L’idea
del questionario nasce dalla considerazione che quattrocento
giovani studenti di un istituto superiore possano essere un
campione sufficiente, se non per trarre conclusioni generali
o definitive, almeno per ricavare qualche dato quantificabile
e probabilmente significante.
Per
prima cosa si è resa necessaria una verifica del livello
di conoscenza dei temi affrontati nei termini proposti e del
livello di comprensione degli stessi; in secondo luogo si
è cercato un riscontro del livello di coinvolgimento
ed interesse personale e del livello di importanza dato alla
conoscenza e al dibattito sull’argomento.
Il
campione è costituito dai quattrocento ragazzi dell’Istituto
Magistrale “Matilde di Canossa” di Reggio Emilia
che - nell’ambito dell’autogestione - hanno deciso
di partecipare al seminario. L’età è compresa
tra i 13/14 anni e i 17/18, corrispondente all’incirca
ai primi quattro anni di scuola secondaria superiore. Inoltre,
l’89% del campione è composto da femmine e solo
l’11% da maschi.
Il
questionario è stato compilato in forma anonima e per
questo si possono ritenere attendibili i suoi risultati.
Per
esigenze di sintesi e chiarezza, nella realizzazione dei grafici
si è scelto principalmente di rappresentare i dati
suddividendo i vari aspetti analizzati in soli tre livelli
– corrispondenti ad un livello alto,
uno medio e uno basso -
anziché in cinque come nelle possibilità di
risposta del questionario. A questo scopo sono stati accorpati
i dati delle risposte 1 e 2 (livello alto) e quelli delle
risposte 4 e 5 (livello basso), mentre i dati delle risposte
numero 3 rappresentano il livello intermedio.
L’osservazione
del grafico
generale evidenzia livelli dichiarati di conoscenza
e comprensione dell’argomento molto buoni.
Prenderemo questi dati per quello che sono senza cercare di
speculare troppo intorno alle possibili interpretazioni. Riteniamo
comunque legittimo avere qualche perplessità in merito.
Non è certo tramite talk show o dibattiti televisivi
che questi giovani possono aver acquisito l’attenzione
al significato delle parole o concetti come omoaffettività
che molti adulti, anche se acculturati, non conoscono. Ci
sembra più plausibile che – la maggior parte
di loro - abbia la percezione di sapere tutto, probabilmente
perché crede che non ci sia molto da sapere.
L’analisi
dei due punti successivi è forse la più interessante,
ma anche la più complessa da interpretare.
Si
trattava di capire il livello di interesse suscitato dall’argomento.
A questo scopo sono state poste due differenti domande: la
prima faceva specifico riferimento al coinvolgimento personale
e al desiderio di approfondimento, la seconda aveva lo scopo
di indagare quanto i ragazzi ritenessero importante in generale
la conoscenza e il dibattito su questi argomenti.
Il
grafico mostra come le risposte a queste due domande restituiscano
risultati decisamente contrastanti.
Nel primo caso abbiamo – per la prima volta - un dato
molto significativo nel “livello basso” (25%)
e un “livello medio” (43%) che supera quello “alto”
(32%) di dieci punti percentuali. Al contrario, nel secondo
caso, il 65% degli intervistati dichiara un livello “alto”
e solo il 7% un livello basso di importanza del dibattito
e della conoscenza.
Questo
significa che anche coloro che avevano dichiarato uno scarso
interesse personale, ritengono importante che ci sia maggiore
informazione e si discuta dell’argomento.
Nonostante
sia stato spiegato che sentirsi coinvolti non significa necessariamente
dichiararsi omosessuali, la riflessione possibile è
che ci sia comunque una tendenza a prendere le distanze, ad
affermare con decisione la propria eterosessualità.
A
questo proposito è interessante leggere tutti quei
commenti in cui le ragazze hanno ritenuto necessario –
sebbene i questionari fossero anonimi - specificare in modo
esplicito di non essere lesbiche. Su dieci annotazioni, ben
sette dichiarano in vari modi la loro apertura nei confronti
dell’omosessualità e in molti casi anche il rifiuto
della discriminazione. Il più commovente, subito dopo
la premessa “io non sono omosessuale”, spiega
l’amore come un sentimento che va al di là di
qualsiasi differenza anche quella di genere, chiarisce come
sia possibile innamorarsi e anche provare attrazione per persone
molto diverse e conclude “la natura non impone regole,
siamo noi ad imporcele”.
E’ evidente, e in fin dei conti comprensibile, che l’esigenza
di dissociarsi sia fortemente sentita proprio da chi vuole
esprimere un’opinione favorevole, ma ha paura di essere,
a causa di questa, etichettato come omosessuale.
Pur con le dovute cautele, tenendo conto dell’esiguità
del campione maschile, ci sembra interessante rilevare che
lo scorporo dei dati riguardanti le femmine da quelli dei
maschi indica per questi ultimi una tendenza ancora più
marcata in questo senso (il livello basso di intesse personale
arriva al 34% superando decisamente quello alto) oltre ad
un livello inferiore di conoscenza e comprensione.
Se
i grafici generali
e quelli di confronto tra maschi
e femmine aprono a possibili osservazioni contraddittorie,
la comparazione dei grafici divisi per fascia
di età rivela alcuni dati con molta chiarezza.
Innanzi
tutto la conoscenza e la comprensione aumentano proporzionalmente
all’età così come assume sempre più
consistenza l’idea che sia importante approfondire e
discutere questi argomenti. Se si scorrono i quattro grafici
e poi ci si sofferma soprattutto sulle differenze tra il primo
e l’ultimo, ci si accorgerà di quanto sia grande
il divario.
Ci si accorgerà inoltre di una differenza sorprendente:
i dati che riguardano il coinvolgimento personale dei ragazzi
più grandi sono completamente capovolti rispetto a
quelli dei più piccoli, per cui se a quattordici anni
il 44% dichiara un basso livello di coinvolgimento, a diciassette,
diciotto anni il 46% dichiara al contrario di sentirsi molto
coinvolto.
Qualcuno
ha ipotizzato che questi risultati fossero prevedibili come
logica conseguenza della crescita e della maturazione dei
ragazzi. E’ possibile.
Quando ho chiesto a Cinzia quali conclusioni si sentiva di
trarre da questa incredibile esperienza, mi ha risposto –
come al solito cercando di non usare più parole del
necessario - che c’è ancora speranza.
Sara
C. |