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La
regina Cristina di Svezia (1626-1689, Garbo), succeduta a suo padre Gustavo
Adolfo sul trono di Svezia, governa il paese con sapienza e fierezza.
Lord Magnus, il tesoriere di corte, vorrebbe sposarla. Ella lo tiene a
bada, come pure respinge il Principe Carlo che i sudditi vorrebbero al
suo fianco sul trono. Un giorno, durante una delle sue sortite in incognito
travestita da paggio, aiuta un cocchiere a liberare dalla neve la carrozza
di Don Antonio ambasciatore di Spagna (Gilbert). Quella sera stessa, a
causa della ritrettezza di spazio, i due devono divedere la medesima camera
nella locanda dove si fermano per la notte. È così che Don
Antonio scopre l'identità del suo compagno e se ne innamora, senza
però sapere che Cristina è la Regina di Svezia. Quando si
reca a corte con l'incarico di chiedere ufficialmente la mano di Cristina
per il suo Re che la vorrebbe in sposa, scopre anche questo. Nonostante
le difficoltà, Cristina e Don Antonio continuano la loro relazione,
ma Lord Magnus, roso dalla gelosia e dall'invidia, la osteggia in ogni
modo, semina zizzagna e ne fa una questione politica. Cristina, che non
vuole rinunciare alla sua libertà, abdica - ma Lord Magnus non
è ancora soddisfatto: provoca Don Carlo e durante un duello e lo
uccide. A Cristina, perso il trono e l'amore, non resta che l’esilio
e la solitudine.
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Da
“Lo schermo velato” di Vito
Russo
Nel 1933, meno di un anno prima dell’uscita del film (...), Elizabeth Goldsmith pubblicò “Christina of Sweden” (“Una biografia psicologica”). Recensendo il libro e anticipando il film di Mamoulian, Lewis Gannett scrisse sull’Herald Tribune di New York: “L’unico amore duraturo della vita di Cristina fu per la contessa Ebba Sparre, una bella nobildonna svedese che perse molto del suo interesse per la regina quando Cristina cessò di governare la Svezia. Le prove sono schiaccianti, ma la Garbo interpreterà questa Cristina?”. La Garbo, naturalmente, non fece una cosa simile, ma sullo schermo la collisione della sensibilità androgina con l’amore di Cristina per gli abiti e le occupazioni maschili diedero al film una sua verità. La Garbo, che una volta confidò a Katharine Cornell il suo desiderio di interpretare una versione cinematografica del “Ritratto di Dorian Gray” nel ruolo del protagonista, con Marilyn Monroe nella parte di una ragazza rovinata da Dorian, riuscì a creare, nel personaggio della regina, una particolare dinamica che superava le fondamentali carenze della sceneggiatura. Il desiderio malinconico di Cristina di sfuggire al suo destino (il matrimonio) e i suoi abili rifiuti di una serie di pretendenti vengono interrotti nella prima metà del film dall’incontro con la contessa Ebba Sparre (Elizabeth Young). La breve scena in cui sono insieme è carica di sensualità e di vero affetto, la sola manifestazione di questo tipo nel film, fra la Garbo e un’altra donna. Qui la Garbo lascia cadere le barriere emozionali che caratterizzano gli incontri con i pretendenti. Quando Ebba irrompe nella camera della regina, le due donne si baciano appassionatamente sulla bocca. Ebba propone allegramente di andare insieme a fare una gita in slitta, ma Cristina le risponde tristemente che il Parlamento aspetta e che si vedranno la sera. “Oh no, non ci vedremo!” brontola Ebba “Tu sarai circondata da vecchi uomini ammuffiti e da vecchie scartoffie polverose e io non potrò stare vicina a te”. La regina le accarezza il viso con dolcezza e le promette che presto andranno insieme in campagna “per due giorni interi”. Più avanti nel film, quando un consigliere preme perché la regina si sposi e dia un erede al trono, Cristina rifiuta con insolenza. “Ma maestà” protesta il consigliere “non potete morire da vecchia zitella!”. Ormai vestita con abiti da caccia maschili, la regina si ferma sulla porta e ribatte: “Non ne ho alcuna intenzione, Cancelliere. Morirò da scapolo!” ed esce con passo forte e sicuro dalla stanza. La battaglia fra l’eroico “maschiaccio” e la regina torturata dal suo destino si protrae attraverso tutto il film e la storia d’amore con Antonio (John Gilbert) non la risolve. Il bisogno di sfuggire al ruolo che le è stato imposto dalla vita è stato l’elemento dominante di Cristina e il film di Mamoulian esprime questo fatto molto chiaramente. Guardando fuori dalla finestra, Cristina mormora: “La neve è come un mare in tempesta. Si potrebbe uscire e perdercisi”. Poco dopo Cristina fugge nella neve, quando scopre che Ebba Sparre ha tradito il suo amore. Questo avviene quando la regina incontra Antonio, il solo uomo che sembra accettarla e amarla per tutte quelle cose che sconvolgono tanto la sua corte. Antonio s’innamora di lei, pensando all’inizio che sia un uomo, e appare assolutamente disposto ad accettare tutto quello che questa strana situazione potrà portare. In una scena divertente, il servitore di Antonio entra nella camera da letto della locanda dove Cristina e Antonio hanno trascorso la notte, e trova che il padrone è ancora a letto con il “giovanotto” con cui si era ritirato la sera prima. Il servitore riceve l’ordine di portare due tazze di cioccolata ed esce stupitissimo dalla stanza. Quanto Antonio muore, Cristina decide di affrontare il mare aperto e di farla finita con la sua vita precedente, come se la pace che deve trovare fosse ancora davanti a lei. Richard Dyer in “Gays in Film” sottolinea che i gay, per reagire all’isolamento che li separa fra loro e dagli eterosessuali quando diventano adulti, hanno talvolta praticato con il cinematografo quello che Claude Lévi Strauss definisce “bricolage”, cioè il giocare con le immagini che ci vengono offerte dallo schermo in modo da piegare il loro significato secondo i nostri fini. Nella “Regina Cristina”, la Garbo dice a Gilbert che c’è qualcosa dentro di lei che non le permetterà di riposare: “È possibile” gli dice “provare nostalgia per un posto che non si è mai visto”. Allo stesso modo, il film suscitò nei gay una nostalgia per qualcosa che non avevano mai visto sullo schermo. Per il pubblico medio eternamente terrorizzato, comunque, il sogno rimaneva intatto. La cosa importante di Cristina era che avesse incontrato l’uomo che amava e avesse abdicato al trono per lui. Dopo che “La Regina Cristina” uscì, l’Herald Tribune scrisse: “Cosa importano i fatti e le teorie? Cristina, per tutti quelli che vedranno il film della Garbo, sarà sempre la bella fanciulla che si è innamorata dell’ambasciatore spagnolo in mezzo alla neve, e non c’è studio accademico che potrà cambiare questa immagine”. Fenomeni come l’incontro fra il filtro misterioso della Garbo e la testarda mascolinità di Cristina, quel tipo di fenomeni che producono qualcosa di più di quello che sta scritto nelle sceneggiature, accadono di rado, e quasi mai nelle biografie: le vite di lesbiche e gay vennero significativamente alterate oppure non si tentò neppure di rappresentarle. Il bisogno di invisibilità si riflette nel carattere stesso dell’esperienza americana: gli eroi non possono essere omosessuali. E quelli che erano gay nella vita reale non hanno quasi mai messo in dubbio questa sicurezza, e anzi, l’hanno avallata.
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Dal libro di Elizabeth Goldsmith “Christina of Sweden” (“Una biografia psicologica”), pubblicato nel 1933. |