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OMOSESSUALITÀ NEL CINEMA Scheda tratta da “le GARZANTINE – CINEMA” a cura di Gianni Canova (2002) Testo di Silvia Colombo |
«I film costituiscono una sorta di storia dell'opinione pubblica nei confronti degli omosessuali»: con queste parole si apre il film di montaggio “Lo schermo velato” (1995) di Robert Epstein e Jeffrey Friedman. Presentato nella sezione “Finestra sulle Immagini della Mostra di Venezia 1995”, il film si ispira al libro di Vito Russo, “Lo schermo velato. L'omosessualità al cinema”. L'opera - di grande rigore storico/filologico - ripercorre la storia del cinema a tematica omosessuale, che è forse in primo luogo la storia di una lunga censura. Partendo dai filmati delle origini fino ai giorni nostri, Russo privilegia il cinema classico americano degli anni '30, '40 e '50: il percorso prende avvio da “The Gay Brothers” (1895), film sperimentale girato da W. Dickson, per poi indagare la presenza del travestitismo nel cinema muto (C. Chaplin in abiti femminili in “A Woman”, 1915), i rapporti sotto alcuni aspetti tipicamente femminili tra S. Laurel e O. Hardy, fino a rintracciare nel film comico l'alibi perfetto per disinnescare lo spettro dell'omosessualità attraverso un trattamento in chiave farsesca del comportamento effeminato (H. Lloyd in “Il talismano della nonna”, 1922).
Mentre negli anni '10 e '20 negli Stati Uniti si mette in scena «l'uomo effeminato, simbolo della debolezza, che paga per tutti diventando il capro espiatorio delle attività omoerotiche», a Berlino negli stessi anni nasce il primo movimento di Liberazione Gay e nel 1919 in Germania viene prodotto “Anders als die Anderen” (Diverso dagli altri) diretto da Richard Oswald e Magnus Hirschfeld: il primo film in cui l'omosessualità viene affrontata senza pregiudizi.
Tra la fine degli anni '20 e l'inizio dei '30 «l'arrivo del sonoro introdusse un nuovo elemento di realismo sullo schermo e i guardiani della morale pubblica cominciarono a far sentire il loro peso minaccioso sull'industria cinematografica». Le leggi di censura divennero a poco a poco sempre più invasive fino a che, nel 1930, con la creazione del Motion Picture Production Code (passato alla storia come codice Hays), l'industria cinematografica trova il modo di proteggersi dalla censura esterna dandosi un'autoregolamentazione.
Durante gli anni '30, '40 e '50, una società ossessionata dal mantenimento dei ruoli sessuali codificati dà enorme potere all'attività censoria incidendo pesantemente sul lavoro di registi, autori e sceneggiatori. Vito Russo però segue il filo sottile - singole scene, sequenze, brandelli di dialoghi - che di film in film rivela la vitalità dello sguardo omosessuale, e rintraccia la presenza di un'«altra storia» all'interno della struttura narrativa del film: così attori come Greta Garbo in “La regina Cristina” (1933) di Rouben Mamoulian, Marlene Dietrich in “Marocco” (1930) di J. von Sternberg, Lauren Bacall in “Chimere” (1950) di Michael Curtiz, S. Boyd e C. Heston in “Ben-Hur” (1959) di W. Wyler, diventano vere e proprie icone per il mondo gay.
Nei tardi anni '50 la paura dell'omosessualità da origine a film in cui «l'obbligo di uniformarsi, e di nascondere ogni sensibilità segreta per paura della parola “diverso”, era un elemento ricorrente»: “Té e simpatia” (1956) di V. Minnelli, “Gioventù bruciata” (1955) di N. Ray, “Improvvisamente l'estate scorsa” (1959) di J. L. Mankiewicz, sono film in cui l'omosessualità, se non rifiutata e corretta, viene punita con l'emarginazione o la morte. Una delle ultime sceneggiature a venire rimaneggiata pesantemente prima della modifica del codice è “Spartacus” (1960) di Stanley Kubrick: il 3 ottobre 1961 su pressione di O. Preminger, che dava voce ai fermenti più progressisti della società, il codice abolisce la norma secondo cui la «devianza sessuale» non può essere argomento di film.
“Victim” (1961) di B. Dearden è il film della svolta, anche se per tutti gli anni '60 - sebbene se ne potesse parlare apertamente - la rappresentazione di personaggi di lesbiche e gay restituiscono l'idea che l'omosessualità sia una malattia pericolosa, da occultare agli occhi del mondo: il lesbismo di “Quelle due” (1962) di W. Wyler è l'innominato «sporco segreto». Nello stesso modo funzionano film come “Tempesta su Washington” (1962) di O. Preminger e “Le amicizie particolari” (1964) di J. Delannoy.
È W. Friedkin a aprire e chiudere il decennio degli anni '70 con due film che ben sintetizzano i sentimenti contrastanti che scuotono l'opinione pubblica: “Festa per il compleanno del caro amico Harold” (1970) ritrae un gruppo di amici omosessuali senza fare ricorso ai soliti stereotipi, mentre l'uscita dell'ambiguo “Cruising” (1980) solleva ondate di polemiche da parte delle associazioni gay-lesbiche. In mezzo al decennio il film inglese “The Rocky Horror Picture Show” (1975) di J. Sharman, ignorato alla sua uscita e poi diventato il musical rock più famoso della storia del cinema, riflette il diverso atteggiamento della cinematografia europea. In Germania un autore come R. W. Fassbinder, in Spagna l'opera di P. Almodóvar, in Italia con L. Visconti e P. P. Pasolini; a partire dagli anni '60 gli apporti di registi omosessuali al cinema d'autore - nonostante i molti problemi con la censura - sono imprescindibili.
Se per tutti gli '80, fino agli inizi degli anni '90 l'atteggiamento di Hollywood resta fermo a una visione tragica e dannata della coppia omosessuale - film come “Miriam si sveglia a mezzanotte” (1983) di Tony Scott, “Thelma & Louise” (1991) di Ridley Scott, “Philadelphia” (1993) di J. Demme - la commedia “In & Out” (1997) di F. Oz è forse il primo esempio di un cinema mainstream che veicola una concezione rassicurante e a suo modo gioiosa di una persona che scopre e accetta la propria diversità.
Negli ultimi anni, tra i moltissimi film usciti di argomento dichiaratamente omosessuale sono da ricordare “Belli e dannati” (1991 ) e “Cowgirl - Il nuovo sesso” (1993) di Gus Van Sant, “6 gradi di separazione” (1993) di F. Schepisi, “Go Fish - Segui il pesce” (1994) di Rose Troche, l'australiano “Priscilla, la regina del deserto” (1994) di S. Elliott, “Happy Together” (1997) dell'hongkongese Wong Kar-wai, il taiwanese “Il banchetto di nozze” (1993) di A. Lee, lo spagnolo “Krampack” (2000) di C. Gay.
Nel 1997 l'uscita dell'insolita commedia “La mia vita in rosa” (1997) di A. Berliner, prende in considerazione la sessualità dei bambini e inaugura un punto di vista infantile sulla diversità.