Ripercorrendo
mentalmente le quattro giornate del seminario, in modo
particolare ripensando ai dibattiti che hanno coinvolto
direttamente le ragazze e i ragazzi dell’Istituto,
non posso fare a meno di notare lo scollamento tra una
sostanziale e generale “accettazione” dell’omoaffettività,
e la perplessità, se non proprio in taluni casi
il netto rifiuto, di estendere alle persone omosessuali
alcuni fondamentali diritti quali, ad esempio, il riconoscimento
giuridico della relazione di coppia là dove si
paventi una qualche somiglianza con il matrimonio tradizionale,
civile o religioso, e, soprattutto, il diritto alla genitorialità.
Se
da una parte, quindi, la maggioranza delle ragazze e dei
ragazzi non ha manifestato una particolare avversione nei
confronti dell’omoaffettività come pratica
soggettiva, dall’altra, una minoranza agguerrita ha
dichiarato una più o meno consapevole preoccupazione
per l’omosessualità come fenomeno sociale,
dimostrando di aver fatto propri molti dei condizionamenti
e dei preconcetti attraverso i quali le disparità
e le discriminazioni trovano giustificazione e legittimità
nella nostra cultura. L’influenza devastante della
famiglia scarsamente o per nulla controbilanciata da campagne
educative scolastiche adeguate, la risonanza mediatica in
corso con i suoi toni da bar sport e la contestuale assenza
d’informazioni imparziali e corrette su questi temi
(basate su dati oggettivi, non ideologici), hanno senza
dubbio una ricaduta negativa ed un’enorme responsabilità
rispetto alla diffusione dei pregiudizi, al radicamento
della convinzione che certe limitazioni siano forse ingiuste
ma necessarie: per contenere la propagazione dell’omosessualità
(avvertita come una moda, un fenomeno in crescita), impedire
lo scardinamento del sistema sociale (si riafferma la centralità
e inviolabilità della famiglia fondata sul dualismo
eterosessista maschio/femmina finalizzato alla trasmissione
dei valori, alla procreazione e alla cura della progenie)
e la fine del genere umano evidentemente destinato ad estinguersi
a causa dell’inidoneità delle coppie omosessuali
a formare nuclei familiari ammissibili, sani e riproduttivi.
Andando
perciò a scavare, si scopre che anche i più
omofobi non sono preoccupati o spaventati dall’omoaffettività
in sé, ma dalle conseguenze che questa comporta sul
piano personale e sociale. Rispetto all’adozione,
ad esempio, anch’essi alla fine ammettono che la si
deve impedire per risparmiare ai figli degli omosessuali
le discriminazioni e le offese che la società infliggerebbe
loro. La società è, dunque, sempre “altro”
e pur di farne parte, di non esserne escluso, il “buon”
cittadino deve riprodurne e avallarne anche quei comportamenti
che sa essere profondamente iniqui e irrazionali. Omofobi
o meno che siano, questi ragazzi non si sentono protagonisti,
responsabili in proprio, soggetti attivi, capaci di cambiamento
- ed hanno terrore della diversità, non tanto quella
degli altri, ma della propria, perché sono coscienti
che li condannerebbe allo stigma, all’isolamento e
al dileggio. In questo senso, io penso, dobbiamo leggere
alcuni dei dati che emergono nel questionario e in questo
senso interpreto gran parte delle stupidaggini che ho sentito
durante i dibattiti.
Tuttavia,
cercando di cancellare dalla memoria il ricordo delle voci
più integraliste e reazionarie, l’impressione
che di fronte alle argomentazioni migliori parte dell’uditorio
si sia progressivamente compattato per tentare una qualche,
disperata forma di autodifesa contro l’allegra avanzata
del buon senso, ricavo da questa esperienza la sensazione
che le nuove generazioni siano, seppur scarsamente consapevoli
delle loro potenzialità e conformiste al punto da
tentare di normalizzare tutto, molto più possibiliste
e rispettose di quello che credono i politici, gli educatori
e i preti. Fossi in loro la smetterei di comportarmi come
se avessi a che fare con un gregge di pecorelle smarrite,
un popolo di mentecatti senza Dio, arte e parte. Cresceranno
e, anche se molti si arrenderanno, dimenticheranno in fretta
di aver avuto ideali, sogni e speranze, altri non si tireranno
indietro, sopravvivranno. E forse, spero, gli renderanno
pan per focaccia.
C.
Ricci |