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Racconto
di un’amicizia ventennale tutta al
femminile (rivalità e inganni compresi) tra la scrittrice intellettuale
Liz Hamilton (Bisset) e l'autrice di best seller Merry Blake (Bergen),
lanciata proprio dall'amica senza troppa convinzione, attraverso tre momenti
storici della loro vita: nel 1969, nel 1975 e nel 1981, con un prologo
nel 1959 quando escono dall'università promettendosi di non perdersi
di vista, rivedersi ancora. Nel tempo alla rivalità letteraria
si aggiunge quella sentimentale: prima il marito di Liz s'innamora di
Merry, poi Debby (Ryan), la figlia della Blake, soffia il ragazzo alla
Hamilton.
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Da “Lo schermo velato” di Vito Russo
Il pericolo gay non è forse mai stato identificato così ingiuriosamente come quando Pauline Kael ha attaccato “Ricche e famose” di George Cukor perché la pellicola aveva una sensibilità gay celata. Dopo aver definito il personaggio di Candice Bergen un «grosso travestito stupido» (i gay non possono creare vere donne), Kael si sposta sul soggetto serio della sessualità gay opposta a quella etero, ma non lo esplora approfonditamente, preferendo invece prendersela a buon mercato con George Cukor. “Ricche e famose” è stato forse uno dei primi film a trattare i maschi come oggetto del desiderio senza derisione. Le storie di Jacqueline Bisset con alcuni uomini giovani sono riprese da un punto di vista di solito riservato a una visione eterosessuale maschile del sesso tra uomini e donne. Dopo aver attaccato un'inquadratura in cui si vede il sedere di Matt Lattanzi inguainato in un paio di blue-jeans stretti, Kael qualifica il tipo di sesso disinvolto di Bisset con diversi uomini nel film come omosessuale in sé, “qualcosa in cui una donna non si immischierebbe”. È l'omosessualità di George Cukor, di cui non poteva parlare apertamente fino a che il regista era vivo se non a rischio di querele, che Kael aveva in mente. La sua percezione era giusta. La sessualità di Jacqueline Bisset nel film era gay in quanto non rispettava l'egemonia eterosessuale. Cukor stava individuando un genere di sessualità che si percepisce come omosessuale ma che, nei fatti, non appartiene ne agli etero ne ai gay. È meramente libera dall'orientamento sessuale. Kael implicitamente sottoscrive la nozione che quando un artista crea un'idea deve tenere in considerazione il mondo etero. Su questo verte il nascondersi: tradurre i propri impulsi naturali in un linguaggio eterosessuale. Kael si rivela in favore del camuffamento dei gay adesso come quando nel 1961 attaccò “Victim” per aver osato trattare gli omosessuali “con simpatia e rispetto, come i negri o gli ebrei”. I soggetti che mette a fuoco sono importanti. Sono i soggetti di un artista gay legato a una sensibilità eterosessuale ed erano stati affrontati con leggerezza di tocco dal critico Myron Meisel nel “L.A. Reader”. “Forse l'elemento fondamentale del coinvolgimento di Cukor nelle idee del film”, ha scritto a proposito di “Ricche e famose”, “è in rapporto con la sua omosessualità. Devo esitare a fare qualche dettagliato pronunciamento critico su questo importante aspetto del punto di vista del film. Basti dire che il film tratta acutamente le emozioni associate alle relazioni effimere, il ruolo delle amicizie piuttosto che della famiglia, l'avventura sessuale, la sfera dei sentimenti intimi e anche l'incanto degli oggetti sessuali giovani.” Anche se non è chiaro perché Meisel non si sentisse di esplorare più a fondo questi soggetti, identifica con acume l'ambito gay che avrebbe potuto essere noto a un uomo dell'età e con il retroterra di Cukor. Egli ha almeno provato a mettere in risalto una sensibilità alternativa che opera nel film. Invece di esplorare quella sensibilità, Pauline Kael dice solamente che George Cukor è un finocchio. È come se il cinema fosse una guerra tra etero e gay e Kael avesse scovato il nemico nascosto in una siepe.
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Dalla
commedia del 1940 "Old Acquaintances" (La mia più cara
amica)" di John Van Druten, che aveva già ispirato nel 1943
il film con Bette Davis e Miriam Hopkins, "L'amica", di V. Sherman.
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• Nel party a Malibu s’intravedono Chrilstopher Isherwood e Roger Vadim, in quello finale Ray Bradbury. • Primo film di Meg Ryan. |