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Venerdì 26-Gen-2007
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Le 100.000 persone che hanno partecipato al Gay Pride di Torino e l’Italia che pensa con la sua testa, sconfessano il TG de La7 e l’81% dei suoi telespettatori
Di Cinzia Ricci - 18 Giugno 2006
TV, commerciali… tutte lo sono. Lo scopo è sempre e solo uno: conquistare spettatori. Ogni spettatore è un potenziale acquirente. Il valore degli spazi pubblicitari è dato dallo share di ascolto – più è alto e più valore hanno. Più spettatori – più probabilità di venderli. Semplice. Così, una vera TV generalista che non sia Rai o Fininvest, deve dire tutto e il contrario di tutto per farsi spazio, rendersi appetibile - deve essere spregiudicata quel tanto che basta per differenziarsi, sembrare, e talvolta essere, innovativa. È il caso de La7. Programmi a basso costo che portano sullo schermo personaggi e temi anche scottanti, fuggiti come la peste bubbonica dalla Rai, perlopiù ignorati dai canali Fininvest, comunque quasi mai affrontati in modo maturo e consapevole, fuori dalle strumentalizzazioni e dai preconcetti. Eviteremo, qui, di ripetere la solita tiritera: che la TV ha un potere persuasivo (educativo) enorme e perciò ha enormi responsabilità, che i TG dovrebbero dare informazioni, non farle, pilotarle, ecc. - ci limiteremo a segnalare, invece, l’ennesimo “caso” di schizofrenia televisiva e insieme l’ennesima pugnalata alla schiena della crescita culturale di una parte del nostro paese. 16 Giugno 2006. L’anteprima del TG La7 delle ore 20, alla vigilia del Gay Pride di Torino, lancia il sondaggio del giorno: “Le manifestazioni dell’orgoglio omosessuale esagerano in ostentazione e provocazione. Siete d’accordo?”. Parte il televoto (che ci risulta essere a pagamento). Il telegiornale apre con un’accorata filippica che invita gli omosessuali, le lesbiche e le persone trasgender, a stupire dimostrando di essere normali perché, certo, vi sono ancora discriminazioni, ma non colpiscono solo loro – e poi, se il problema è farsi accettare, perché far tanto chiasso, rinchiudersi nel ghetto dei propri eccessi irritando o tediando gli italiani con tanta ostentazione di diversità, rivendicandola con orgoglio? La voce fuori campo ha un tono sarcastico, irridente, paternalistico. Le parole scorrono sullo schermo commentate da alcune brevissime immagini tratte dai gay pride: culi, tette, provocazioni, in ultimo Vladimir Luxuria en-travesti, lungamente mostrata. Complimenti per lo spot omofobico, oscurantista. Complimenti per questo bell’esempio di disinformazione capziosa. Si potrebbe far finta di nulla se non fosse che a farne le spese sono migliaia di persone che già quotidianamente devono fare i conti con lo stigma sociale e le sue devastanti conseguenze, ma poiché la TV condiziona, forma e indirizza… Cara La7 e caro 81% di telespettatori che hanno votato “SI” al tuo disonesto sondaggio, perché non chiedete a tutti i cittadini (operai, insegnanti, giornalisti, studenti, casalinghe, disoccupati, pensionati, ecc.) di manifestare senza “ostentare” la propria appartenenza a questa o quella categoria, rinunciando alle proprie bandiere, ai propri canti e slogan, alle proprie indubitabili ragioni, rivendicazioni? Perché non chiedete ai cattolici e quindi anche a voi stessi, di non ostentare i santi, di non riempire le piazze per osannare quegli uomini, paladini dell’iniquità sociale, come se fossero Dei o Re? Perché non chiedete anche a loro e a voi stessi di stupirci, standovene a casa, in silenzio, dimostrando con ciò di essere normali, rispettosi del comune senso del pudore, della decenza? Non pensate, cara La7 e caro 81% di telespettatori che hanno votato “SI” al disonesto sondaggio, che se la smetteste di considerarci e trattarci come se fossimo una molesta o spassosa controparte (secondo convenienza), che se ci riconosceste pari opportunità, gli stessi vostri diritti, non avremmo alcun bisogno d’irritarvi o tediarvi con le nostre ostentazioni, con le nostre rivendicazioni, con le nostre esasperanti richieste? Cara La7, mentre ascoltavo e guardavo l’inizio del tuo TG, ho dovuto lottare contro quella parte di me stessa che ti dava ragione perché, vedi, i culi, le tette, le baracconate, certamente disturbano più me che i tuoi padroni e i tuoi telespettatori, ma io sono dell’idea che in un paese civile, in uno stato di diritto autentico, in una democrazia vera, ognuno debba potersi esprimere pienamente, liberamente, come e dove vuole, anche se a qualcuno o a me può non piacere – le censure, i divieti, le limitazioni, l’italica abitudine di usare due pesi e due misure, sono roba da furbetti, da fascisti, fondamentalisti e integralisti di destra, centro e sinistra, indifferentemente. Devo ricordarti che con queste deplorevoli, immorali ostentazioni, i tuoi padroni e i loro finanziatori ci fanno i soldi? In quanto ai tuoi telespettatori… sai quante pugnette si fanno alla mia e alla tua salute? E poi via, con il ditino sulla tastiera del telefono a votare “Si” al tuo tendenzioso sondaggio, via in chiesa a fingere d’essere persone normali, adeguate, dalla parte giusta, via a dire quanto fanno schifo certe cose, che i gay e le lesbiche nessuno li vuol morti ma, per cortesia, che se ne stiano al loro posto, facciano quel che vogliono ma senza dirlo, mostrarlo, senza pretendere di essere come tutti gli altri! Vedi, cara La7, tu compri e spacci omosessualità come fosse ecstasi. Per te e per l’81% di spettatori che hanno votato “SI” al tuo disonesto sondaggio, le persone LGBT* non sono altro che merce, oggetti del desiderio o elementi di disturbo, comunque esseri umani e cittadini di serie “B”. E le persone LGBT*, che evidentemente non sono né più intelligenti né più furbe, si lasciano usare convinte che a qualcosa serva, che qualcosa gliene venga. In realtà, l’uso che fate di alcuni di noi, serve solo a voi e a chi, anche fra gli omosessuali, trae da questo un guadagno personale, serve a rinforzare luoghi comuni e preconcetti, ma fa di più e peggio: ne crea di nuovi. Certamente, i compensi che elargite a chi si presta ai vostri sporchi giochetti, servono a lui – non alle persone LGBT* in generale di cui vi guardate bene di narrare le vicende, le condizioni di vita. Tutti i vostri programmi traboccano di gay compiacenti, ammiccanti, estrosi o normalizzati, in ogni caso non troppo preoccupanti, niente affatto destabilizzanti. I vostri programmi di maggior successo, o comunque quelli più originali, forse coraggiosi, ci ostentano. Sputate nel piatto dove mangiate e, soprattutto, non aiutate il nostro paese a migliorarsi, anzi. In un paese civile, in uno stato di diritto autentico, in una democrazia vera, dovrebbe essere scandaloso quello che avete mandato in onda l’altra sera, l'uso allusivo, elusivo e fuorviante del mezzo televisivo, il trattamento inferto dall’81% dei tuoi telespettatori alle persone LGBT*, la colpevole rinuncia all'informazione obiettiva, al rispetto, alla comprensione e all'accoglienza, non il Gay Pride – ma, lo capisco, per i sostenitori delle disparità e dell’ignoranza, per gli omofobici e i sessuofobici, per i lassisti, i conformisti e i pusillanimi, queste sono argomentazioni incomprensibili. Per voi il buon senso è “relativismo”, la giustizia sociale, l’onestà, l’autodeterminazione e le libertà individuali che non siano le vostre, sono un cancro da estirpare - con le buone o le cattive. Per voi, il fine giustifica i mezzi - le conseguenze della vostra criminale ideologia sulle persone LGBT* non sono altro che effetti collaterali scarsamente rilevanti, statisticamente ininfluenti. Le 100.000 persone fisicamente presenti all'interno e all'esterno del Gay Pride di Torino (una piccolissima parte rispetto a quella che non ha potuto parteciparvi anche a causa vostra), l’Italia che pensa con la sua testa, che magari ha paura ma non arretra, e noi che non ci facciamo persuadere dalla cultura del disprezzo che ammorba questo paese, ne prendiamo atto - poi, come sempre, andiamo avanti. Orgogliosi, fieri di non somigliarvi neanche un po’. |
Per approfondire...
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UN GAY PRIDE CHE FA TORTO AGLI STESSI GAY - Di
Roberto Schena, La Padania, 17 Giugno 2006 |
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GAY PRIDE, LA CARICA DEI 50 MILA CONQUISTA TORINO
- Ansa.it, 18 Giugno 2006 |
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IL CORTEO ATTRAVERSA IL CENTRO 32 CARRI DA TUTTA ITALIA DAVANTI
ALLA GENTE DEL SABATO POMERIGGIO, DISERTANO I LEADER DELL’UNIONE
- Di Marco Neirotti, lastampa.it, 18 Giugno 2006 |
Il ministro Pollastrini annuncia una legge sul Pacs ma il portavoce di Prodi la smentisce
Di Roberto Schena – La Padania, 17 Giugno 2006
Così, anche il ministro della Pari opportunità Barbara Pollastrini, dei Ds, aderisce al Gay Pride nazionale, in programma oggi a Torino. In una lettera agli organizzatori, insieme al suo sostegno, annuncia che sta ''pensando a una legislazione umana e saggia per le unioni di fatto, omosessuali e no, cosa che sta a cuore a voi e a molti di noi". Dopo l’adesione del presidente della Camera, certo non poteva mancare la sua. A seguire, è giunta l’adesione di Mercedes Bresso, presidente della Regione. È iniziato un botta-risposta tutto interno all’Unione. Al ministro per le Pari opportunità ha però risposto lapidario Silvio Sircana, portavoce di Romano Prodi. In pratica la smentisce: «Il ministro parla a titolo personale. Per quanto riguarda la linea del governo rispetto alle unioni civili essa rimane quella concordata nella fase di definizione del programma di governo». Il senatore dei Verdi Gianpaolo Silvestri, tra i fondatori dell’Arcigay nazionale, ribatte: «Adesso aspettiamo gli atti dal nostro governo. Infatti, è arrivato il momento per l’esecutivo - avverte - di dare risposte forti e chiare al movimento che domani scenderà in piazza. Noi chiediamo: una legge contro le discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale, il riconoscimento dei pacs, una rinnovata campagna di prevenzione per tutti, gay e non gay, sull'aids». Poiché non c’erano dubbi sulla volontà della sinistra di promuovere Pacs e altro, il punto vero è capire quanto i Gay Pride servano a raggiungere l’obiettivo: in Parlamento, la presenza di un folto gruppo di cattolici nell’Unione non consente affatto la promozione di una simile legge, nemmeno di “pensarla”, come dice il ministro. Una manifestazione divenuta vecchia, superata da altre più graduali possibilità di confronto, potrà smuovere le acque? A storcere il naso ora non sono più solo i “benpensanti”. Lo stesso sindaco Sergio Chiamparino - che è del medesimo partito in cui milita la Pollastrini - ha dichiarato che non sarà presente al corteo perché non ne condivide tutti gli aspetti. Non ci vuole molto a capire quali. Per molti versi, i Gay Pride sono divenuti controproducenti agli occhi degli stessi omosessuali, stretti da due tipi di reazioni contrapposte: fra chi simpatizza con le scimmie allo zoo, e chi invece se la prende con i “pervertiti” conclamati. Anche oggi, infatti, in una grande città italiana, si ripeterà lo stesso rituale di sempre: trenta, quaranta persone mascherate in vario modo attireranno l’attenzione di tutti i fotografi e di tutti gli operatori tv dando un’immagine assolutamente distorta di una realtà che a torto o ragione chiede visibilità e udienza. Chi sarà vestito in modo ovvio e normale, cioè la stragrande maggioranza dei partecipanti, sarà ignorato. Fanno testo coloro che puntellano il corteo con elementi di carnevalizzazzione: i “balordi”, i “provocatori”, i “trans” con il seno scoperto, l’anticlericale vestito da prete o da suora, le parrucche variopinte, i cappelli con frutta e verdura, il ballo associato allo sballo. Ai fini dei media - che devono vendere un prodotto - da anni fa testo il momento della pagliacciata, non serve a nulla dire che i più sono persone come tutte le altre. Dunque, a chi e a che cosa serve il Gay Pride? Sono proprio i giornali di sinistra ad alimentare il lato carnevalesco. Ieri, il sito del Corriere della Sera ,corriere.it, ha messo in rete le foto di quattro annate di gay pride a Milano, dal 2002 al 2005. Su decine di foto, una sola era “seria”, riportava lo striscione dell’associazione genitori di figli omosessuali, la quale davvero in quel contesto non si capiva bene che cosa ci facesse. E qual è questo contesto? Un tourbillon di immagini su personaggi anonimi che più variopinti di così si muore, dalle trans brasiliane con i seni scoperti ai go-go-boys in mutande, dalle drag queen con due chili di trucco in faccia, a uno stuolo di angeli e diavoli: sembrano edizioni estive del carnevale. Anche se l’intento dei Gay Pride sarebbe tutt’altro: in tale dimensione dovrebbero prendere il volo tematiche quali il coming out in famiglia e sul lavoro, i nuovi nuclei di convivenza, le adozioni, le non discriminazioni. Alla fine, le uniche “persone serie” fotografate insieme a trans dal seno nudo e finti preti sono proprio loro: i politici che aderiscono, soprattutto radicali e comunisti. L’esito, in sostanza, è disastroso, perché così si assimilano le richieste di una componenete sociale all’ala più radicale - o radical-chic? - del Parlamento. Anche questo non facilita di certo le auspicate aperture da parte dei cattolici dell’Unione, che debbono già vedersela con le gerarchie religiose. La sinistra, e l’infinita molteplicità di testate “organiche“ - anche quelle di lusso, come nel caso del Corrire - che i Gay Pride li appoggia (con qualche importante perplessità, come si è visto), pare non rendersi conto che codesto modo di presentare gli omosessuali e di difenderli stravolge proprio questi ultimi, associandoli a quanto di meno rassicurante e di più insolito esista. Non si accorge, o finge di non accorgersi, che così perpetua l’idea di un settore sociale staccato, male amalgamato e difficilmente inseribile, quando da ogni parte vediamo che ciò è palesemente sempre meno vero. E non è certo un caso se la partecipazione degli interessati ai Gay Pride non è mai stata alta, basta un semplice raffronto con i numeri di quelli europei: da dieci a venti volte di più. L’Italia, il Paese più “clericale”, in realtà ha una storia diversa: non ha mai avuto una legge antigay come in tutti gli altri Paesi europei, dove fino agli anni ’70 si poteva andare in galera e ci si andava realmente. D’altra parte, se ciò che rimane nella mobilitazione annuale di 20-30 mila persone perbene è una insulsa dimensione carnevalesca, come dare loro torto? Perché invece non si pensa a superare il concetto di Gay Pride, legato a una sfilata in mezzo a strade urbane calde e deserte, puntando invece a una manifestazione culturale e musicale aperta e tutti? Sarebbe la stessa soluzione adottata a Londra, dove da anni il Gay Pride è semplicemente un grande raduno musicale. Così almeno si darà occasione a quanti autori, cantanti, musicisti italiani di sinistra vogliono davvero scendere in campo per un problema indubbiamente molto sentito da qualche milione di famiglie. |
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Fonte: Ansa.it, 18 Giugno 2006
TORINO - Il Gay Pride ha conquistato Torino. Oltre 50 mila tra lesbiche, gay, bisessuali e transgender di tutte le età, hanno sfilato nel "salotto buono" della città per rivendicare i loro diritti. Ma altrettante persone si sono assiepate lungo le strade per vederli manifestare, creando due ali di folla quasi come se stessero passando i grandi campioni del ciclismo nella tappa più importante del Giro d'Italia. In molti torinesi c'era la paura che la manifestazione potesse trasformarsi in un guazzabuglio di persone senza controllo, ma, dopo una settimana di polemiche a livello politico, è prevalso il clima di festa e la voglia di sostenere un movimento. Moltissimi anche i curiosi, attrezzati di macchine fotografiche sofisticate per scattare una foto ricordo. Solo due piccoli episodi di dissenso hanno tentato, senza riuscirci, di turbare il passaggio del corteo del Gay Pride a Torino. Un gruppo di militanti del movimento giovanile di destra Azione Giovani, al grido "vergognatevi", ha cercato di srotolare uno striscione, in via Po, davanti alla testa del corteo. L'intervento della polizia li ha convinti a desistere e i giovani sono stati allontanati e accompagnati alle loro auto. L'altro segno di disapprovazione è stato uno striscione sistemato a una finestra di una palazzina che si affaccia su piazza Castello, con la scritta, in dialetto piemontese, "non siamo froci". Due momenti trascurabili di una grande festa ricca di colori e trasgressione iniziata alle 16 nei pressi della stazione di Porta Susa, dove si sono concentrati 32 carri allegorici rappresentanti tutte le comunità lesbiche e omosessuali provenienti da ogni angolo d'Italia, da Aosta a Catania, passando per Roma. Ognuno ha cercato di dare sfogo alla fantasia: dietro allo striscione del Torino Pride con la scritta "Uguali diritti: se non ora quando?", 50 mila persone si sono mosse per oltre quattro ore sulla base di musiche di ogni tipo, dall'ultimo successo di Madonna intitolato "Hung Up" alla celebre canzone di Orietta Berti con il ritornello "finché la barca va", passando per l'onnipresente Renato Zero, ma hanno anche messo in mostra look esasperati, quasi come l'attesa per il riconoscimento dei propri diritti. Tra i più gettonati ci sono stati due travestiti brasiliani, che, dopo avere creato scompiglio tra la gente con le loro pose conturbanti, sono sfilati alla testa del corteo a bordo di alcune moto di grossa cilindrata. Sui carri c'era di tutto: da "Capitan uncino" a molteplici copie di Platinette, passando per muscolosi marinai o imitatori dei Village People. Colori e costumi sgargianti moltissimi, ma poca trasgressione volgare: alcune ragazze avevano il seno coperto solo da piccoli pezzi di nastro adesivo a forma di croce sui capezzoli, altre, come le simpatizzanti del movimento raeliano, avevano la pelle nuda colorata con polvere color oro. Numerosi gli slogan urlati contro la chiesa cattolica, e in particolare contro il Papa e il cardinale Ruini. Sul carro della Rosa del Pugno c'era lo striscione "No Vatican, No Taleban". Non molto nutrita invece la pattuglia degli esponenti politici che hanno seguito l'intero corteo: tra loro c'erano Vladimir Luxuria, Daniele Capezzone, Marco Pannella, Pietro Marcenaro, Titti De Simone, Giampaolo Silvestri, Marilde Provera, Nichi Vendola, a cui si è aggiunto un gruppetto di esponenti degli enti locali torinesi in ordine sparso. A manifestazione iniziata si sono aggiunti, tra gli altri, i ministro Barbara Pollastrini e Paolo Ferrero, la presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso. Unico sindaco con la fascia tricolore e il confalone, quello di Nichelino (Torino), Giuseppe Catizzone, dei Ds. Il fiume di persone ha concluso il corteo in piazza Vittorio poco dopo le 20,30. Pochi minuti dopo erano già in azione in mezzi dell'Amiat per fare ritornare la città ordinata e pulita come se la manifestazione appena conclusa fosse una cosa che appartiene già al passato. |
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La
sfilata dei gay
Centomila come al giro d’Italia
Torino aperta, la città festeggia il Pride
Di Marco Neirotti – lastampa.it, 18 Giugno 2006
TORINO. Torino di scirocco che accoglie e Torino che vince. Torino che voleva anche il sindaco, «Chiamparino dove sei, oggi Torino è con i gay». Aspettavano da 20 mila a un’esagerazione come 40 mila persone ieri per il Gay Pride che avrebbe tagliato la città dalla stazione di Porta Susa alla riva un po’ asciutta triste del Po, in piazza Vittorio Veneto. Forse a sfilare sui carri quasi da Carnevale o a dimenarsi sul porfido e sull’asfalto saranno stati di meno. Ma Torino che si guarda intorno, Torino che accoglie, Torino che sorride, Torino che «dove andate», si è fatta vedere ieri come una grande siepe, chilometri e chilometri di una siepe - prima fila, seconda fila, terza fila, quarta fila - sotto un inseguirsi di porticati che dalla stazione conducono al fiume. Centomila persone che sfilano o aspettano. Con forze di polizia in assetto da stadio, da G8, che non devono muovere un dito, anzi ricevono sorrisi mentre, a sera, se ne vanno verso i blindati che li riporteranno a casa, qualcuno in tempo per la partita. E un questore, Rodolfo Poli, che passeggia in incognito fra i manifestanti e al telefono dispone: «Mi raccomando, lontani dal corteo. Attenti a incursioni». Un tentativo di incursione - targato Forza Nuova - c’è stato. La Digos l’ha respinto in pochi secondi, insieme con i ragazzi del Mobile. E la festa è scivolata per Torino, senza esibizionismi facili, senza scene esagerate, senza che l’orgoglio diventasse sottoscrivere una diversità. Il corteo si muove dalla grande e bella piazza della stazaione. Dice Nichi Vendola: «Basta guardarsi intorno. Questa gente parla, ascolta, guarda, ma l’obiettivo sono i diritti». E lo scrittore Gianni Farinetti: «La società è più avanti della politica». Vladimir Luxuria sorride e si fa fotografare, sorride all’idea di una passeggiata dei diritti: «Vediamo di arrivare al traguardo». Passano canti e musiche. Angelo Magrini, storico presidente dei politrasfusi, fanale della battaglia contro l’Aids, è qui «per una questione di principio. Per questo è dispiaciuto se qualcosa assume la piega della “carnevalata”». Vuole che folklore e dolore siano due cose diverse. Ma è una voce triste in un cammino per il centro della città che non è più rivendicazione di una parte, è proprio una festa, una discoteca che passeggia. Slogan, slogan uno dopo l’altro: «No Vatican, no Taleban». Oppure «Ciao Bi Sedici». Non è una moto, bensì il Papa Benedetto XVI del quale si pubblica una foto con il segretario che lo guarda adorante e si commenta: «Perché loro sì e noi no?». Accanto alla stazione di Porta Susa, dove si preparano questi striscioni, c’è una postazione per i Mondiali. E’ pomeriggio, c’è Portogallo-Iran, piovicchia, gli spazi sono semivuoti. La gente scivola verso questi lunghi rimorchi con su scritto «Folies Scandale», oppure più semplicemente «Zoccola». Ballano due uomini in mutande e un trans un po’ più coperto. C’è più folla qui che alla partita «chisenefrega». Emilio Penna, anarchico Fai, ha un banchetto dei più seri. E’ quello degli anarchici, con «Pagine di lotta quotidiana» di Enrico Malatesta, ma attirano di più - spiace per il suo sforzo - le musiche, le basi, i ritmi di qualche stand mobile, con balli e danze, o le carioca che sculettano in testa al corteo, dove il questore continua a passeggiare come un turista capitato lì per caso. A sorprenderti, nel pomeriggio, quando il fiume si mette in moto, è il passaggio in questo percorso di pochi chilometri di cortei che si incrociano, di politici che si guardano intorno: i bersaglieri attraversano il fiume, con la loro storia, in piazza Castello parte invece il corteo delle Vespe Piaggio, che sembra non finire più. Chi aspetta questa folla del sabato pomeriggio? Tutti e due. Hanno fatto bingo: vetrine, vespe e gay. E forse i gay deludono un po’, perché sono scanzonati ma non sono un carosello, uno spettacolino, sono più il viaggio di qualcosa che la gente recepisce oltre la sessualità. E’ il corteo dei diritti, come dice Vendola. Segnalano il ministro Pollastrini, segnalano Marco Pannella, dalla siepe umana da giro d’Italia che attraversiamo fotografano Luxuria, chiedono autografi, però parlano continuamente di diritti, non di spettacolo. Il Gay Pride di Torino sembra figlio del clima delle Olimpiadi: la fiducia nelle forze dell’ordine, il gusto della festa senza complicazioni, la città un po’ di tutti. Da una finestra spunta un manifesto contreo i «cupiu», gli omosessuali in dialetto. Dal corteo nessuno lo contesta. Sono le famigliole assiepate lì intorno a fischiare finché non lo tolgono. Poi saranno, a tarda sera, canti e festa. Qualcuno si rammarica perché ci si sposta nella cintura. Ma la vittoria del Gay Pride è già fatta: è una Torino che sorride, non si scandalizza, non mitizza, sorride e va a dormire, come nelle notti olimpiche. |
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