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Aggiornato Venerdì 12-Ott-2007

 

Ripercorrendo mentalmente le quattro giornate del seminario, in modo particolare ripensando ai dibattiti che hanno coinvolto direttamente le ragazze e i ragazzi dell’Istituto, non posso fare a meno di notare lo scollamento tra una sostanziale e generale “accettazione” dell’omoaffettività, e la perplessità, se non proprio in taluni casi il netto rifiuto, di estendere alle persone omosessuali alcuni fondamentali diritti quali, ad esempio, il riconoscimento giuridico della relazione di coppia là dove si paventi una qualche somiglianza con il matrimonio tradizionale, civile o religioso, e, soprattutto, il diritto alla genitorialità.

Se da una parte, quindi, la maggioranza delle ragazze e dei ragazzi non ha manifestato una particolare avversione nei confronti dell’omoaffettività come pratica soggettiva, dall’altra, una minoranza agguerrita ha dichiarato una più o meno consapevole preoccupazione per l’omosessualità come fenomeno sociale, dimostrando di aver fatto propri molti dei condizionamenti e dei preconcetti attraverso i quali le disparità e le discriminazioni trovano giustificazione e legittimità nella nostra cultura. L’influenza devastante della famiglia scarsamente o per nulla controbilanciata da campagne educative scolastiche adeguate, la risonanza mediatica in corso con i suoi toni da bar sport e la contestuale assenza d’informazioni imparziali e corrette su questi temi (basate su dati oggettivi, non ideologici), hanno senza dubbio una ricaduta negativa ed un’enorme responsabilità rispetto alla diffusione dei pregiudizi, al radicamento della convinzione che certe limitazioni siano forse ingiuste ma necessarie: per contenere la propagazione dell’omosessualità (avvertita come una moda, un fenomeno in crescita), impedire lo scardinamento del sistema sociale (si riafferma la centralità e inviolabilità della famiglia fondata sul dualismo eterosessista maschio/femmina finalizzato alla trasmissione dei valori, alla procreazione e alla cura della progenie) e la fine del genere umano evidentemente destinato ad estinguersi a causa dell’inidoneità delle coppie omosessuali a formare nuclei familiari ammissibili, sani e riproduttivi.

Andando perciò a scavare, si scopre che anche i più omofobi non sono preoccupati o spaventati dall’omoaffettività in sé, ma dalle conseguenze che questa comporta sul piano personale e sociale. Rispetto all’adozione, ad esempio, anch’essi alla fine ammettono che la si deve impedire per risparmiare ai figli degli omosessuali le discriminazioni e le offese che la società infliggerebbe loro. La società è, dunque, sempre “altro” e pur di farne parte, di non esserne escluso, il “buon” cittadino deve riprodurne e avallarne anche quei comportamenti che sa essere profondamente iniqui e irrazionali. Omofobi o meno che siano, questi ragazzi non si sentono protagonisti, responsabili in proprio, soggetti attivi, capaci di cambiamento - ed hanno terrore della diversità, non tanto quella degli altri, ma della propria, perché sono coscienti che li condannerebbe allo stigma, all’isolamento e al dileggio. In questo senso, io penso, dobbiamo leggere alcuni dei dati che emergono nel questionario e in questo senso interpreto gran parte delle stupidaggini che ho sentito durante i dibattiti.

Tuttavia, cercando di cancellare dalla memoria il ricordo delle voci più integraliste e reazionarie, l’impressione che di fronte alle argomentazioni migliori parte dell’uditorio si sia progressivamente compattato per tentare una qualche, disperata forma di autodifesa contro l’allegra avanzata del buon senso, ricavo da questa esperienza la sensazione che le nuove generazioni siano, seppur scarsamente consapevoli delle loro potenzialità e conformiste al punto da tentare di normalizzare tutto, molto più possibiliste e rispettose di quello che credono i politici, gli educatori e i preti. Fossi in loro la smetterei di comportarmi come se avessi a che fare con un gregge di pecorelle smarrite, un popolo di mentecatti senza Dio, arte e parte. Cresceranno e, anche se molti si arrenderanno, dimenticheranno in fretta di aver avuto ideali, sogni e speranze, altri non si tireranno indietro, sopravvivranno. E forse, spero, gli renderanno pan per focaccia.

C. Ricci

 

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