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Da
“Lo schermo velato” di Vito
Russo
Il solo film degli anni Cinquanta che parlò apertamente di lesbismo fu un melodramma francese, che non prendeva però in considerazione questo amore come concreta scelta affettiva. “Olivia” (1951) di Jacqueline Audry ricevette negli Stati Uniti un’accoglienza clamorosa con il titolo “Pit of Loneliness” scelto dai distributori americani per la sua assonanza con “Well of Loneliness”, il famigerato romanzo di Radclyffe Hall, che non era mai stato ripreso dal cinema. Sceneggiato da Colette, “Olivia” proponeva una folle passione lesbica sullo sfondo di un collegio francese per ragazze dell’alta società. Era un perfetto esempio di film sulle “persone ombra” degli anni Cinquanta: mostrava oscuri maneggi nei corridoi della scuola e finiva nelle circostanze tragiche d’obbligo. I censori americani garantirono che il soggetto per cui “Pit of Loneliness” riceveva tanta pubblicità era trattato con delicatezza. La nota di un censore suonava: «Eliminare nella bobina 5 D: la scena in cui Miss Julie abbraccia forte Olivia e la bacia sulla bocca. Ragione: immorale, potrebbe corrompere la morale». I critici ripresero i toni della campagna pubblicitaria, parlando “dell’amore che non osava dire il suo nome” o “dell’argomento di cui si sussurra”. Nadine Edwards scrisse sul “Citizen-News” di Hollywood: «Ci son pochi dubbi sul fatto che questo film scatenerà delle polemiche. Saranno in pochi però a negare che “Pit of Loneliness” è impregnato di un pathos e di un’emotività tragica, che sono gli unici sbocchi di una relazione così infelice e innaturale». Alla fine del film la matura insegnante rinuncia al suo amore per la studentessa, per salvare la ragazza dalla disgrazia di un amore abnorme: «Per tutta la vita» dice «ho dovuto combattere questi sentimenti dentro di me». Il suo nobile sacrificio per il bene di Olivia è considerato come un gesto di civiltà, dal momento che le aspirazioni lesbiche sono per lo meno bizzarre secondo ogni metro di giudizio. |