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Cos’altro
avrebbe potuto fare nella propria vita Sissy Hankshaw (Uma Thurman), nata
in Virginia con due enormi pollicioni, se non l’autostop? E così,
fin da ragazzina, folgorata da un passaggio su una lucida Pontiac, finisce
a vagabondare senza sosta da una costa all’altra degli states. Più
che una scelta il suo è quasi un bisogno fisico (se non fa l’autostop
almeno una volta al giorno le fanno male i pollici), e quando la ritroviamo
adulta può vantare 11 anni e 4 mesi di continuo movimento a scrocco
su ogni mezzo meccanico, con un personalissimo record di bi-traversata
da un oceano all’altro in sole 127 ore. Senza problemi economici,
grazie ai suoi guadagni come modella per la Yoni Yum di cui è la
testimonial (una casa di cosmetici creati dall’eccentrico e misogino
travestito chiamato “la Contessa” - Hurt), Sissy dà
libero sfogo alla sua voglia di muoversi, viaggiare ed essere libera.
Al Rubber Rose Ranch, una beauty farm di proprietà di Contessa
ma gestita da un gruppo di cowgirls trasgressive, insofferenti all’etichetta
e all’autorità, Sissy s’innamora di Bonanza Jellybean
(Phoenix) e con lei finisce per condividere tenerezze e una strana rivolta
contro l’insopportabile datore di lavoro e il governo americano
decisamente seccato che le gru selvatiche non migrino più, felici
e sedentarie ospiti del laghetto della fattoria in cui si serve mangime
a base di peyote. Bonanza Jellybean e Dolores Del Ruby (Bracco), le due
cowgirl ritenute responsabili del comportamento anomalo delle bestiole,
sono decise a non restituirle, convinte che questo mondo patriarcale e
brutale non meriti tanta grazia e bellezza.
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Un film sfortunato e “maledetto” (sceneggiato dal regista) di cui è possibile vedere solo la seconda versione, tagliata e rimontata dallo stesso van Sant (e dedicata a River Phoenix, morto nel frattempo) dopo la disastrosa e ingiusta accoglienza della prima al Festival di Toronto e Venezia del 1993. Le omissioni sono molte, pregiudicano irrimediabilmente la comprensibilità dell’intreccio e snaturano quasi del tutto il progetto originario nato all’insegna dell’anarchia formale e narrativa. Tagliati alcuni importanti personaggi già nella sceneggiatura, ridimensionate altre figure chiave e rimontato alla meglio. Rimangono, in frammenti perlopiù disgiunti e abbastanza inutili, l’esaltazione del nomadismo e della libertà, la felice celebrazione dell’ambiguità, della diversità e della marginalità, la liberazione della personalità passando anche attraverso esperienze forti, fuori dagli schemi e dalla legalità, la ribellione ad ogni autoritarismo. Anche se la versione definitiva è lontana da quella originale «il film è originale sia per la fusione di più generi - dal musical al western - sia per i temi un po’ datati che vengono ironicamente dissacrati: dal femminismo al pacifismo, dall’uso di droghe all’ecologia. (...) Nel film, pur sconclusionato, il sesso è vissuto dalle ruvide cowgirls, novelle amazzoni, in modo liberatorio, sia sotto forma di poetico amore, quello di Sissy e di Bonanza, sia quando è pervaso da un vitale erotismo. Esso è dunque il simbolo per eccellenza di un’utopia anarchica di un mondo migliore, senza più diversità e discriminazioni» (da “Lo schermo velato” di Vito Russo, nell’appendice di Vincenzo Patanè).
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Dell’omonimo romanzo del guru della controcultura americana anni ‘70, Tom Robbins. |