Patachon; in Russia, ecc.). Negli Stati Uniti, sempre negli anni Dieci, si affermò il complesso Keystone di Mack Sennett, inventore degli inseguimenti, delle torte in faccia, dei Keystone Cops (i poliziotti sempre in corsa) e più tardi delle Bathing Beauties (o bellezze al bagno) e animatore di un vivaio inesauribile d’interpreti e di tipi: il grassone Fatty (Roscoe Arbuckle), lo strabico Ben Turpin, il brutale Mack Swain, l’agghindato Ford Sterling, l’innocente fanciulla Mabel Normand, senza contare i grandissimi che poi seguirono, Charlie Chaplin e Buster Keaton. Quando Larry Semon (Ridolini) elettrizzò per la Vitagraph la formula Sennett e Hal Roach allestì una seconda scuola di pagliacci, capitomboli e risate (da cui uscirono Harold Lloyd e, riuniti insieme, Stan Laurel-Oliver Hardy), lo short cedette il passo al medio e lungo metraggio dando l’avvio (si era negli anni Venti) all’età d’oro del film comico.
Attori-creatori come Chaplin e Keaton impressero al genere, superandolo come tale, il sigillo di un’arte profonda e trasfigurante; con occhiali e paglietta, Lloyd volse in allegria l’ottimismo avventuroso alla Douglas, mentre Harry Langdon, il meno fortunato del quartetto, fu un languido Pierrot. Ma il suo regista, F. Capra, era già più vicino alla commedia che alla comicità. Con l’avvento del parlato, infatti, il genere si trasformò. Alla farsa mimica succedette appunto la commedia (sofisticata negli U.S.A., musicale nell’U.R.S.S. - vedi più avanti), alla gag fulminea il disteso quadro parodistico. Sulla situazione prevalse la battuta, sull’attore singolo la coppia (S. Laurel e O. Hardy) oppure il trio (i fratelli Marx). I primi cortometraggi di W. Disney assunsero nella programmazione il ruolo distensivo un tempo riservato alla comica. Mentre tramontarono Keaton e Lloyd, che non poterono adattarsi al sonoro, dopo “Tempi moderni” (1936) il recalcitrante Charlot si convertì al parlato ma lasciando il posto ad altri personaggi, più tragici che comici.
Ovunque, a Hollywood come in Austria, in Cecoslovacchia come in Francia, in Gran Bretagna come in Messico, salirono alla ribalta, proprio come tali, gli attori di rivista. Negli U.S.A., da W. C. Fields a Danny Kaye, da Eddie Cantor a Jerry Lewis, fino alla “scuola ebraica newyorkese” di Woody Allen e di Mel Brooks, si sviluppò una lunga schiera che stabilì il predominio dei lazzi verbali, dell’eccentricità, del paradosso e del nonsense e diluì la comicità pura nella caratterizzazione paesana e nei numeri isolati.
In Italia eccelse Totò, che non trovò tuttavia registi alla sua altezza, mentre più tardi attori come Sordi, Tognazzi, Gassman e Manfredi hanno dato luogo alla così detta commedia all’italiana (vedi più avanti). E così hanno fatto nei rispettivi Paesi, e con tutte le contaminazioni possibili dell’umorismo o della satira, i numerosissimi altri che hanno in comune la lontananza dai canoni classici, ai quali si è ricollegato invece il francese Jacques Tati, forse l’ultimo comico vero e proprio (mentre, su un piano minore, va ricordato anche Pierre Étaix).
LA COMMEDIA
In campo cinematografico si verificò, a partire dall’introduzione del sonoro, una massiccia trasposizione sullo schermo della commedia teatrale, che nei primissimi tempi era spesso parlata “al 100%”, come vantava la pubblicità dell’epoca.
La commedia musicale (vedi più avanti), danzata e cantata, ha avuto particolare fortuna negli U.S.A. ma anche in U.R.S.S., negli anni Trenta da G. Aleksandrov e negli anni Quaranta da I. Pyrev.
Un genere prettamente cinematografico è la commedia sofisticata (sophisticated comedy - vedi più avanti), che potrebbe definirsi “all’americana” perché, sebbene non senza precedenti nel periodo del muto anche in altri Paesi, visse la sua stagione aurea a Hollywood negli anni Trenta grazie a registi come E. Lubitsch, F. Capra, G. La Cava e altri, prolungandosi nel decennio successivo e con qualche sprazzo di reviviscenza anche oggi.
In Italia durante il fascismo piacque la definizione di commedia rosa per certi film sorridenti ed evasivi, mentre più tardi il tramonto del neorealismo coincise, negli anni Cinquanta, con l’ascesa della commedia all’italiana basata sulla caratterizzazione regionale, sulla prevalenza del dialetto e, nei casi migliori, sulla critica di costume.
LA COMMEDIA ALL’ITALIANA
Negli anni Ottanta, il proliferare delle televisioni private e l’esplosione della vendita dei videoregistratori hanno contratto ancor di più gli incassi dell’industria cinematografica. In particolare il cinema italiano ha dovuto subire anche la massiccia invasione di prodotti statunitensi, vedendo così vistosamente ridotti i margini dei suoi guadagni. Esaurito il cinema di genere, linfa vitale di Cinecittà negli anni Sessanta e Settanta (S. Leone fece in tempo a realizzare nel 1984, prima della scomparsa, un film di rara intensità come “C’era una volta in America”), rimangono ancora apprezzati in ambito nazionale i film comici. In particolare si è affermata una generazione di registi-attori sospesi a metà tra cinema intelligentemente commerciale e tensioni più profonde. Autori come M. Nichetti (“Ladri di saponette”, 1989; “Volere volare”, 1990 e “Stefano Quantestorie”, 1993); R. Benigni (“Il piccolo diavolo”, 1988; “Johnny Stecchino”, 1991, “Il mostro”, 1994, il recentissimo premio oscar “La vita è bella” e lo splendido ma incompreso “Pinocchio”); C. Verdone (“Un sacco bello”, 1980; “Compagni di scuola”, 1988; “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” e “Al lupo al lupo”, entrambi del 1992; “Perdiamoci di vista”, 1994); Francesco Nuti (“Casablanca Casablanca”, 1983; “Caruso Paskoski di padre polacco”, 1988; “Willy Signori e vengo da lontano”, 1989; “Donne con le gonne”, 1991 e “Occhio Pinocchio”, 1994 e il recente “Io amo andrea”); il compianto Massimo Troisi (“Scusate il ritardo”, 1983; “Le vie del Signore sono finite”, 1987; “Pensavo fosse amore e invece era un calesse”, 1991 e “Il postino”, 1994 di M. Radford, ultima interpretazione dell’autore napoletano) e, in misura minore, A. Benvenuti (“Natale in casa Gori”, 1988; “Zitti e Mosca”, 1991 e “Belle al bar”, 1994), hanno ormai rimpiazzato nei gusti del pubblico i grandi comici tradizionali e i loro immediati successori.
LA RIVISTA E IL VARIETÀ
La Rivista e, più genericamente, il varietà e l’avanspettacolo hanno fornito al cinema italiano alcuni dei suoi comici più prestigiosi (basti pensare a Totò) e, in certo senso, anche un cineasta quale Fellini che, da “Luci del varietà” (1951) ad “Amarcord” (1973), non ha mai mancato di ispirarvisi per invenzioni, personaggi e sequenze. Ma in Italia, come del resto altrove, non si è mai avuta una stagione del film-rivista; nel secondo dopoguerra e, particolarmente, negli anni Cinquanta ci si accontentò di ricalcare gli spettacoli teatrali e di trasportarne sugli schermi gli interpreti e gli sketches di maggior successo, senza la benché minima rielaborazione cinematografica. Al massimo (ad esempio in “Polvere di stelle”, 1973, di A. Sordi), si è evocato il piccolo mondo del varietà musicale o dell’avanspettacolo di periferia con una sorta di crepuscolare paternalismo. Tra gli spettacoli di tipo ricreativo, la rivista e il varietà musicale occupano ancora un posto di primo piano alla radio e alla televisione.
LA COMMEDIA MUSICALE (MUSICAL COMEDY)
Nel cinema la commedia musicale ebbe sviluppo con gli inizi del sonoro e trovò la forma definitiva negli anni Trenta, grazie alle personalità del coreografo B. Berkeley e del ballerino F. Astaire (“Il cappello a cilindro”, “Follie d’inverno” e molti altri): il primo coi suoi spettacoli fastosi e monumentali, ma di precisione millimetrica, concepiti appositamente per lo schermo (si disse che preferiva far ballare la cinepresa piuttosto che i danzatori); il secondo col suo stile più raccolto e personale, aperto alle suggestioni eleganti della commedia sofisticata (vedi più avanti) e raffinate della musica di G. Gershwin e J. Kern. Nei due decenni successivi il genere subì un incremento quantitativo ma affermò anche un’evoluzione qualitativa, i cui meriti vanno equamente ripartiti tra il regista V. Minnelli, con la sua ironica e raffinata fantasia antirealistica, e il tandem G. Kelly & S. Donen, che scelse una tecnica più diretta e popolare in ambienti reali. Linea, quest’ultima, che sostanzialmente si ritrova negli esempi successivi (da “West Side Story”, 1961, a “Cabaret”, 1972) e nei coreografi J. Robbins e B. Fosse, anche se la commedia musicale o il film-rivista come erano concepiti all’epoca d’oro hanno ormai lasciato spazio a un genere nuovo di superproduzione musicale, in cui sempre più frequentemente si cimentano registi e attori legati a tutt’altra tradizione, e spesso sulla scorta di precedenti successi teatrali, come, ad esempio, “A Chorus Line”, portato sullo schermo nel 1985 da R. Attenborough.
LA COMMEDIA SOFISTICATA (SOPHISTICATED COMEDY)
Commedia sofisticata, branca della commedia cinematografica all’americana sviluppatasi a Hollywood col parlato e fiorita soprattutto negli anni Trenta grazie a registi quali E. Lubitsch (“Mancia competente”, 1932; “Partita a quattro”, 1933; “Il cielo può attendere”, 1943), H. Hawks (“Ventesimo Secolo”, 1934), G. La Cava (“L’impareggiabile Godfrey”, 1936), F. Capra (da “Accadde una notte”, 1934, a “La vita è meravigliosa”, 1946), a sceneggiatori quali B. Hecht, R. Riskin, ecc., a uno stuolo di attrici e di attori eleganti e, appunto, sofisticati.
Tra il parodistico e il corrosivo, spregiudicato e mondano, il genere fu coltivato nei decenni successivi, seppure in forme nuove, specialmente da P. Sturges, George Cukor, B. Wilder, R. Quine.
Breve storia del cinema…
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