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Aggiornato
Venerdì 12-Ott-2007
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Da www.oliari.com - Di autori sconosciuti, presumibilmente sacerdoti biblisti e giuristi
Homines sunt omosexuales: humani ab illis nihil est alienum.
“Per lor maladizion sì non si perde che non possa tornar l’eterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde”: come Vostra Eminenza sa, con questi versi il cattolico Dante Alighieri salva nella Divina Commedia [1] l’imperatore Manfredi, “maladetto” (cioè, scomunicato) dalla Chiesa e il cui corpo fu disseppellito e abbandonato in terra sconsacrata dal vescovo di Cosenza per ordine di papa Clemente IV nel 1266 dopo la battaglia di Benevento, nella quale il sovrano svevo aveva trovato la morte. Ma – dice Dante - nonostante la scomunica della Chiesa, l’uomo non si perde al punto che l’amore di Dio non possa tornare da lui fino a quando la speranza dell’uomo è viva, perché: “la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei” [2]. Nulla potrebbe esprimere, con maggiore chiarezza ed efficacia, da una parte la inadeguatezza umana in ogni tempo a giudicare il cuore degli uomini, quand’anche ci provi la Chiesa con le sue “maledizioni”; e dall’altra parte – per chi ha il dono della fede – la grandezza senza limiti della impregiudicata misericordia di Dio verso tutti gli uomini, quand’anche scomunicati dalla Chiesa. “Chiesa”, Eminenza, non è il papa, non sono i cardinali, non sono i vescovi, non sono i preti, non sono i fedeli; “Chiesa” è il papa più i cardinali più i vescovi più i preti più i fedeli più la loro storia, ma insieme a qualcosa che i cattolici troppo spesso dimenticano, che è la presenza dello Spirito Santo che dà forza a coloro che credono e a coloro che sperano, indipendentemente dalle loro preferenze sessuali: mentre senza lo Spirito, Eminenza, anche il papa, i cardinali e i vescovi possono errare. Quando si parlerà qui in seguito di “Chiesa”, si intenderà perciò solo quella gerarchico-istituzionale rappresentata dall’autorità della Santa Sede e dalla sua forza cogente sulla coscienza e sull’azione dei fedeli osservanti, ma non infallibile in tutti i suoi pronunciamenti: precisamente per questo, nulla vieta di ritenere che anche un intervento del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, approvato da un papa sperabilmente ancora compos sui, possa essere fallibile o fallace. Da questa Chiesa ci è venuto infatti ora un documento [3] su cui occorre riflettere, con serenità e senza estremizzazioni, ma anche con chiarezza e senza inibizioni, nella consapevolezza, laica e cristiana insieme, della necessità che soprattutto oggi “sia il nostro parlare: sì, sì; no, no”.
E quello che sorprende anzitutto in questo nuovo documento vaticano è il fatto che delle quattro parti in cui esso è diviso, solo la prima si limita a riassumere (talora male e in qualche punto anche infedelmente) la più recente dottrina della Chiesa sull’omosessualità; mentre le altre tre e più ampie parti attengono in realtà non già al merito del problema delle unioni omosessuali, bensì alle istruzioni che la Congregazione presume di potere e dover indirizzare ai cattolici impegnati in politica perché ottemperino con ogni zelo alle disposizioni vaticane: questa sproporzione così evidente tra le parti complessive (3 su 4) dice da sé quanto il fine principale del documento sia non già quello di ribadire il pensiero della Chiesa, bensì quello di intervenire direttamente nell’autonomia della politica dando istruzioni e prefigurando comportamenti precisi, non solo generali e “strategici”, ma addirittura tattici, per intervenire a condizionare o sabotare il processo di formazione e di attuazione delle leggi dello Stato. Peraltro, l’intervento si dimostra tanto scopertamente finalizzato alla situazione italiana, ove solo si consideri che in quasi tutti i Paesi dell’Europa occidentale, tranne la non cattolica Inghilterra, ormai sono operanti da tempo legislazioni che hanno riconosciuto alle coppie omosessuali registrate dinanzi allo Stato tutta una serie di diritti-doveri in materia di alloggi, di pensioni, di fisco, di previdenza, di assicurazione e di eredità, o addirittura (come in Svezia, Danimarca e Olanda) di adozioni. Perfino nella cattolicissima Spagna i Parlamenti di Aragona, Catalogna e Navarra hanno fin dal 1998 messo sullo stesso piano coppie eterosessuali e coppie omosessuali. Legislazione innovativa garantista nello stesso senso viene ora adottata perfino dallo Stato di Israele il cui popolo avrebbe anche titoli maggiori e più seri dei cattolici in relazione al rispetto della Bibbia. E dunque, considerato che negli Stati Uniti d’America (che non sono neanche a maggioranza cattolica) lo stesso presidente Bush e il suo partito risultano contrari al riconoscimento di tali unioni, l’unico Paese di rilievo in cui la situazione resta quanto mai incerta, e su cui dunque la Santa Sede ritiene di poter esercitare con calcolato tempismo le più esplicite pressioni risulta essere l’Italia [4], per la quale con ogni evidenza il documento appare studiato: tempestivamente e puntualmente, infatti, il presidente della CEI card. Ruini non ha mancato di enfatizzare l’intervento d’Oltretevere nella riunione della presidenza il 22 settembre 2003, collegando surrettiziamente il problema della famiglia con quello del riconoscimento di diritti civili alle coppie omosessuali come auspicato dal Parlamento europeo. Ma questa prevalenza così pesante di un insieme di considerazioni orientate al condizionamento delle scelte legislative e del personale politico della nostra Nazione denuncia precisamente la gravità dell’intervento, e insieme il fatto che la Chiesa si attesta su posizioni difensive e anatemizzanti, come ogniqualvolta si sente impotente ad orientare la vita della società solo col suo magistero morale: ancora nel 1986 essa sembrava volersi aprire all’autorità dei “risultati delle scienze umane, le quali pure hanno un oggetto e un metodo loro proprio, che godono di legittima autorità” [5]; oggi invece il medesimo dicastero, guidato dal medesimo Prefetto, ritiene necessario alzare il tiro e porre un veto alle coscienze dei cattolici impegnati in politica: segno oggettivo di difficoltà della Chiesa dinanzi alla emancipazione di un tessuto sociale che intende ampliare i confini delle libertà individuali perché la società sia più garantita e più libera nel suo complesso [6]. Cento anni fa la Chiesa non avrebbe avuto bisogno di aprire una battaglia contro gli omosessuali, perché in questa ostilità essa era surrogata egregiamente dalla società civile; ora invece che la coscienza civile si va emancipando in tutto il mondo occidentale, la Chiesa si sente costretta a scendere direttamente in campo: segno di debolezza, e non già di forza. Capovolgeremo qui tuttavia l’impostazione del documento, e parleremo prima del piano politico-sociale, e dopo dell’aspetto più specificamente religioso e della comprensione e utilizzazione della Sacra Scrittura. Ed è certo difficile trovare, nella storia post-conciliare e più recente dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, un documento di così pesante interferenza presentato come una “difesa di valori dell’umanità” (§ 11): ma Vostra Eminenza è così certa che i valori cristiani e umani si difendano in siffatto modo? E qual è il modo a cui si pensa per difendere tali valori: prefigurando uno scontro a livello istituzionale e una lacerazione della coscienza civile (laica e cristiana) del Paese funzionale al mantenimento della dottrina della Chiesa e dei suoi divieti nelle leggi dello Stato? Che cosa è, un nuovo integralismo, del tipo islamico? Eminenza, ma Lei ha ben letto quel che è scritto al § 5 del documento, dove si invita il Legislatore ad affermare il “carattere immorale” delle unioni omosessuali? Lo Stato laico, Eminenza, non definisce le immoralità, definisce le illegalità, se ne rende conto [7]? Il famoso processo al vescovo di Prato negli anni ‘50 non le dice nulla? Il tono apocalittico con cui si parla in appena otto righe di “moralità pubblica”, di “concezione erronea della sessualità”, di “dilagare del fenomeno”, di “tolleranza del male”, di “legalizzazione del male” risulta assolutamente preoccupante: questa denuncia di una specie di ‘male’ assoluto che si diffonderebbe nel tessuto di una società ‘sana’ fino ad un minuto prima è tanto anticristiana e manichea sul piano spirituale quanto falsa sul piano sociale. E che significa dire che l’omosessualità sarebbe una “concezione erronea della sessualità”? L’omosessualità è una forma di sessualità (accettabile o no), ma non è una “concezione erronea” della sessualità: anzi, a voler essere precisi, erroneo è piuttosto il parlare di “concezione”, dato che l’omosessualità è non una “concezione” ma un semplice dato di fatto presente nella realtà umana. E che significa poi dire che “ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo” (§ 5)? Ma Vostra Eminenza si rende conto del significato di tali parole? Vorremmo sommessamente ricordarLe che l’art. 7 della Costituzione italiana stabilisce che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”: “indipendenti”, Eminenza. Indipendenti! In Italia il Parlamento fa le leggi, il capo dello Stato le promulga, l’amministrazione dello Stato le applica: che cosa si vorrebbe dire, che il capo dello Stato dovrebbe rifiutarsi di promulgare una legge del Parlamento sovrano? che l’amministrazione pubblica dovrebbe astenersi dall’applicarla? che i pubblici funzionari dovrebbero rifiutare la loro cooperazione materiale sul piano applicativo? Ma, Eminenza, si rende conto di cosa significhi tutto questo sul piano delle responsabilità e dei doveri civici? E non è stato forse San Paolo a dire che “ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio” [8]? Come mai qui San Paolo viene dimenticato, Eminenza? O Vostra Eminenza vorrebbe citarlo e interpretarlo solo nell’ottica teocratica della plenitudo potestatis e della potestas directa? In realtà, la sensazione che si ricava da questo capitolo nel suo insieme è quella di una forma di velata istigazione su base confessionale alla disubbidienza civile; della proclamazione di un nuovo non expedit, più grave del precedente ottocentesco, e più antistorico di quello in quanto indirizzato oggi non più al rifiuto pregiudiziale del riconoscimento dello Stato sovrano, non più al disconoscimento o al rifiuto delle sue leggi, ma addirittura finalizzato a progettare ed organizzare interventi preventivi ostruzionistici, limitativi od ostativi a prerogative giurisdizionali dello Stato laico in quanto tale. Non è bastata un’esperienza storica di separazione del mondo cattolico, di chiusura, di ostilità verso lo Stato con cui quel non expedit segnò tutto il secondo Ottocento ed anche il primo Novecento, con il ritardo nella formazione di una completamente nuova generazione politica e di una piena dialettica sociale, con tutti i danni che da esso derivarono alla maturazione di una classe politica cattolica moderna, responsabile e non paternalistica? Vogliamo creare nuove lacerazioni, nuovi non licet? E’ davvero questo ciò che vuole il papa?
L’ampio capitolo III del documento, relativo alle argomentazioni razionali contro il riconoscimento legale delle coppie omosessuali contiene troppe articolazioni perché esse possano essere esaurientemente qui considerate in modo analitico. Ma certo, e giusto per evidenziarne solo una, Vostra Eminenza sembra difendere o voler rispettare “i diritti inalienabili di ogni persona” addirittura citando San Tommaso, ma poi afferma che ove lo Stato riconoscesse dei diritti alle coppie omosessuali verrebbe meno al suo “dovere di tutelare il matrimonio” (§ 6). Non è vero. Si possono riconoscere nuovi diritti senza per questo “svalutare” istituzioni esistenti: non esiste siffatta cosa affermata nel documento. Improntato ancora a tono apocalittico appare il successivo § 7, che addirittura prospetta pericoli per la sopravvivenza della specie umana. E per quale motivo la specie umana sarebbe in pericolo? Guarda caso, non se esiste – come esiste, e come è sempre esistita senza mettere in pericolo nessuna popolazione in nessuna cultura – una percentuale di popolazione omosessuale diremmo quasi fisiologica, compresa (secondo i calcoli statistici mondiali più attendibili) tra il 5 e il 10 %; bensì solo e soltanto se a questa percentuale di popolazione omosessuale venissero riconosciuti certi diritti dai quali oggi essa risulta esclusa: Eminenza, si rende conto della risibilità dell’argomentazione? Se invece costoro continuassero semplicemente ad esistere, ma continuassero a vivere nel rischio, nel pericolo, nella instabilità affettiva, nella solitudine, nella dimensione, che piace a certa Chiesa, del “fenomeno privato” (§ 6), in tal caso la specie umana sarebbe salvaguardata? Vostra Eminenza sarebbe più tranquilla e felice? Come si può negare la “cattiveria” tutta anticristiana del ragionamento? Qualche seria ragione riscuote la successiva argomentazione del documento relativa al problema delle adozioni da parte di coppie omosessuali. E’ certo che la vita che nasce, il frutto del concepimento dovrebbe essere il risultato e il segno di un rapporto consentito a livello biologico dalla natura: chi vuole un figlio, lo genera. Ed è altresì vero che i bambini, che sono la parte più fragile e indifesa della società, hanno bisogno di godere equilibratamente dell’esperienza della paternità e della maternità insieme. Questo sarebbe tanto vero quanto è auspicabile. Tuttavia Vostra Eminenza non è così ingenua da non sapere che spesso il passaggio dal piano teorico a quello pratico, dalle situazioni ideali a quelle reali, può sempre comportare e comporta sfumature, adattamenti, valutazioni che lo schema teorico non prevede. Oltretutto, il problema concreto di adozioni da parte di coppie omosessuali non si proporrà per infiniti decenni in Italia, dove per ogni bambino adottabile esistono attualmente ben 25 coppie eterosessuali pronte all’adozione o all’affidamento. Tale problema si porrebbe invece, come si pone, per l’adottabilità da parte non di coppie, ma di un singolo (uomo o donna che sia), sulla qual cosa il dibattito resta attualmente aperto, e pertanto su di esso non intendiamo per ora intervenire. Ma Vostra Eminenza sa cosa sono stati e cosa sono gli orfanotrofi? Sa quale “esperienza della maternità o della paternità” (§ 7) hanno i bambini chiusi in quegli istituti, che in Italia sono oltre mille e quasi tutti in mano alle suore cattoliche? Sa quanto male funziona tuttora in Italia l’istituto delle adozioni e dell’affido? Sa a quali e quante sofferenze, a quali patimenti, a quali traumi psichici sono sottoposti o esposti i bambini custoditi da teste fasciate e da non sempre affidabili istitutori? Sa quale percentuale di microdelinquenza giovanile (e poi anche adulta) proviene da quegli orfanotrofi? Le stanno bene i bambini che vedono anche a Pasqua, Natale, Carnevale o Ferragosto solo la faccia, magari arcigna, di una suora? Il fatto che in Italia entro l’anno 2006 tali istituti dovrebbero – per l’Italia il condizionale in queste cose è d’obbligo – sparire, non riduce la gravità del fatto ed il silenzio della Chiesa che ha accettato, incoraggiato e coltivato tali istituzioni perché gestite quasi totalmente dal mondo cattolico. Eminenza, almeno fino al 2006 la formazione, la crescita equilibrata, la tutela dai traumi per quei bambini sui quali il mondo cattolico esercita ancora, attraverso quegli istituti, un dominio pressoché pieno e molto spesso incontrollato, non La preoccupano? Il Suo dicastero ha mai detto qualcosa sulle sofferenze dei bambini chiusi negli orfanotrofi o in simili istituti di accoglienza, privi insieme di padre e di madre? Non sono figli di Dio anch’essi? Stanno bene così, senza qualcosa che almeno si avvicini al calore di un focolare familiare? Le risulta o no che siffatti istituti hanno sempre avuto una sorda resistenza a ‘cedere’ (termine orribile e turpe) i bambini all’adozione o all’affido perché essi istituti avrebbero perso in tal modo i relativi sussidi economici previsti dalle leggi dello Stato? Quegli “ambienti” invece non “fanno violenza” al bambino? Essi favoriscono invece il “pieno sviluppo umano” del bambino? Lei crede davvero così, Eminenza? L’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali sarebbe – Ella dice – “gravemente immorale”: e perché, la permanenza disumana negli orfanotrofi è “morale”? Ma se l’adozione da parte di coppie omosessuali si traducesse, di per sé, in una “pratica gravemente immorale” che comprometterebbe il “sano” sviluppo della personalità del bambino, come spiega poi Vostra Eminenza, di grazia, le pulsioni istintivamente e definitivamente omosessuali presenti nei milioni di figli nati e allevati da “sani” coniugi eterosessuali e cattolici? Tutti traviati solo dalle cattive compagnie extra-familiari? Ma davvero…? Suggeriremmo a Vostra Eminenza di rivedere un noto film di H. Roach del 1932, solo apparentemente comico (per la presenza della coppia Stan Laurel e Oliver Hardy), "Il compagno B.", per capire come anche due uomini possano riversare su una bambina tutto l’affetto umano possibile, che istituti e suore “cattoliche” spesso non sanno nemmeno cosa sia. E, contemporaneamente, porremmo all’Eminenza Vostra la domanda se il padre di un bambino che ha perduto la moglie durante il parto sia obbligato da qualcuno (legge civile o legge canonica) a risposarsi per favorire il “pieno sviluppo umano” del bambino: in questo caso il bambino può fare a meno dell’esperienza della maternità solo perché un prete aveva benedetto il matrimonio dei genitori? E il vedovo dell’esempio si comporterebbe in modo “gravemente immorale” se volesse allevare da solo il proprio figlio? perché lo priverebbe della “esperienza della maternità”? Vero è che molti tribunali per i minorenni, in Italia, vanno in questi decenni adottando provvedimenti che gridano vendetta dinanzi a Dio per la loro disumanità, Eminenza, e non ci meraviglierebbe se prima o poi qualcuno di loro giungesse anche a sottrarre il bambino al padre vedovo, con la motivazione – essa sì vergognosa e immorale – di dover tutelare “lo sviluppo normale” del bambino: ma quante strane persone umanitarie vengono ogni tanto fuori, a questo mondo! E’ certamente vero che il problema delle adozioni non attiene specificamente al Suo dicastero, e non tocca direttamente il problema che la Congregazione ha affrontato per le proposte relative alle coppie omosessuali. E tuttavia, gradiremmo un autorevole pronunciamento della Chiesa anche su questo tema. Lei sa che nella sola Africa esistono o si prevedono 15.000.000 (quindici milioni) di orfani a causa dell’Aids; che cosa suggerirà di dire il Suo dicastero ai governanti africani: “teneteli negli orfanotrofi, e date i soldi alle suore”? Ne parli con il papa, Eminenza. I due punti successivi del documento (§ 8-9) toccano il cuore del problema, insistendo sull’aspetto sociale e giuridico delle unioni omosessuali e sulla loro configurazione, come parrebbe di dover intendere, concorrenziale rispetto all’istituto del matrimonio. Qui il tono del documento diventa, a ben leggere, sottilmente ossessionato e farneticante. Il filo del ragionamento è il seguente: •
esiste il “bene comune” a cui tende la società
(bene comune che però non viene definito e non si sa cosa precisamente
sia e chi abbia la prerogativa di definirlo); Indegna è per un qualsiasi sacerdote di Dio quest’ultima considerazione, che costituisce un processo alle intenzioni, e dunque una calunnia. Ma essa resta ancora più stigmatizzabile se a farla è un principe della Chiesa che ha visto con i suoi occhi la migrazione in Italia di decine di migliaia di donne dell’Europa orientale, particolarmente provenienti dalla Polonia dopo l’ascesa al trono pontificio di un cardinale polacco; migliaia delle quali donne, polacche, ucraine, rumene e quant’altre, hanno contratto matrimonio – benedetto da sacerdoti cattolici - con italiani (per lo più anziani) al fine di ottenere (o carpire) la cittadinanza italiana e di percepire (o carpire) assistenza sociale e benefici previdenziali a carico delle casse dello Stato e della comunità italiana [9]. E Vostra Eminenza ha l’impudenza di sostenere che le coppie omosessuali vorrebbero “sfruttare le disposizioni di legge” solo perché vorrebbero (ove ricorrano le circostanze e pagando i relativi e non indifferenti contributi previdenziali) poter assicurare al partner della coppia, ove riconosciuta dallo Stato, un diritto alla casa, un diritto all’assistenza medica, un diritto alla pensione, un diritto ad assistere il partner morente (senza essere cacciato dall’ospedale in quanto “non-familiare” o dai parenti in quanto “pietra dello scandalo”), un diritto alla successione ereditaria senza trovarsi privati anche dei ricordi affettivi, magari di una vita, da un momento all’altro? Ella ha mai letto una biografia di Marguerite Yourcenar e della sua compagna Grace Frick, come si dirà anche dopo? Eminenza, ma i porporati sanno arrossire? Ha presente Vostra Eminenza, dal Vangelo di Matteo, la parabola degli operai mandati alla vigna, ai quali il padrone dà a fine giornata la medesima mercede: a quelli mandati all’alba come a quelli presi alle nove, e poi a mezzogiorno, e poi alle cinque, con la protesta dei primi che avevano lavorato di più? “Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” [10]. E lo Stato non può essere forse “buono” verso i suoi cittadini? Il fatto che l’art. 29 della Costituzione italiana “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” non comporta affatto che la Repubblica non possa riconoscere altri diritti (simili o meno simili) ad altre “società naturali” (naturali, Eminenza, perché determinate dalle pulsioni sessuali loro donate dalla natura), ancorché non fondate sul sacramento del matrimonio; e due persone che sentono istintivamente di voler stare insieme e di condividere un percorso di vita non possono che essere, dinanzi allo Stato, che “società naturale”, senza che questa diversa società intacchi in alcun modo i diritti della famiglia fondata sul matrimonio: “oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. E che cosa significa poi che lo Stato agirebbe “arbitrariamente” se decidesse di concedere riconoscimento e tutele giuridiche anche alle coppie omosessuali, come agli ultimi operai della parabola mandati alla vigna? Arbitrariamente, Eminenza?! Ma si rende conto di quel che è stato scritto? Lo Stato che agisce “arbitrariamente”?! E chi stabilisce questo? il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede della Chiesa cattolica? Come crede che potrebbe commentare questo concetto, se potesse, Marsilio da Padova [11]?
Abbiamo tralasciato finora il ricorso, presente nella parte iniziale del documento, alle Sacre Scritture, e cioè al Vecchio e al Nuovo Testamento. E’ necessario ora affrontare il problema sotto il profilo più strettamente scritturistico ed esegetico. Eminenza, detto in tutta umiltà, sarebbe il caso che Ella suggerisse ai teologi del Suo dicastero qualche corso specialistico di esegesi biblica o, meglio, di filologia biblica, o di mera filologia, ma anche di genetica e di storia del progresso delle conoscenze umane. Per capire e interpretare correttamente le Scritture, occorre anzitutto saperle leggere senza presentarle in modo alterato e distorto: e occorre anche non limitarsi a spigolare tra i Sacri Testi per ricavarne solo quello che sembrerebbe poter confermare una tesi. Ella, che resta un fine teologo, sa bene quanto occorra essere onesti e completi nell’uso e nelle citazioni dalla Bibbia.
I tre brevi paragrafi che compongono il cap. I (§ 2, 3 e 4) si limitano, per ammissione stessa di Vostra Eminenza, a riassumere e ribadire la dottrina approvata precedentemente dalla Chiesa sul tema dell’omosessualità. Vogliamo qui ricordare quanto il documento espone? Il
primo argomento è che il racconto biblico della creazione confermerebbe
la “verità naturale” sul matrimonio, e a tale scopo
il documento richiama - nell’ordine - tre “dati fondamentali”
della Genesi, e cioè “in primo luogo” Gn 1, 27; “poi”
Gn 2, 24; “infine” Gn 1, 28. E già il solo fatto di
richiamare in siffatto ordine i tre passi del racconto biblico, soprattutto
spezzettando innaturalmente i vv. 27-28, costituisce una alterazione del
testo stesso, e dunque una sua falsificazione. E dunque, da tutto l’intero racconto della creazione, che Vostra Eminenza conosce peraltro benissimo, risulta chiaro che quando Dio crea l’uomo, e lo crea maschio e femmina, in realtà la donna non era stata ancora creata.
Vuole Vostra Eminenza una conferma, tratta dal Nuovo Testamento, della esattezza di questa successione temporale? Se Vostra Eminenza non si fida di coloro che qui scrivono, si fiderà almeno dell’autorità di San Paolo? E come interpreta San Paolo il racconto della creazione? Lo interpreta con le seguenti parole: “Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione” (1Tm 2, 12-14); e inoltre: “L’uomo… è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.” (1Cor 11, 7-8). Vostra Eminenza vuole mettere in dubbio l’esattezza della interpretazione del passo biblico da parte di San Paolo? Crediamo di no… Dunque, se la donna fu creata dopo, secondo la non contestabile affermazione e interpretazione dello stesso San Paolo, ciò significa che quando Dio creò l’uomo, e “maschio e femmina lo creò” e “li benedisse” (Gn 1, 27-28, versetti che vanno letti e interpretati insieme e nella loro precisa collocazione testuale), la donna non esisteva ancora. E dunque, il passo biblico deve avere un significato diverso da quello che la teologia e l’esegesi ufficiali della Chiesa propongono e sostengono a spade sguainate: e l’unico modo corretto di interpretare quel racconto della creazione è quello di ritenere la benedizione del Signore non già impartita all’uomo e alla donna come a due essere distinti, e già creati, e in un’ottica vincolantemente matrimonialistica, bensì all’uomo inteso come specie umana, e non come generi (un maschio e una femmina). E la benedizione non può dunque tradursi in un obbligo al singolo uomo e alla singola donna in riguardo al matrimonio e al supposto vincolo tra sessualità e procreazione, ma è una benedizione globale e generale alla specie umana perché cresca e domini il Creato: tanto è vero che quando poi, dopo, Dio crea la donna dalla costola dell’uomo, non li benedice più, non li benedice di nuovo, giacché era già valida la benedizione data, prima, alla specie umana. Come può allora spiegarsi il fatto che Dio creò l’uomo “maschio e femmina”? Se i Suoi teologi, Eminenza, avessero seguito con maggiore attenzione il progresso della conoscenza scientifica, avrebbero sicuramente notato come ormai da tempo risulta dimostrato che, sotto il profilo genetico e riproduttivo, nell’essere umano il maschio è di sesso eterogametico, caratterizzato dai cromosomi X (femminile) e Y (maschile), mentre invece la femmina è di sesso omogametico, con la situazione cromosomica XX, per cui, nella fecondazione, se lo spermatozoo maschile porta il cromosoma X, dalla fecondazione nascerà una femmina, se esso porta il cromosoma Y nascerà un maschio. In fondo, dunque, la Bibbia aveva ben ragione di dire che l’uomo è “maschio e femmina”, precisamente nel senso che la scienza si è incaricata di dimostrare, e cioè che egli è portatore, contemporaneamente, del cromosoma del maschio (Y) e del cromosoma della femmina (X).
Dunque, Eminenza, non corrisponde al vero quello che Ella dice quando scrive (§ 3) che Dio “ha benedetto l’uomo e la donna con le parole: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi’ (Gn 1, 28)”, giacché Dio ha con assoluta chiarezza benedetto l’uomo, l’essere umano, e non “l’uomo e la donna”, dando perciò una benedizione divina e perenne alla sua esistenza e alla sua vita sulla terra. Il testo, in quel punto preciso, non legittima ancora alcun concetto di obbligo matrimoniale e di collegamento tra attività sessuale e procreazione: intenderlo diversamente significa falsificarlo. Le dispiacerà non poco, Eminenza: ma è così. Singolare conferma di tale interpretazione come dell’unica possibile la offre l’episodio di rabbi Simeone ben Azzai (pressoché contemporaneo di San Paolo) che, rispondendo a chi gli faceva notare come non essendo sposato, mancava di mettere in pratica un precetto dato ai suoi progenitori, rispose: “Che devo farci? La mia anima aderisce totalmente alla Legge; penseranno gli altri a far sussistere il mondo” [12]: e dunque, Dio ha donato a ciascun essere umano la sua sessualità, e ha dato poi una benedizione generale e complessiva all’umanità, ma non ha impartito un ordine per ciascun uomo di accoppiarsi e di generare figli, giacché la specie umana cresce comunque. La successiva considerazione dell’autore biblico, posta a conclusione del racconto della creazione, ritorna almeno in due passi del Nuovo Testamento: e Vostra Eminenza, che è persona di grande acutezza e intelligenza, non ha omesso di utilizzarli nella difesa del sacramento cristiano del matrimonio. Si tratta, come è noto, soprattutto del richiamo a Gn 2, 24 fatto da Gesù a proposito della controversia con i farisei (Mt 19, 3-12 e Mc 10, 6-9) circa il divorzio ed il “libello del ripudio” [13]; nonché del paragone tra il legame sponsale ed il legame tra Cristo e la Chiesa, presente nella lettera agli Efesini attribuita a San Paolo (Ef 5, 32). Cominciamo col dire che il paragone usato da San Paolo serve a sostenere l’idea che il marito deve difendere e proteggere la moglie: sicché, esso paragone è usato in riferimento ad una situazione di matrimonio già avvenuto. San Paolo vuole semplicemente usare una similitudine per dire che, da quando gli sposi sono diventati, dopo il matrimonio, una carne sola, il marito deve proteggere la sposa come se fosse il suo stesso corpo, così come Cristo fa con la Chiesa, con la quale Egli forma un solo corpo [14]. Più complessa è la discussione sulla controversia relativa al divorzio: come è noto, i farisei per mettere in difficoltà Gesù gli domandano se è lecito per un uomo ripudiare la sposa, come Mosé permetteva nella sua legislazione. Dunque, innanzitutto il problema di fondo è quello del ripudio della donna, e del divorzio: qui non c’entra il matrimonio, giacché il problema del ripudio sorge evidentemente alla fine di un matrimonio, quando l’uomo decide di ripudiare la moglie. Ciò chiarito (e non è poco), ricordiamo come risponde Gesù. Egli dice che Mosé autorizzò il “libello del ripudio” (cioè il divorzio) “in considerazione della vostra durezza”, mentre in principio non era così, perché “il Creatore da principio li creò maschio e femmina” (Mt 12, 4). L’evangelista Matteo a questo punto prosegue: “E disse: ‘Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola” (Mt 12, 4-5). Chi fu che “disse”? Gesù che citava, o il Signore Iddio secondo la citazione di Gesù? E chi ha fatto il collegamento tra i due passi: Gesù nel suo parlare, o Matteo nel suo raccontare? Il passo parallelo dell’evangelista Marco – più antico rispetto a Matteo, e dunque più affidabile di quest’ultimo - significativamente non presenta l’espressione “e disse”. Marco fa dire infatti a Gesù che “all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola”: sicché è lecito interpretare nel senso che Gesù, secondo il più affidabile Marco, non afferma che Dio “disse”, ma si limita semplicemente a citare i due distinti passi dell’episodio della creazione per sostenere che, essendo diventati i due sposi dopo il matrimonio una carne sola, non possono più essere separati dall’uomo (e quindi il ripudio e il divorzio non possono essere approvati). Nessuno qui, e nemmeno Lei, può sostenere che l’argomento che provoca la risposta di Gesù sia il matrimonio: l’argomento è il divorzio, a cui Gesù nega liceità in quanto il matrimonio unisce per sempre. Tutto ciò può allora essere invocato dalla Chiesa per condannare e rifiutare il divorzio; ma non può essere invocato per sostenere che il matrimonio, e solo il matrimonio tra uomo e donna, può essere l’unica via lecita per la realizzazione della vita sessuale di ciascuno. Questo sarebbe infatti fuori dal contesto ed è fuori dal presupposto da cui nasce la risposta di Gesù ai farisei. Gesù si è limitato a dire che, una volta unito in matrimonio, il marito non può ripudiare la moglie. E dunque, Eminenza, nella sostanza: 1)
il racconto nella Genesi della creazione dell’uomo non può
essere invocato per sostenere che l’attività sessuale è
concepibile solo tra maschio e femmina, tra uomo e donna, perché
quel racconto non intende alludere all’attività sessuale,
ma semplicemente non ne parla;
L’esserci soffermati così ampiamente su un problema di esegesi biblica non è casuale; e non è casuale in particolare il riferimento alla discussione sul divorzio affrontata da Gesù: e lo sa perché, Eminenza? Perché il richiamo alla “Tradizione cattolica” che avrebbe consolidato un giudizio morale totalmente negativo espresso da alcuni padri della Chiesa circa i rapporti omosessuali (§ 4) trova il suo inciampo precisamente nella questione del divorzio come affrontata da Gesù nei Vangeli: e colpisce che una mente sottile come la Sua non lo abbia percepito. Lasciamo da parte il fatto che tra i Padri della Chiesa Ella avrebbe dovuto citare anche quel Giovanni Grisostomo (“bocca d’oro”) che nella sua Omelia sulle statue dell’anno 387 giungeva ad affermare che era lecito al cristiano esercitare violenza fisica contro i bestemmiatori (“Santificate la vostra mano per una salutare correzione”) e a sostenere nella stessa omelia che “i cristiani sono i depositari dell’ordine pubblico” [15]. Lasciamo stare questo, che si avvicina tuttavia abbastanza pericolosamente all’impostazione culturale delle presenti Considerazioni, dopo oltre sedici secoli. Ad ogni modo, non c’è bisogno di molte parole per ricordare la grandezza storica di Mosé, il legislatore per eccellenza del popolo ebraico. Anche se non tutto il Pentateuco può essere attribuibile nella sua interezza al personaggio storico di Mosé, sicuramente è possibile dire che a lui risalga il nucleo più solido della Torah, della Legge, che ha segnato, nel bene e nel male, oltre tre millenni di storia ebraica. Come è noto tuttavia, la legislazione attribuita a Mosé viene datata oggi dagli studiosi intorno ai secoli IX-VIII a.C. con diverse propaggini che giungono fino al IV secolo a.C.: e dunque, quando Gesù discuteva della legislazione mosaica relativa al divorzio ed al “libello del ripudio”, discuteva indubbiamente di norme che costituivano la “Tradizione” del popolo ebraico nel suo insieme, fossero farisei, fossero sadducei, fossero altre sette: niente poteva apparire più consolidato dalla “Tradizione” che il “libello del ripudio” in quella società maschilista ebraica, nella quale la donna aveva pochissimi diritti. Questa “Tradizione” mosaica era sostanzialmente consolidata e “unanimemente accettata” (per usare le medesime parole del Suo documento) da circa nove secoli. La portata sconvolgente e grandiosa dell’intero episodio raccontato da Matteo e Marco sta appunto in questo: che il Maestro non esita un attimo a rifiutare e condannare la “unanimemente accettata” Tradizione ebraica relativa al divorzio ed al “libello del ripudio”, e a mettersi così ancora una volta contro i farisei e il Fariseismo, a provocare scandalo contro la morale del Suo tempo perché contraria alla volontà di Dio così come riportata nella Genesi nel racconto della creazione. Sicché, se la Tradizione è contraria alla Scrittura, è la Tradizione a dover essere rifiutata, anche a costo di suscitare scandalo: come puntualmente avvenne. Orbene, se il Maestro ci ha detto esplicitamente che la “Tradizione” può essere anche frutto della “durezza di cuore”, e che, per essere diventata “Tradizione” non per questo rimane intoccabilmente vera senza riserve, ebbene che cosa impedisce in linea generale di seguire l’esempio del Maestro e di poter considerare anche la “Tradizione cattolica” frutto della “durezza” dei cristiani? Badi bene, Eminenza, che qui nessuno intende “stabilire analogie tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (§ 4): se Vostra Eminenza intende in siffatto modo le soluzioni attuate o proposte in diversi Stati europei, resta sostanzialmente in errore. Il punto del contendere è di sapere se, indipendentemente dal “disegno di Dio sul matrimonio” – su cui si può continuare a discutere in sede di esegesi e di teologia biblica - lo Stato laico nella sua autonomia anche quando porta “radici cristiane” abbia o no il diritto di riconoscere in modo pieno e totale l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, con provvedimenti che nella propria autonomia esso Stato ritenesse di dover riconoscere.
Che cosa replica, nella sostanza, la Chiesa attraverso la Sua autorevole voce? Replica riassumendo il contenuto del Catechismo della Chiesa cattolica, e cioè:
1) che l’atto sessuale è lecito solo se
è aperto alla generazione della vita; Eminenza, ma è veramente questa la risposta che Santa Madre Chiesa ritiene di poter dare a tutti quei milioni di uomini e donne (giacché quantitativamente siamo in tale ordine di grandezze) cattolici, cristiani, uomini di buona volontà, uomini di buon senso, che vivono quotidianamente sulla loro pelle disagi familiari, lavorativi, sociali e umani pagando un prezzo altissimo in termini di sofferenza personale, di chances di vita, di mortificazione della propria dignità e, in definitiva, della propria libertà di persone umane? Lei crede veramente che sia bastato scrivere che costoro debbono essere accolti con “compassione” per avere la coscienza a posto? Con compassione, Eminenza? Con la compassione con la quale si trattano i malati o i matti? Ma come si permette la Chiesa di usare una parola del genere nei confronti di persone che sono, proprio per la Chiesa, figli di Dio? Quando quella parola è stata inserita nel Catechismo in riferimento agli omosessuali Ella, Eminenza Reverendissima, dove era: in giro per l’Africa? E’ allora necessario fermarsi in maniera più approfondita su quei cinque punti nei quali è stata riassunta la posizione attuale della Chiesa circa la “condizione” e gli “atti” di omosessualità.
Primo: l’atto sessuale sarebbe lecito solo se aperto alla generazione della vita. E perché? Perché, si dovrebbe intendere, il Signore ha detto “Crescete e moltiplicatevi”. Ma se quella benedizione della Genesi alla specie umana (e non – è bene ricordarlo – alla coppia uomo/donna, ancora non esistente) viene ricondotta nei suoi giusti termini ed interpretata nel solo modo che lo stesso testo consente, e cioè appunto come benedizione e non come obbligo, è chiaro che il collegamento tra atto sessuale e generazione della vita non è più così certo come la Chiesa si ostina ad interpretare: il vincolo tra sesso come piacere e sesso come mezzo di procreazione non è autorizzato dal testo biblico in alcun modo. Vogliamo ascoltare un interprete autorevole molto più di noi ma anche molto più di Lei, Eminenza? Bene: ancora una volta, si fida Vostra Eminenza dell’autorità di San Paolo? “E’ cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione”. Vostra Eminenza ricorda questo passo [16]? E che cosa esattamente dice qui San Paolo ai suoi fedeli di Corinto? Egli dice che per evitare la “pornèia”, cioè l’incontinenza, l’uomo e la donna devono stare insieme e godere del piacere sessuale senza separarsi se non in limitati momenti, per la preghiera, e poi devono ritornare a stare insieme perché la coppia abbia la possibilità di vivere pienamente le proprie pulsioni sessuali, nei momenti di passione (che prescindono chiarissimamente, nelle parole di San Paolo, dallo scopo del concepimento). Dunque, non c’è ombra di dubbio che qui San Paolo preveda il piacere sessuale assolutamente separato dall’intento procreativo, di cui non è parola: e dunque, resta legittimo nell’uomo come nella donna il soddisfacimento del desiderio sessuale ogni volta che la loro natura spontaneamente lo suggerisca o lo rappresenti. Non conta dire che San Paolo prevede ciò all’interno della coppia marito/moglie: conta dire che San Paolo prevede il rapporto sessuale anche quando non finalizzato alla generazione della vita. Sicché il primo assunto del Suo documento, Eminenza, è destituito di fondamento non da noi, ma da San Paolo. La cosa più strana poi sotto questo aspetto è che la Chiesa ritiene ancor oggi legittimamente sanzionabile col sacramento del matrimonio l’unione di persone ultracinquantenni che sicuramente non potranno generare figli; ovvero, addirittura, ritiene sanzionabile con lo stesso sacramento l’unione di una coppia in cui almeno uno dei nubendi sia sterile: “Sterilitas matrimonium nec dirimit nec impedit” (C.J.C. c. 1068, § 3). Prevedibile e scontata sarà la risposta di teologi e canonisti: e cioè che in tali casi è la Natura che ha determinato le circostanze. La “Natura”? Ma perché, la Natura non ha determinato forse anche la pulsione verso il proprio stesso sesso nelle persone omosessuali? In questo caso la “Natura” non va rispettata? Non agisce essa anche in questi casi per volontà di Dio? Solo se si parla degli omosessuali la loro natura diventa “opus diabuli”? Ma vogliamo “dare i numeri”, Eminenza Reverendissima?
Secondo: gli atti omosessuali non sarebbero “il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale”. Tralasciamo qui la domanda, facilmente colorabile di sarcasmo, di voler sapere da quali esperienze Vostra Eminenza e i suoi teologi abbiano tratto la certezza che tra due persone omosessuali non possa esservi complementarità sessuale: forse ci si è limitati a studiare solo qualche trattato sulla frigidità sessuale? Ma l’affermazione che tali atti sarebbero privi di “vera complementarità affettiva” è un falsità così enorme che non avrebbe bisogno nemmeno di essere smentita. Basti qui tuttavia poterla dissolvere da un livello che resta enormemente più in alto di quello degli sprezzanti teologi che mal collaborano con Vostra Eminenza. Marguerite Yourcenar, sopra già richiamata, grandissima scrittrice (1903-1987) unica donna ammessa tra “gli immortali” nell’Accademia di Francia, notoriamente lesbica, ha vissuto una vita di intenso affetto con la sua compagna, Grace Frick, per oltre quarant’anni, fino alla morte di costei (1979). Nei suoi Taccuini di appunti pubblicati insieme al famoso e ormai classico Memorie di Adriano, che Ella sicuramente avrà letto, la scrittrice ricorda la sua compagna con le seguenti parole: “Quando cerco di definire questo bene che mi è stato donato da anni, dico a me stessa che un simile privilegio, benché tanto raro, non può tuttavia essere unico; che a volte deve pur succedere che nell’avventura d’un libro riuscito o nell’esistenza d’uno scrittore fortunato, ci sia stato qualcuno, un poco in disparte, che non lascia passare la frase inesatta o debole che per stanchezza vorremmo lasciare; qualcuno capace di rileggere con noi fino a venti volte, se è necessario, una pagina incerta; qualcuno che va a prendere per noi sugli scaffali delle biblioteche i grossi volumi nei quali forse troveremo ancora una indicazione utile, e si ostina a consultarli ancora quando la stanchezza ce li aveva già fatti richiudere; qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice; che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell’arte ed a quelle della vita, ai lavori dell’una e dell’altra, mai noiosi e mai facili; e non è né la nostra ombra né il nostro riflesso e nemmeno il nostro complemento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma, al tempo stesso, ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo. Hospes comesque” [17]. Vostra Eminenza è sfidata ad affermare che non c’era “vera complementarità affettiva” tra Marguerite Yourcenar e Grace Frick. E ciò basti per dimostrare l’infondatezza più totale circa una mancanza di vera corrispondenza affettiva tra due persone omosessuali.
Terzo: la Sacra Scrittura condannerebbe tali atti tra omosessuali come gravi depravazioni. Quando Vostra Eminenza – come già il Catechismo e la dichiarazione Persona humana – indica qui la Scrittura, si riferisce sostanzialmente al famoso (e forse famigerato) passo della lettera ai Romani nel quale San Paolo sembra condannare senza riserve gli atti omosessuali [18]. Emergono tuttavia preliminarmente su questo punto specifico problemi di onestà e di fedeltà al testo, nonché di coerenza e di linearità esegetiche che non possono essere elusi. Ella sa bene, Eminenza, che non è onesto scorporare dal cap. I di quella lettera i soli vv. 24-27 [19], come ha già fatto il Catechismo e come risulta ripetuto nelle presenti Considerazioni. E lo sa bene perché il discorso ha un altro senso, che è la condanna della cultura pagana per non aver riconosciuto la presenza di Dio (del Dio giudaico-cristiano) nell’Universo. Gli atti omosessuali a cui Dio abbandona i pagani sono per il testo una precisa conseguenza di tutta una valutazione negativa del pensiero e della cultura classica presente nei versetti 18-23 che precedono: sicché, non è onesto scorporare e assolutizzare una parte del discorso senza capirne e chiarirne il contesto. E il contesto è che i pagani hanno rifiutato di riconoscere la presenza di Dio nelle opere del Creato e sono perciò “inescusabili” (Rm 1, 21): è a causa di ciò che Dio “li ha abbandonati” ai peccati, tra i quali sono indicati anche gli atti omosessuali tra donne e tra uomini. E’ dunque chiaro che l’omosessualità è vista da San Paolo come una punizione per il supposto rifiuto a riconoscere il vero Dio. Se è così, il passo va storicizzato e non già assolutizzato: per quale motivo, ad esempio, Dio dovrebbe abbandonare oggi a quegli stessi peccati persone che invece riconoscono la mano di Dio (del Dio “cattolico”, Eminenza) nell’Universo, e che non commettono nulla per cui essere giudicati “inescusabili”? Ce l’ha una risposta, Eminenza? La gravità dell’assolutizzazione di quella condanna (anche brutale) riferita invece e circoscritta nella lettera ai Romani alla cultura dei pagani e ai loro costumi sessuali – che non potevano certo essere compresi e approvati da un uomo di cultura giudaica e farisaica come San Paolo – risulta ancora più evidente se si considera lo sforzo che teologi ed esegeti cattolici hanno affrontato da decenni per giustificare affermazioni fatte dallo stesso San Paolo e che ripugnano a qualsiasi coscienza umana: Ella, Eminenza, avrà già compreso a cosa qui si alluda, ma è bene esplicitarlo perché non vi siano alibi o zone di ombra. Si tratta infatti quanto meno dei due problemi del ruolo della donna nella società, e della legittimazione della schiavitù. Vogliamo richiamare con completezza quello che San Paolo pensa del rapporto uomo-donna, Eminenza? Basta aprire la Bibbia:
1Cor 11, 3: “Voglio però che sappiate che
di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo,
e capo di Cristo è Dio”; E vogliamo richiamare con altrettanta completezza, Eminenza Reverendissima, quanto sempre San Paolo dice degli schiavi e della schiavitù? Anche per questo, basta aprire la Bibbia:
Ef 6, 5-9: “Schiavi, obbedite ai vostri padroni
secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito,
come a Cristo, e non servendo per essere visti, come per piacere agli
uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di
cuore, prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a
uomini. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà
dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene”; Come mai, Eminenza Reverendissima, di tutti questi passi paolini non ne riecheggia quasi più nessuno nelle letture domenicali che i fedeli ascoltano nelle chiesa cattoliche quando adempiono al precetto festivo settimanale? Ha influito in questa opera di rimozione la abolizione della schiavitù per opera degli Stati e delle società civili (e di un presbiteriano non cattolico qual era Lincoln, mentre gli Stati “cattolici” europei tifavano per l’Unione sudista), abolizione accettata poi, comodamente a posteriori, dalla Chiesa? Sappiamo bene che la Chiesa non ha “approvato” formalmente la schiavitù: ma per un domenicano come Las Casas (1474-1566) che combatté in modo radicale contro la schiavizzazione degli indios del Sudamerica, vi fu un gesuita come un Padre Vieira (1608-1697) che, pur sforzandosi di moderarla, non rifiutava la schiavitù dei negri e considerava quelli che fuggivano come scomunicati e colpevoli di peccato mortale, pensando che se davanti a Dio gli uomini sono tutti uguali, la Provvidenza (la Provvidenza?!) ha tuttavia permesso la schiavitù dei negri per condurli alla salvezza… E ha influito in questa stessa opera di rimozione la conquista faticosa (anche se talora disordinata, da parte della donna, a cominciare, per gli anni più recenti, dal famoso 1971 francese), nelle società occidentali non integraliste, del riconoscimento di una uguale dignità di persona umana a fianco dell’uomo, riconoscimento anch’esso accettato, comodamente a posteriori, dalla Chiesa? Ma se vale citare qualche Padre apostolico o qualche apologista per richiamare il “giudizio morale” negativo sui rapporti omosessuali, perché non dovrebbe poi valere il citare un grande padre della Chiesa quale fu sant’Ireneo di Lione, che nel II secolo sosteneva come “entrambe, la natura e la legge, mettono la donna in condizione subordinata rispetto all’uomo” [21]? Com’è, Eminenza: possiamo smentire questo Padre della Chiesa, anzi questo “padre della dogmatica cattolica”? o no? Ella riconosce che sant’Ireneo qui va smentito, o corretto, o storicizzato? Ella concorda? E se concorda per Ireneo, perché non concorda anche per il pensiero di S. Policarpo, S. Giustino e Atenagora circa gli atti omosessuali [22]? Sappiamo bene che, per difendere e mantenere intatto il valore dell’ispirazione dello Spirito Santo in tutta la Scrittura (che non è la “Tradizione”) il Concilio Vaticano II ha dovuto accettare, tra l’altro, anche la legittimità dei generi letterari e ha dovuto ammettere che “per comprendere esattamente ciò che l’autore sacro ha voluto asserire nello scrivere, si deve far molta attenzione sia ai modi abituali e originari di intendere, di esprimersi e di raccontare in voga ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora si usavano abitualmente nei rapporti umani” [23]. Bene: ma allora occorre spiegare perché la storicizzazione dei “modi di esprimersi” e dei “rapporti umani” sarebbe applicabile alla sottomissione della donna all’uomo fermissimamente sostenuta da San Paolo, da sant’Ireneo e da tutta un’ampia “Tradizione cattolica”; perché quella storicizzazione sarebbe applicabile alla legittimazione della schiavitù, chiarissimamente sostenuta da San Paolo [24]; ma perché poi quello stesso criterio non sarebbe invece applicabile, guarda caso, alla condanna degli atti omosessuali diffusi nel mondo dei pagani, condanna chiaramente derivante da una radice farisaico-giudaica presente nella lettera ai Romani. Tutto ciò non cancella il fatto che per ben sei volte San Paolo – “parola di Dio” – sostiene senza ombra di dubbio un ruolo impari e subordinato della donna rispetto all’uomo, e per ben sei volte – “parola di Dio” – legittima la schiavitù: come mai Dio avrebbe consentito a farsi limitare dal “linguaggio umano” per le opinioni sulla donna e per la schiavitù, e non invece anche per il riferimento all’omosessualità? Dov’è l’imbroglio, Eminenza Reverendissima? E la cosa resta ancor più sorprendente se si pensa agli sforzi sovrumani degli esegeti paolinisti cattolici che si arrampicano tuttora sugli specchi pur di dimostrare che anche i pensatori pagani, soprattutto stoici, rifiutavano – e talora deridevano – comportamenti e scelte omosessuali molto diffusi nella società loro contemporanea: se la condanna della omosessualità si trova espressa anche in filosofi e pensatori pagani, e anche già qualche secolo prima della nascita di Cristo, tanto più essa si inquadra nei “modi di intendere” e nei “rapporti umani” propri dei tempi di San Paolo, che costituiscono di conseguenza l’aspetto temporaneo e perento della Sacra Scrittura, in cui Dio “ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana” [25]. Dunque, in realtà, se esaminiamo con discernimento, correttezza ed onestà la subordinazione della donna all’uomo e la legittimazione della schiavitù, presenti in San Paolo, e poi la condanna degli atti omosessuali, pure presente in San Paolo, dovremo necessariamente concludere che “l’intenzione dell’agiografo” (e cioè di San Paolo), in questo terzo caso era la condanna della filosofia e della cultura pagana e del mancato riconoscimento della presenza di Dio nell’Universo, su cui l’agiografo (e cioè, San Paolo) si esprime ricorrendo alla equiparazione tra irreligiosità ed omosessualità, equiparazione ampiamente presente nella cultura ebraica del suo tempo. Se si volesse commettere l’errore di sostenere che gli altri tre criteri indicati dalla costituzione dogmatica conciliare per l’esatta comprensione dei testi biblici (e cioè: l’unità della Scrittura, la tradizione della Chiesa e l’analogia della fede) legittimerebbero solo la condanna dell’omosessualità, sarebbe un gioco elementare dimostrare che essi sono applicabili perfettamente anche al problema della sottomissione della donna all’uomo ed alla legittimazione della schiavitù: vuole Vostra Eminenza ricordare il ruolo sottomesso della donna in tutta la Bibbia? Vuole ricordare che cosa pensava e scriveva San Tommaso d’Aquino circa la donna, considerata dal “Dottore Angelico” non pienamente creata ad immagine di Dio [26]?
Quarto: lo stato di “anomalia” in cui gli omosessuali “soffrono”. Qui la cosa che più sorprende, Eminenza, è la riproposizione, dopo ventotto anni, delle conclusioni e dell’espressione medesima usata in un precedente e più ampio documento della Sua Congregazione, e cioè la dichiarazione “Persona humana” del 29 dicembre 1975. In quella dichiarazione si parlava degli omosessuali come di persone che “soffrono di questa anomalia” e li si definiva come persone caratterizzate da una “costituzione patologica, giudicata incurabile” (ma: giudicata da chi?). Come si vede, sono termini del linguaggio medico che, per l’epoca nella quale quel testo fu redatto - quand’anche già ormai superato nella sua impostazione culturale di fondo, risalente in modo trasparente al “vizio innominabile” della società vittoriana dell’Ottocento e al concetto di “patologia mentale” degli inizi del secolo XX – manteneva tuttavia in quegli anni una parziale scusante dovuta alle non definitive valutazioni del fenomeno a livello scientifico. Poi però, Eminenza, sono intervenute dopo il 1975 (data della “Persona humana”), ben due chiarissime – e sconvolgenti, per la valutazione religiosa del fenomeno – dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha la massima autorità scientifica a livello di patologie che interessino la popolazione umana. Nel 1985 l’OMS rimosse l’omosessualità dall’elenco delle “malattie”, e cioè stabilì che l’omosessualità non è una malattia; e poi, nel 1993, stabilì che, al di là di ogni dubbio, l’omosessualità è da considerarsi “una variante non patologica del comportamento sessuale”: Le risultano questi due documenti dell’OMS, Eminenza? Se non Le risultano, Ella non ottempera bene ai suoi doveri. Se le risultano, Ella omette con fraudolenza di citare dei dati essenziali al discorso, giacché non poteva riproporre con le medesime identiche parole usate nel 1975 un concetto di “sofferenza” e di “anomalia” che non può essere assolutamente più legittimato e considerato utilizzabile, anche a livello morale, per trattare del problema dell’omosessualità. E dunque, il richiamare nell’anno del Signore 2003, e cioè dopo ben venti anni dalla seconda e definitiva dichiarazione dell’OMS, parole e concetti che erano stati superati decisamente dalla conoscenza scientifica può essere solo il frutto di una coriacea impermeabilità ai risultati della ricerca e della riflessione scientifica, alla cui considerazione sono tenuti, per costante definizione dello stesso supremo Magistero pontificio da più di un secolo, anche gli organismi della Santa Sede. Ed allora, Eminenza, come mai Ella ha ritenuto di poter richiamare e riproporre senza modificazioni una definizione dell’omosessualità che non trova più alcuna corrispondenza scientifica ed anche umana? Giacché, ormai, non è più lecito dire che l’omosessualità è una “malattia” o è una “sofferenza” o è una “anomalia”: non Le è consentito, Eminenza, per ragioni di ufficio, per ragioni di coscienza. Ella non può ripetere e sostenere qualcosa che la massima autorità sanitaria mondiale ha smentito senza incertezze e senza residui. Togliete la polvere dagli orologi della Congregazione, il tempo passa, la vita e la storia camminano, la verità non può essere rinchiusa e non può essere taciuta. E la verità è che l’omosessualità non è una “anomalia”, non è una malattia, non è una patologia.
Trattiamo a parte l’ultimo dei cinque punti nei quali prima abbiamo riassunto le argomentazioni del capitolo I delle Considerazioni del 2003. Il riferimento alla “castità” non può essere infatti separabile della corrispondente argomentazione presente nel Catechismo della Chiesa cattolica. Sorprende preliminarmente che Vostra Eminenza abbia ritenuto di ribadire la dottrina del Catechismo sull’omosessualità non già richiamando il testo del documento (nn. 2357-2359), bensì una sua sintesi (n. 2396) che non si limita affatto a sintetizzare quanto precedentemente là esposto, ma introduce surrettiziamente (e forse subdolamente) un concetto che nel testo non appare sviluppato, e cioè che le pratiche omosessuali “sono peccati gravemente contrari alla castità”: normalmente le sintesi riassumono quanto più ampiamente detto in precedenza, non introducono concetti e considerazioni nuove. Saremmo curiosi di sapere chi ha redatto quelle sintesi. Ragioneremo dunque qui in base al testo ufficiale del Catechismo, più che in base ad una sua non fedele “sintesi”. Orbene occorre notare che il testo delle Considerazioni rivela, al di là di ogni dubbio, un processo di irrigidimento rispetto alla impostazione che era alla base del Catechismo.
Il Catechismo infatti aveva ammesso (n. 2358) che “un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali innate. Costoro non scelgono la loro condizione omosessuale (…)”: dunque, esistono persone che nascono omosessuali, e la quantità di queste persone è “un numero non trascurabile”. Era caduto cioè, nel Catechismo (almeno in parte) la convinzione che la condizione di omosessualità derivasse da una sorta di scelta peccaminosa e intollerabile, e si ammetteva invece che si può nascere omosessuali come si nasce biondi o castani, alti o bassi, ecc.: persone cioè che sviluppano “per natura” la cosiddetta “identità sessuale profonda” caratterizzata in tal caso per l’attrazione sessuale verso il proprio sesso. Ma se è così (per esplicita ammissione del Catechismo medesimo), come possiamo sterilizzarne le conseguenze? Lo facciamo – ragiona il Catechismo - sostenendo che questa condizione però “costituisce per la maggior parte di loro una prova” (n. 2358). E cioè: tutti gli uomini nascono uguali, Dio è Padre [27] per tutti allo stesso modo, ma: se nasci omosessuale, la tua vita, a differenza degli altri, deve essere una “prova” continua. Ma perché? Non si sa. Il Catechismo non trovava infatti altra soluzione al problema della realizzazione della propria identità sessuale da parte di chi è omosessuale se non un totale, inappellabile, definitivo obbligo alla… castità: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità”! (n. 2359). Chiamate da chi? Vediamo di capire: tutti gli esseri umani nascono con una loro “identità” sessuale; tutti gli esseri umani hanno il diritto naturale alla manifestazione ed alla realizzazione della propria identità sessuale; ma l’omosessuale, no: chi nasce (come la Chiesa riconosceva nel Catechismo) omosessuale è obbligato a rinunciare alla realizzazione di quella identità sessuale che ha ricevuto così al momento della nascita. Dunque, è obbligato ad essere casto. Non può realizzare la sua identità sessuale: gli è proibito. Che cosa allora può fare? Può fare “di necessità virtù”, e cioè non è libero nel corpo, ma può guadagnarsi la “libertà interiore” sacrificando la sua sessualità. Al massimo, a tutto concedere – e si noti qui la liceità assegnata dal Catechismo all’opzione – egli può procedere sulla strada della perfezione segnata dalla castità obbligatoria “mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata [28]” (n. 2359). L’accusa di infedeltà fatta all’inizio in riferimento a queste Considerazioni deriva dalla constatazione, Eminenza, che il riferimento a tale “amicizia disinteressata”, presente nel Catechismo appare qui non solo ‘inavvertitamente’ dimenticata, ma addirittura deliberatamente rimossa, e rimossa proprio quando – guarda caso – si tratta di un possibile riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali costruite precisamente su quella “amicizia disinteressata” esplicitamente prevista e in qualche misura approvata nel testo ufficiale del Catechismo medesimo. Noi non crediamo che possa trattarsi di una casuale dimenticanza, ma temiamo che si tratti di una modificazione restrittiva e correttiva (non si sa se autorizzata dal papa!) rispetto a quel testo. Così non è? Ne prendiamo atto con piacere, Eminenza, ma continuiamo a porre qualche interrogativo.
Vorremmo infatti capire un po’ meglio il senso della presenza di questa “amicizia disinteressata” di cui il Catechismo parla con tono positivo. Di che cosa può trattarsi? Non può che trattarsi, evidentemente, della legittimazione, molto sfumata, ma non suscettibile di equivoci o fraintendimenti, del partner della persona omosessuale, che può sostenere la persona con una amicizia “disinteressata”: Eminenza, e cosa significa “disinteressata”? Significa, se le parole hanno un senso, che l’omosessuale può anche avere un partner, una persona definita, nel più puro stile farisaico, come una “amicizia”, purché però essi, i peccatori, non emergano chiaramente nella società come tali alla luce del sole e non si abbandonino peccaminosamente alla consumazione degli “atti”. Insomma, non uno, ma due casti che vivono “in amicizia”. Ora, vale la pena di richiamare brevemente quello che più specificamente sulla castità dice lo stesso Catechismo. E così possiamo capire:
• che “ogni
battezzato è chiamato alla castità” (n. 2348); Dalla semplice lettura delle ora riportate definizioni relative alla castità emerge con ogni chiarezza che per il Catechismo la castità è una libera scelta, e che è tale anche quando viene suscitata e aiutata dalla Grazia di Dio: né potrebbe essere altrimenti, dato che è una virtù morale. Non esistono virtù morali originate dalle costrizioni. Le virtù morali sono sempre il frutto di libere scelte. Del resto, basterebbe richiamare quello che il Maestro dice a proposito della continenza volontaria che resta per la Chiesa il riscontro evangelico al celibato ecclesiastico, “vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli” (Mt 19, 12): si sono fatti liberamente eunuchi, per loro vocazione-scelta, non per costrizione. Ed allora, Eminenza Reverendissima: come è possibile affermare che la castità è una libera scelta e poi prevederla come un percorso obbligato solo e unicamente per la persona che presenta “tendenze omosessuali innate” e cioè che non ha fatto nulla per essere così, ma è così perché il Signore o la Natura creata da Dio così ha operato, determinando nel soggetto una disposizione non volontaria? Come è possibile prima ammettere che Dio ha creato una persona con una “identità sessuale profonda” di natura omosessuale, e poi pretendere di correggere il prodotto della creazione divina obbligando quella persona a rinunciare contro la sua volontà alla realizzazione della propria identità sessuale così ricevuta? Se è un modo per mantenere integro il pregiudizio di condanna verso gli omosessuali, concedendo che, poveretti, non è colpa loro ma comunque devono “astenersi”, ebbene, Eminenza, è un modo sbagliatissimo con cui la Chiesa si illude di salvare capra e cavoli (e cioè, dare parvenza di rispettare la dignità della persona umana, ma inchiodarla poi ad un calvario senza appelli): è di una crudeltà inaudita il voler pretendere che una persona, segnata da Dio, dalla Natura, dalla biologia, da chi vi pare, con una pulsione omosessuale precisa, identificata, definita ed immodificabile, pretendere che questa persona rinunci alla sua identità sessuale a costo di indicibili sacrifici, e sottoponga la sua vita ad una “prova” continua. E’ una crudeltà indegna della stessa grandezza della predicazione cristiana. E’ una crudeltà che solo menti guaste possono considerare valida al fine di tutelare purchessia una morale sessuale costituita da ceppi, da vincoli, da divieti: una morale non solo poco cristiana, ma che si allontana gradualmente sempre più dalla coscienza civile del mondo moderno.
Giacché, Eminenza, non è possibile intendere la storia della civiltà occidentale, e della cultura europea in particolare, solo in chiave di separazione e di allontanamento dai precetti morali della Chiesa, quando questi precetti non riescono più a dare risposta ai problemi, alle domande, ai bisogni che l’uomo di oggi pone a se stesso, alla società e alla Chiesa: questi bisogni presenti nel cuore dell’uomo si aspettano da Santa Madre Chiesa soluzioni, non divieti. Quando il popolo non ha pane per mangiare, Eminenza, non lo si manda via, non gli si dice di digiunare, non gli si suggerisce di arrangiarsi. E invece, “date illis vos manducare”, “date voi loro da mangiare!”, come Gesù ordina ai suoi discepoli dinanzi a una moltitudine affamata (Mt 14, 16); e nonostante che i discepoli negligentemente non sappiano cosa fare, il Maestro non manda via le cinquemila persone presenti, né impone loro di digiunare: moltiplica invece i pani e i pesci, le sfama e le sazia; e ne avanza. Se la Chiesa non si sforza di fare altrettanto, e se si limita solo a proclamare divieti e ad irrogare pene e penitenze, essa ancora, dopo duemila anni, come in quel tempo i discepoli del Maestro, non sa cosa fare ma così viene di nuovo meno al mandato del Cristo, Eminenza. Date nobis manducare, dateci da mangiare! Siete ancora negligenti voi “Chiesa”, come i discepoli: e avete sempre bisogno del miracolo che vi apra gli occhi e la mente? C’è stato un secolo, nella storia dell’Europa moderna, che ha visto i cristiani d’Europa scannarsi per trent’anni, cattolici contro protestanti, francesi contro tedeschi, spagnoli e gesuiti contro boemi, il continente bagnato da fiumi di sangue, mentre ognuno pensava e gridava “Dio è con me!”: ci vollero trent’anni di stragi, di sgozzamenti, di massacri, di roghi per giungere nel 1648 ai trattati ed alla pace di Westfalia. Con essi si affermò definitivamente il principio del cuius regio eius religio, e cioè che ogni popolo avrebbe potuto liberamente professare la confessione del suo sovrano e della nazione, ed ogni dissidente avrebbe potuto “frequentare privatamente, in piena libertà di coscienza, i rispettivi luoghi di culto, senza essere soggetti a domande, e indisturbati; e di partecipare senza impedimenti al pubblico esercizio della loro religione, nella loro zona, dove e quante volte essi volessero”. Quell’evento sancì così non solo la territorializzazione delle confessioni cristiane, ma sancì soprattutto l’esclusione della Chiesa dallo scenario politico del continente: dopo Westfalia la Chiesa perse quasi completamente l’autorità ed il potere in forza dei quali aveva regolato per secoli le vicende politiche europee. La Santa Sede, come Ella sa, innalzò altissime proteste contro quelle decisioni, e si rifiutò di riconoscere il fatto compiuto. Eppure… Eppure, Eminenza, da quella estromissione della Chiesa come potenza politica dallo scenario europeo, e in sostanza anche mondiale, da quella emancipazione del sistema politico europeo dal Papato, nonostante le proteste del legato papale confermate da Roma, derivò per la Chiesa stessa una nuova stagione missionaria, e in fondo una nuova libertà per la Chiesa che nei secoli successivi si è rivelata provvidenziale. Dinanzi all’attuale dibattito, nella società occidentale, relativo al problema del riconoscimento giuridico, o meglio, del riconoscimento di certi diritti civili alle unioni omosessuali, la Chiesa sembra voler assumere oggi lo stesso atteggiamento di rifiuto e di chiusura che Roma assunse nei confronti di Westfalia. Ma se la Chiesa ha tutto il diritto di difendere la sua concezione del sacramento del matrimonio, deve anche rispettare il diritto agli Stati laici di risolvere nella propria autonomia - e senza ingerenze palesi od occulte, dirette o indirette, senza sobillamenti politici o ricatti morali - i problemi di natura sociale, quei problemi cioè attinenti al principio di pari dignità e di equità di tutti i cittadini dinanzi alle legge “senza distinzione di sesso…, di condizioni personali e sociali”, come recita l’art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana. Che cosa vuole la Chiesa, una nuova Westfalia sul piano etico e sociale, come la prima si determinò sul piano politico? Vuole di nuovo vedersi esclusa dalla vita della società civile? Quando, prima o poi, tutti gli Stati europei avranno riconosciuto che ciascun cittadino ha il diritto di vivere la propria vita sessuale e che ciascun cittadino, anche omosessuale, è titolare e depositario di diritti sociali che non gli possono essere negati a condizione che, come tutti gli altri cittadini, non violi diritti altrui; quando una legislazione in tal senso si sarà consolidata in Europa, e quando sarà stata adottata anche in Italia – giacché questo, Eminenza, nonostante tutti gli anatemi o le pressioni sulle coscienze dei parlamentari e dei pubblici funzionari di uno Stato sovrano da parte della Chiesa, avverrà comunque, ne sia certa – ebbene, la Chiesa si troverà di nuovo isolata ed emarginata, come a Westfalia; e come a Westfalia eleverà le più alte proteste affermando che saranno stati violati diritti “imprescrittibili” della Chiesa e saranno state calpestate “caratteristiche irrinunciabili” del matrimonio. Ma anche qui, per il matrimonio e per la famiglia, la Chiesa ha tutto il diritto di proporre un modello da accettare o da imitare: ma ha il diritto di proporlo alla coscienza dei fedeli e dei timorati di Dio, non di imporlo a chi non lo accetta. Vivaddìo, la Chiesa è stata liberata da tempo del terribile ruolo di servirsi del potere secolare del Sacro Romano Impero per imporre ai Sassoni di scegliere tra la conversione forzata al Cristianesimo o lo sterminio di massa. Eminenza, quei tempi non ci sono più, e preghi la Chiesa stessa il Signore Dio perché non tornino: sarebbe una nuova immane tragedia per la Chiesa stessa, oltre che per il mondo. Il mondo, e anche il mondo omosessuale che non è un mondo “a parte”, ha bisogno di speranze, non di minacce. E la Chiesa deve dare speranza, anche ai suoi figli quando amano, nella carne benedetta da Dio perché da Dio creata, un altro essere umano: capisce, Eminenza?
Nella conclusione delle Considerazioni Ella, Eminenza, afferma che “la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare… al riconoscimento legale delle unioni omosessuali”. Con tutto il rispetto, Eminenza, Ella non può dire questo: non può dirlo perché la Chiesa non ha il diritto di “insegnare” quali riconoscimenti legali lo Stato debba concedere o meno. La Chiesa può insegnare la sua dottrina sui rapporti tra persone omosessuali; ma non può insegnare quale tipo di legislazione lo Stato debba adottare per problemi di rilevanza sociale, a rischio di ricadere nella teocrazia papale. E’ forse invece il caso che anche gli uomini di Chiesa ricevano qualche “insegnamento” dalla società civile e dalla sua storia. Ella conoscerà sicuramente la Dichiarazione di indipendenza americana, redatta da T. Jefferson e approvata a Filadelfia il 4 luglio 1776. Ricorda cosa è scritto al capo 2 di quella dichiarazione? E’ scritto: “Riputiamo di per sé evidentissime le seguenti verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che il Creatore li ha investiti di certi diritti inalienabili [30]; che tra questi sono il diritto alla vita, la libertà, la ricerca della felicità; che per garantire tali diritti furono istituiti fra gli uomini i governi…”. I governi, dunque, devono garantire al singolo cittadino, al singolo uomo il diritto non già alla felicità, che non è mai certa, bensì alla ricerca della felicità, che è cosa ben diversa dall’edonismo individualista: è una delle pulsioni più nobili e vitali questa ricerca della felicità, per la quale l’uomo sente di poter vivere con dignità, a differenza degli animali. La Chiesa, mater et magistra, può avere qualche volta l’umiltà di essere anche discipula? In realtà, Eminenza, i punti affrontati nelle Considerazioni sono essenzialmente due:
1) la liceità, dal punto di vista religioso, dei
rapporti omosessuali;
Orbene, quanto al primo punto, la Chiesa ha il sacrosanto diritto di formulare, esprimere ed insegnare il suo pensiero, ricavato e definito (con fondamento o meno) sulla base delle Sacre Scritture. Ma, non essendo la dottrina morale dogma di fede, anch’essa è soggetta a revisioni e correzioni. Così come è soggetta a revisioni l’interpretazione stessa data in passato o attualmente alle Sacre Scritture. In realtà: 1)
Dio ha benedetto la specie umana, e non la “coppia” uomo-donna
obbligando ciascuno al matrimonio o alla castità;
Quanto poi al secondo punto, la Chiesa non ha alcun diritto di rivendicare una privativa dell’istituto matrimoniale, che esiste nelle società civili anche indipendentemente dalla presenza e dall’esistenza stessa della Chiesa, come hanno testimoniato nella storia le società che non avevano ancora ricevuto la predicazione cristiana, e che pure conoscevano l’istituto del matrimonio. E tuttavia, costituisce una forma di falso ideologico voler insistere sulla valenza nominalistica del “matrimonio” come unico parametro su cui misurare le molteplici forme sorgive di vita associata che possono essere garantite dallo Stato. Lo Stato può ben continuare a riconoscere il “matrimonio” tra uomo e donna come il fondamento naturale della società ancora oggi, come “cellula fondamentale” della società. Il punto non è questo. Il punto è se lo Stato ha o meno la prerogativa, in vista della realizzazione sempre più piena del “bene comune”, di riconoscere diritti sociali ad altre forme di vita in comune che si differenziano dalla forma classica e consolidata del “matrimonio” tra uomo e donna, ma i cui soggetti sono cittadini come tutti gli altri, che pagano le tasse come tutti gli altri, e che costituiscono un problema di rilevanza sociale nella coscienza laica del mondo attuale; ovvero dovrebbe negare dei diritti (che sono anche diritti “umani”) a una parte della società che è, per riconoscimento della stessa Chiesa, non trascurabile, e dovrebbe negarli perché una confessione religiosa non è d’accordo. Questo è il punto. La Chiesa, tramite il documento oggetto delle presenti riflessioni, dice ora che:
1) le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali
sono contrarie alla retta ragione; Ebbene, Eminenza, tranne che per il problema – controverso – delle adozioni, non esiste in tutti questi assunti una sola posizione sostenibile e di buon senso. Non una sola. E’ indegno di qualsiasi persona proporre una sorta di benevola o magnanima tolleranza a forme solo clandestine di rapporti umani. E chi stabilisce che queste “attività”, come Ella le chiama, “non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona”: la Chiesa, Eminenza? E Le sta bene che due persone che sentono sincero affetto l’una verso l’altra debbano mantenere in forma catacombale e quasi da congiurati il loro rapporto per non turbare i tranquilli sonni del ‘commenda’ milanese che va farisaicamente a messa con la moglie la domenica ed ha poi una amante in Brianza? Ma Ella crede che gli omosessuali siano solo i pittoreschi personaggi coperti di lustrini e di piume che hanno scandalizzato la perbenista Roma giubilare-affaristica? E’ oggettivamente – e senza nessun tono irriguardoso nei confronti di chicchessia - una stupidaggine pensare che la sopravvivenza della specie umana sia minacciata dalle unioni omosessuali. E’ una stupidaggine talmente grande da suscitare solo ilarità: Lei crede che se gli omosessuali vivessero ciascuno in solitudine e in repressione la propria esistenza, la specie umana sarebbe più prolifica? Lei crede che il “tasso zero” di natalità della “cattolica” nazione italiana negli ultimi decenni sia dovuto ad una particolarmente alta concentrazione di omosessuali in Italia? Lei crede veramente che se due persone omosessuali vivono in qualche modo decentemente in coppia, invece che ciascuno nella sua solitudine, la specie umana sia più a rischio? Lei crede che l’ufficializzazione di un rapporto omosessuale possa determinare un “effetto-valanga” anche tra coloro che omosessuali non sono? Ma Ella dove vive, Eminenza, sulla luna? E’ arroganza affermare che lo Stato opererebbe arbitrariamente se ampliasse la sfera dei diritti civili. Tutte le società veramente liberali non possono che allargare ed accentuare gli spazi di libertà dei cittadini: che sono cittadini, e non sudditi, cara Eminenza. E Lei crede che se lo Stato decidesse di assicurare la pensione di reversibilità ad una persona che ha diviso sacrifici, gioie e speranze con un’altra persona, magari rinunciando alla carriera e perfino al lavoro, ebbene lo Stato opererebbe “arbitrariamente” solo perché l’altra persona appartiene allo stesso sesso del compagno della sua vita? Mentre invece i matrimoni di convenienza - quelli di donne slave ed extracomunitarie con pensionati italiani molto anziani - benedetti dai preti cattolici all’altare e dinanzi a Dio anche se lo scopo evidente è quello di scroccare la pensione allo Stato, quelli sono leciti e non arbitrari? Eminenza?! E’ un oltraggio alla civiltà giuridica e al comune buon senso affermare che il diritto comune attuale tutela interessi “reciproci” delle coppie omosessuali. Il diritto comune tutela i diritti di una persona, non di una coppia omosessuale: Ella sa benissimo che l’assistenza sanitaria, le coperture assicurative, i diritti ad accedere all’edilizia agevolata, i diritti alla proprietà della casa, spesso comprata insieme ma intestata ad uno dei due perché essi non sono “coppia” nemmeno per le banche e per i mutui ipotecari, i diritti successori, perfino i diritti a restare vicino al compagno morente di cancro o di Aids, non si estendono oggi alla coppia di fatto omosessuale, e che uno dei due corre sempre il rischio di restare sul lastrico perché la famiglia originaria del compagno (genitori, fratelli, nipoti, ecc.) può estromettere in tutto “l’estraneo”. Ella lo sa tutto questo, o non lo sa? E’ un attentato alla libertà dello Stato l’esortare esplicitamente all’ostruzionismo parlamentare e alla disobbedienza amministrativa. Le risulta o no che per lo Stato italiano è un reato l’istigazione a delinquere? E le Considerazioni avallate dalla Sua autorità e dalla Sua firma non solo esortano i parlamentari cattolici ad opporsi in ogni e qualunque modo a qualsiasi proposta di un qualche riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali, ma giungono persino ad istigare i pubblici funzionari a non applicare o a rendere non applicabile una legge deliberata dallo Stato italiano e che avrebbe valore cogente erga omnes. Ed infatti, Eminenza, Ella non ha scritto che i pubblici funzionari possono ricorrere alla obiezione di coscienza se contemplata dalla legge: no, Ella ha scritto che per i pubblici funzionari “è doveroso opporsi” e “ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste” (§ 5), indipendentemente da come sarà definito il testo legislativo che ancora non c’è, e dunque anche se esso non prevedesse (come per i medici in riferimento all’aborto) quella obiezione di coscienza! Ma si rende conto di che cosa significhi, quale precedente spaventoso sarebbe il legittimare moralmente la disapplicazione delle leggi emanate dallo Stato solo perché giudicate dalla Chiesa o addirittura soggettivamente da un qualsiasi funzionario cattolico come “ingiuste”? Ma Lei crede che l’immunità diplomatica assicurata ai prìncipi della Chiesa consenta loro di esortare impunemente alla disobbedienza civile?
Eminenza, si rende conto che queste Considerazioni “fanno acqua” da tutte le parti? E’ grave che il Suo dicastero le abbia costruite in quei termini; ma è più grave che il Sommo Pontefice le abbia (consapevolmente, bisogna sperare) approvate e ne abbia ordinato la pubblicazione in quei termini. E’ vero, per chi crede, che l’assistenza dello Spirito Santo alla Chiesa resta indefettibilmente vera: ma è tanto difficile, qualche volta, esserne convinti, Eminenza. Eppure… Lei sa, Eminenza, Lei sa cosa fa un omosessuale che non abbia un compagno, e che non può o non vuole rassegnarsi alle costrizioni della castità o dell’astinenza? Le risulta l’esistenza ormai altamente diffusa in tutte le principali città e regioni del mondo – non solo occidentale – di locali, ritrovi, posti, in cui gli “atti” omosessuali si praticano (quando non si mercificano) diffusamente e promiscuamente, talora con discrezione, talora in modo pacchiano, talora squallidamente, talora con altissimi rischi per la salute, quasi mai con buon gusto? Queste cose le conosce anche un numero notevole di sacerdoti, e talora non per “ragioni di ufficio”, se è vero che esistono anche sacerdoti ammalati di Aids, come deve risultarLe; e qualche indagine promossa con ogni discrezione anche nei corridoi vaticani, anche negli “alti” corridoi vaticani, o tra le eleganti guardie svizzere darebbe risultati, forse, sorprendenti in questa direzione [32]: a meno che la Vostra ben informata Eminenza non contempli implicitamente anche una casistica del genere tra i previsti “fenomeni privati” (§ 6). Certamente l’omosessuale anche come singola persona umana, e depositaria in quanto tale di diritti etici e civili pari in tutto a quelli di qualunque cittadino, non solo non ha bisogno di essere “compatito” (come scrive il Catechismo), ma ha invece diritto ad essere rispettato innanzitutto dalla Chiesa senza che essa pretenda di trasformarlo, contro il volere di Dio e suo, in quello che non è e che non può essere: la Chiesa, Eminenza, deve rassegnarsi ad accettare la naturale esistenza di persone omosessuali, così come è stata costretta in passato ad accettare la naturale esistenza di donne dai capelli rossi che prima considerava come streghe e che mandava al rogo. E questo è valido per il singolo omosessuale, indipendentemente dal fatto che egli decida di vivere in coppia o meno, cosa che attiene solo alle sue personali decisioni. Ma per il problema delle coppie omosessuali, che costituisce l’oggetto delle Considerazioni, Lei crede che se ciascuno di noi potesse avere una persona a cui voler bene e da cui essere ricambiato; se ciascuno di noi potesse trovare la gioia di sentire un affetto vivo, presente e vicino, e di dividere con un’altra persona felicità, speranze e timori; se lo Stato si sforzasse di garantire a queste persone una vita più tranquilla socialmente e di conseguenza anche meno precaria sul piano emotivo ed esistenziale; se nessuno più si vedesse costretto ad incontri occasionali, avvilenti o senza futuro: ebbene, Lei pensa che la società nel suo complesso ne riceverebbe un danno o un vantaggio? Noi non chiediamo che la Chiesa equipari le unioni omosessuali al sacramento del matrimonio quale la Chiesa in piena libertà continua e continuerà a predicare e ad amministrare. Non ci interessa. Ma noi chiediamo che la Chiesa si adatti almeno a considerare senza manifesto peccato due persone che realizzano con pulizia di sentimenti la loro sessualità quale hanno ricevuto da Dio e dalla natura, senza meriti e senza colpe, quasi senza scelta: nessuno può negare infatti che una coppia omosessuale potrebbe avere anch’essa un ruolo di stabilizzazione sociale che è lungi dall’essere negativo e che potrebbe al contrario essere anch’esso una forma di “famiglia” diversa da quella classica che è stata e continuerà ad essere incontestabilmente prevalente, senza che nessuno abbia alcunché da ridire. Ma, almeno così, Eminenza, lo diciamo con tutta l’accorata sincerità di cui siamo capaci, abbiamo il diritto di vivere. In fondo, basterebbe rinunciare alla pretesa assurda, disumana e immotivata di imporre alle persone omosessuali una castità non scelta liberamente, e inibitoria di naturali pulsioni sessuali da Dio donate agli uomini; e basterebbe trarre le implicite conseguenze da quanto lo stesso Catechismo della chiesa cattolica prevede al n. 2359, laddove parla di “sostegno di un’amicizia disinteressata” tra due omosessuali: se due “amici disinteressati” si donano un reciproco “sostegno” – par di capire – non commettono peccato. D’altro canto, gli eventuali “atti” omosessuali tra queste due persone si determinerebbero ovviamente nella sfera privata, e pertanto non potrebbero che attenere (a norma di diritto canonico) al solo “foro interno”, e cioè al foro della coscienza: a meno che Vostra Eminenza non voglia pensare ad un controllo repressivo come fu deciso nel XVI secolo da un fanatico qual era Calvino, quando sosteneva che i suoi ministri avessero il diritto di esercitare “poteri di polizia spirituale”, e che nelle Ordonnances ecclésiastiques di Ginevra faceva autorizzare i seniori ad entrare nelle case ed ispezionare quanto avveniva anche nelle camere da letto. E’ vero che di procedimenti inquisitoriali Vostra Eminenza deve avere buona memoria, ma vuole arrivare a qualcosa del genere? Ed invece, qualora una coppia omosessuale (come adombrato, se non anche previsto, dallo stesso testo del Catechismo) si formi da una radice di affetto e di condivisione di valori morali e sociali comuni, chi può escludere che essa sia partecipe dei disegni misteriosi e provvidenziali di Dio che così li ha creati, ed agli stessi interessi del “bene comune” della società? Ella ha mai sentito parlare di “omosessuali credenti”, Eminenza? Essi dalla Chiesa si aspettano un aiuto, non una condanna. Dio, secondo i teologi cattolici, assistendo con lo Spirito Santo i conclavi, ha voluto nei suoi disegni misteriosi – e in soli tre decenni - un papa probabilmente omosessuale (Sisto IV della Rovere, 1471-1484), e ha voluto poi un papa simoniaco, lussurioso e degenerato (Alessandro VI Borgia, 1492-1503): e perché mai Egli non potrebbe volere con altrettanta insondabile provvidenzialità l’esistenza di onesti legami omosessuali, così determinati attraverso la “Natura” da Lui creata, nell’ambito della multiforme vita umana sulla terra? Con la differenza che la grandissima parte delle anonime coppie omosessuali non commette “peccato” perché non corrompe paggetti, non compra cariche sacre, non congiura, non avvelena e non ammazza, non crea cardinali i figli diciottenni (il ‘simpatico’ Cesare Borgia). Ma papa della Rovere non è condannabile moralmente perché volle arginare l’espansione ottomana, bensì perché fu sfrenatamente nepotista circondandosi dei corrotti Riario, veri “demoni maligni”, e perché riempì il collegio cardinalizio di personaggi indegni (tra cui, “per le doti del corpo” il card. Giovanni Sclafenato); e papa Borgia non è condannabile moralmente perché aveva per natura una fredda intelligenza o una volontà indomabile (come testimonia l’affresco del Pinturicchio nell’appartamento “Borgia” in Vaticano), bensì per la serie infinita di corruzioni e di delitti che ha commesso o favorito con la banda dei suoi figli. Quali delitti, per i quali saremmo colpevoli e dei quali saremmo imputati, commettiamo noi, Eminenza? Vogliamo domandarlo e gridarlo con libera e aperta coscienza, e dinanzi a Dio quelli tra noi che hanno fede, e dinanzi alla Chiesa e alla società quelli tra noi che non hanno fede: qual è il nostro delitto? Ditecelo! Ditecelo, per favore, quando invece anche da un legame omosessuale che sia pulito la stessa comunità umana nel suo insieme non può che ricevere contributi alla sua stabilità e ad un suo vivere più ordinato e civile, e contemporaneamente allargare e così arricchire l’orizzonte dei diritti del singolo cittadino. Ditecelo, per piacere! Qual è la colpa della nostra natura? Quella di voler bene? Eminenza, ma si rende conto che affermare di voler rispettare la “persona omosessuale” ma di dover condannare “gli atti omosessuali” di quella stessa persona è una stupidaggine completa? E’ come dire che Dio ha creato gli uomini con lo stomaco perché vivano e si sostengano, ma quelli a cui piace una pietanza non comune o piuttosto strana non hanno diritto di cibarsene, e se proprio vogliono, dovranno farlo solo di nascosto! Siete in un vicolo cieco, e vi illudete di poter controllare e censurare anche emozioni intime, nobili e pulite del cuore umano. E’ probabile che la Chiesa abbia mutuato dalla cultura della società cristiana del II secolo d.C. (gnostica, in particolare) l’ostilità verso gli omosessuali, e quindi fatta propria la loro condanna sulla base di un “consenso” sociale: ora che questo “consenso” si sta sgretolando perché quella condanna appare, anche alla luce delle conoscenze scientifiche, sempre più immotivata, la Chiesa da una parte continua ad allontanare da sé e a condannare dei suoi figli e ne diventa matrigna, dall’altra si allontana essa dalla società e si arrocca su “maladizioni” oggettivamente preconcette, che non trovano più riscontri nella cultura e nella conoscenza medico-scientifica delle società liberali nel terzo millennio. Quando la società civile si sarà diffusamente convinta che gli omosessuali non sono un pericolo per nessuno e che hanno il diritto di vivere la propria vita come tutti; e quando le società liberali avranno dimostrato di non tollerare più discriminazioni contro i “diversi” e non crederanno più in una indimostrabile “anomalia” degli omosessuali come non credono più alle “potenze magiche” medievali, al potere malefico delle streghe o a quello degli untori, la Chiesa continuerà ancora a sostenere una dottrina morale (che non è un dogma di fede) basata sulla condanna, sul rigetto, sugli anatemi? Lei sa che cosa stabilisce l’art. 22 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948? Stabilisce precisamente che “ogni individuo… ha diritto… alla realizzazione… dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”: e perché mai solo la personalità di coloro che sono omosessuali non avrebbe diritto a tale “libero sviluppo”? Eminenza, forse non Le resta del tutto accettabile, ma qui non stiamo parlando affatto di “concessioni”, nella sfera privata e segreta, di tipo paternalistico o tollerante: stiamo parlando di “diritti”, e di diritti sorgivi dell’individuo che col sacramento del matrimonio non creano alcuna interferenza. E’ più chiaro così? Nella introduzione al De sacris nostri temporis controversiis del 1649 (guarda caso, l’anno successivo ai trattati di Westfalia) uno statista tedesco, Hermann Conring, parafrasando Terenzio, poteva scrivere che “i protestanti sono uomini, essere umani come chiunque altro” (Homines sunt Protestantes: humani ab illis nihil est alienum). Molto tempo è passato da quel giorno, ed ora la cosa sembra naturale, ovvia e scontata. Ma ci sarà un giorno lontano, che né noi né Vostra Eminenza vedremo, ma un giorno in cui un porporato, illuminato dallo Spirito di Dio, potrà anche dire che Homines sunt omosexuales: humani ab illis nihil est alienum. Passeranno molti decenni, forse secoli, eppure a questo la Chiesa giungerà, Eminenza: non si sa quanti odii dovranno ancora essere suscitati ed aizzati da ogni parte; non si sa quante angosce dovranno ancora essere sopportate nelle solitudini dell’anima; non si sa quante ingiurie dovranno essere rivolte a migliaia di esseri umani che si vedono discriminati nella società “cristiana” perché Dio o la Natura ha donato loro – atei o credenti che siano - una sessualità diversa da quella prevalente nel clan o nella tribù del momento; non si sa quanti anatemi la Chiesa lancerà ancora contro costoro che, sebbene in purità di spirito, saranno tuttavia scandalo per tanti pii e devoti cattolici che credono di essere signori, padroni e interpreti della volontà di Dio. Sarà un giorno lontano, Eminenza: ma quel giorno verrà. E allora la veste inconsutile di Cristo potrà veramente coprire tutti i figli di Dio, tutti i timorati di Dio, tutti gli uomini di buona volontà, senza che la misericordia del Signore sia abbassata a soppesare, approvare o disapprovare le categorie o la fisiologia degli “atti” sessuali, quando essi siano origine e prova, segno e conferma di un affetto tra due esseri umani: il che in fondo, Eminenza, in questo mondo che passa, è l’unica cosa che veramente conta. Ma questo, forse, Vostra Eminenza non può saperlo.
[1] Purg. III, vv. 133-135. |
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L’OMOSESSUALITÀ
SECONDO JOSEPH RATZINGER - INTRODUZIONE
ALLE SUE CONSIDERAZIONI SU OMOSESSUALITÀ E UNIONI CIVILI
(C. Ricci, 25 Agosto 2005) |
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• “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali” (J. Ratzinger, 1992) |
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• “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (J. Ratzinger, 2003) |
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