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Venerdì 26-Gen-2007
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Roma, Casa della Donna – 15 ottobre 2004
Nel mio intervento vi parlerò di una vicenda grave e dolorosa e condividerò con voi alcune delle considerazioni che negli ultimi due mesi io e le persone che con me stanno dando luogo ad una iniziativa d’impegno civile e politico, il Collettivo 9 Luglio, abbiamo fatto. Nell’aprile di quest’anno, a Lucca, una donna è stata violentata, perché lesbica. La violenza contro questa donna, Sara, è stata compiuta a scopi esplicitamente punitivi, per intimidire la sua compagna, Cinzia, che era visibilmente impegnata in battaglie per il riconoscimento delle persone LGBT* e dei diritti civili. Lo stupro è avvenuto una domenica mattina, mentre Sara portava a spasso il cane. Due uomini l’hanno aspettata e aggredita. Le hanno lasciato un messaggio per la sua compagna (“Dille di smetterla!”) e per essere certi di aver fatto un buon lavoro, l’hanno inseguita la sera stessa e avvicinata le hanno chiesto se avesse portato a Cinzia il messaggio. A quel punto fu sporta denuncia. Dopo soli 50 giorni il caso rischiò di essere archiviato, ma il procuratore capo della procura di Lucca, grazie alle pressioni seguite alla denuncia pubblica della vicenda, ingiunse l’immediata riapertura delle indagini, affidandole alla Digos. Queste sono ancora in corso. La notizia dell’aggressione faticò molto a diffondersi; fu accolta da più parti con passività, incredulità, perfino diffidenza. Con altrettanta fatica, a Lucca fu organizzata una manifestazione di protesta, il 9 Luglio. Il Collettivo 9 Luglio, prende nome da questa data, perché quel giorno, a Lucca, s’incontrarono persone di varie parti d’Italia, testimoni di un crimine orrendo, di un’ingiustizia e di molte mancate assunzioni di responsabilità. Queste persone non vollero lasciar correre e decisero di ragionare insieme su quello che stava accadendo. Tra tante cose accadute, una in particolare ci ha colpito: il modo come le donne, tutte potenziali vittime, hanno accolto la notizia dello stupro: in troppe hanno alzato un muro e non vi è stata solidarietà, ma solo tanta diffidenza, addirittura rabbia. Lo stupro materializza una paura che spesso rimane latente, senza che diventi consapevolezza. Una consapevolezza che altrimenti porterebbe alla costruzione di una difesa incondizionata, se non proprio ad una nuova coscienza di sé. “È difficile, ovviamente, per una donna accettare una forma di violenza così totale. Lo stupro è politico, non ha niente a che vedere con la sessualità, lo stupro è un atto punitivo, coercitivo fortissimo che mira al ridimensionamento dell’identità femminile, che tende a ricacciarla in quel ruolo che non incarna più o ricopre in modo diverso da come il maschio, lo stereotipo e la cultura dominante vorrebbero. Ecco perché colpire una donna lesbica acquista un valore simbolico e politico esemplare. Perché la donna lesbica è un entità completamente destabilizzante, un entità incontrollabile, che sovverte le leggi scritte e non scritte relative al dualismo maschio/femmina, riformula ruoli e specificità.” Lo stupro verso una donna, lesbica, materializza una delle paure meno espresse e meno esprimibili. Sulla violenza contro le donne, il femminismo ha lungamente e faticosamente lavorato comprendendone la natura politica. Lo stupro è un tentativo di appropriazione e annullamento dell’identità femminile, è un atto di disconoscimento e assoggettamento. Inoltre, lo stupro verso una donna lesbica, ha una valenza rafforzata perché essa, rendendosi colpevole d’indipendenza sentimentale e sessuale dall’uomo, non è più governabile con i normali meccanismi di controllo sociale. Nonostante il lavoro svolto, c’è ancora tanto da fare perché la violenza e gli abusi sessuali, dentro e fuori le mura domestiche, sono addirittura un fenomeno in crescita, non solo da noi. Quest’anno Amnesty International ha lanciato una campagna contro la violenza sulle donne e la Spagna ha introdotto norme legislative ad hoc a causa della grave recrudescenza delle violenze domestiche. Sulla violenza contro le donne lesbiche, si sa poco, e poco si è ragionato. Così poco che dopo la denuncia pubblica dello stupro, scarsa o nulla è apparsa la consapevolezza delle donne, specie lesbiche. Questa violenza, che avrebbe potuto rimanere segreta, un fatto privato fra le due donne che l’hanno subita, grazie al coraggio che hanno avuto di denunciare prima alle autorità e poi alla società civile, è diventata un richiamo per chi ha voluto ascoltare. Nonostante il silenzio e l’assenza, la cui denuncia fu uno dei contenuti della manifestazione del 9 Luglio, dalla vicenda personale e dolorosa di Cinzia e Sara, nacque qualcos’altro. Gli appelli di Cinzia hanno avuto il potere di far incontrare alcune persone che hanno in comune forse pochi ma fondamentali principi e valori, fra cui libertà di pensiero, voglia di mettersi in gioco. Da allora siamo andati avanti, con le riflessioni e con progetti d’iniziativa civile e politica. Ci unisce la voglia di costruire un mondo migliore, la necessità d’impegnarci in prima persona, la delusione per l’inadeguatezza dei soggetti oggi alla ribalta nel movimento LGBT*. Negli ultimi anni ci sono state aggressioni ai danni di gay, lesbiche e transessuali ovunque in Italia: a Bari, Bologna, Bolzano, Lucca, Verona, solo per parlare dei casi che hanno avuto gli onori della cronaca. Ma sappiamo che per un’aggressione denunciata, ce ne sono tante, tantissime omesse, per paura, vergogna, rassegnazione… Dalle poche ricerche e studi effettuati sul fenomeno, sappiamo che solo una piccola parte di donne denuncia una violenza, un abuso. Ugualmente, le vicende denunciate dalle persone omosessuali e transessuali riguardanti esclusione, discriminazione, violenza, sono la punta dell’iceberg e le dobbiamo solo a chi ha la possibilità od il coraggio di chiedere aiuto, ribellarsi. È del 5 Ottobre scorso un appello lanciato per il preoccupante aumento delle aggressioni alle Trans di Libellula Arci Trans di Roma: “(…) Soltanto nell’ultima settimana, la nostra associazione ha potuto registrare ben trenta episodi di aggressioni violente ai danni di persone italiane e straniere(…)”. Il primo progetto del Collettivo 9 Luglio è un’inchiesta sulla violenza omo/lesbo e transfobica, in particolare quella consumata contro le donne, con raccolta di dati e studio del fenomeno, rivolgendoci a chiunque si occupi di sostenere legalmente o psicologicamente le vittime di stupri/violenze e mobbing. Pensiamo che il disconoscimento delle persone LGBT*, che è ancora uno dei maggiori fattori d’esclusione e di repressione, porta anche ad una scarsa visibilità delle reali difficoltà nelle quali vivono e dei danni che subiscono senza potervi porre rimedio. Oggi, senza mezzi termini, la chiesa e la destra nella loro feroce crociata contro le persone LGBT*, affermano che l’omosessualità non può essere oggetto di diritti e che l'omofobia è un’invenzione della lobby omosessuale creata ad arte per colpire i cattolici e gli eterosessuali! Nonostante le pronunziazioni del diritto internazionale e della Comunità Europea, in Italia non ci sono leggi che riconoscano e tutelino le persone LGBT* dalla violenza e dalle discriminazioni (a parte il vergognoso D.L. 216, del 2003, in recepimento della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro). Oggi si parla soprattutto di Pacs. Il PACS è un’importante obiettivo, sul piano dei diritti. Lo sarà anche dal punto di vista dell’evoluzione culturale, se si riconoscerà, senza ambiguità, l’esistenza di un rapporto d’amore tra due persone dello stesso sesso. Purtroppo, sul piano pratico, nella quotidianità di tutte le persone omosessuali e transessuali, il PACS sarà immediatamente utile a qualcuno, ma non a tutti. Chiediamoci quanti avrebbero il coraggio di esporsi rendendo pubblica la loro unione. Inoltre, alcune situazioni molto gravi potrebbero forse essere risolte (penso al diritto di assistere il proprio partner ammalato, o alla possibilità di ereditare dal partner), ma quante altre difficoltà rimarrebbero che riguardano la sicurezza, l'incolumità personale in caso di visibilità voluta o accidentale? L’Italia è ancora tanto indietro, non abbiamo leggi adeguate per la tutela contro le discriminazioni e la violenza, mentre permangono profonde convinzioni e credenze, che generano omofobia. È necessario rilanciare una battaglia culturale, ed una campagna per i diritti civili. È necessario riconoscere che le battaglie per i diritti delle persone omosessuali e transessuali, per l’autoderminazione della donna, per l’accoglienza delle persone immigrate, sono parte della battaglia per i diritti civili di tutti, pertanto non ci sono utili estreme distinzioni e barriere, ma dobbiamo accettare il confronto al di fuori della nostra piccola comunità: gay, donne, trans… Francesca Grossi |
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