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Venerdì 26-Gen-2007
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Comunicato stampa del coordinamento “FACCIAMO BRECCIA”, 24/25 Febbraio 2006
Giovedì 23 febbraio si è tenuta a Roma una conferenza pubblica sull’omosessualità organizzata dalla Pontificia Università Lateranense. La conferenza era l’unico momento aperto al pubblico nell’ambito della cinque giorni seminariale su "La questione omosessuale: psicologia, diritto e verità dell’amore". Tra i relatori c’era anche Tony Anatrella, psicanalista gesuita francese che ha scritto la voce ‘Omosessualità’ del Lexicon vaticano pubblicato nel 2003, una ‘chicca’ di pregiudizi omofobici che, oltre a ridurre l’omosessualità a "intrigo psichico" e a negare la possibilità della dimensione omoaffettivà e dunque di qualunque forma di relazione ‘omo’, utilizza contro le persone omosessuali gli stereotipi e i modelli dell’antisemitismo più becero, quale la teoria del ‘complotto della lobby gay’ che minaccerebbe la società. In maniera molto più blanda di quanto avvenne nel 1972, quando a Sanremo un gruppo di omosessuali e transessuali irruppe nel convegno dei sessuologi di area cattolica che discutevano di omosessualità interrompendone i lavori, a Roma circa dieci persone gay lesbiche e trans appartenenti a Facciamo Breccia, No God e al gruppo di omosessuali credenti Nuova Prospettiva ha cercato di partecipare alla conferenza, vedendosi però negata la possibilità di controbattere alle affermazioni gravemente discriminatorie dei relatori. Al gruppo dei diretti interessati, rinchiusi in una sala secondaria, è stata offerta come sola possibilità quella di scrivere le domande su un foglio. Ma anche in questa forma controllata nessuna delle domande formulate è riuscita a raggiungere il tavolo degli interventi, mentre ai militanti sono stati strappati violentemente i piccoli adesivi incollati sul petto con la scritta "sono gay" o "sono lesbica". Un commesso vaticano ne ha approfittato anche per molestare una delle partecipanti, palpandole il seno con la scusa di toglierle l’adesivo. Alle proteste della donna, è intervenuta anche la polizia, che le ha chiesto i documenti e ha cercato di portarla in un’altra stanza venendo, però, bloccata dagli altri militanti presenti, che sono stati a loro volta identificati e invitati a lasciare l’istituto dato che, nel frattempo, la conferenza era terminata. All'uscita il gruppo di lesbiche, gay e trans è stato insultato e minacciato; senza nessun motivo, un ragazzo è stato anche spintonato e gettato a terra. La vicenda è particolarmente significativa nel mettere in luce il grave ritorno all’omofobia che sta caratterizzando il papato di Ratzinger con la sua volontà di sovradeterminare la sfera pubblica perché venga negato qualsiasi diritto alle persone omosessuali e transessuali, quanto il potere e l’arroganza con cui viene tolto il diritto di parola a gay, lesbiche e transessuali che da anni hanno scelto di uscire dall’invisibilità per divenire soggetti politici. Questo, soprattutto, non piace al Vaticano, che gioca perfino la carta del vittimismo affermando che chiunque si pronunci contro le unioni omosessuali "perde il diritto di parlare e viene liquidato come un intollerante". Tali parole, contenute nel programma del seminario tenutosi all’Università Lateranense, si rivelano ancora più paradossali alla luce dei fatti occorsi. *** Dopo la MANIFESTAZIONE NO VAT di sabato 11 febbraio, FACCIAMO BRECCIA continua la mobilitazione nelle città. No all’ingerenza vaticana nella sfera pubblica. Più autodeterminazione, più laicità. Per informazioni: www.facciamobreccia.org. Facciamo Breccia è un movimento spontaneo di cittadini e cittadine, gruppi, associazioni che riaffermano una cultura laica e si contrappongono all'invadenza vaticana sui corpi e sulle scelte di vita, per riaffermare l'autodeterminazione di ogni soggetto e promuovere una cultura di riconoscimento delle diversità. A partire da ottobre, Facciamo Breccia ha realizzato e promosso iniziative e azioni dimostrative nelle città di Bologna, Firenze, Milano, Roma, Torino e Verona. Per ogni ulteriore informazione: www.facciamobreccia.org. |
Il seguente documento è una testimonianza diretta di Maria Ornella Serpa sui fatti avvenuti durante il convegno. Ve lo proponiamo integralmente.
2 Marzo 2006
CONTENUTI E FINALITA’ DEL SEMINARIO
PRESENTAZIONE - Chi partecipa ad un convegno sui temi
inerenti l’omosessualità e la famiglia omosessuale promosso
e orchestrato dalle sacre gerarchie, che perpetuano lo scempio socioculturale
e giuridicopolitico ai danni delle persone omosessuali – ma non
solo - da circa duemila anni, non può non aspettarsi che “assunti
conventuali” quanto meno da controbattere. I presupposti e le finalità
del sacro simposio, cui ho preso parte in qualità di uditrice,
sono risultati palesi sin dalle prime battute; già il titolo non
lasciava presagire nulla di “carino” per le persone omosessuali:
Seminario di studio “La questione omosessuale: Psicologia, diritto
e verità dell'amore”. Eh, già! Proprio come negli
anni Trenta, quando si parlava della cosiddetta “questione ebraica”,
sfociata poi nella “Endloesung” (“Soluzione Finale”
n.d.t.), siamo ancora costretti a sentire parlare di “questione”
riferita a categorie di persone che, secondo certi luminosi, non devono
avere nessuna tutela per “ovvii motivi di tutela della specie”.
Solo gli ingenui possono avere creduto alle rassicurazioni del moderatore
circa l’intento degli organizzatori di non volere “mettere
alla gogna o alla berlina”, né “patologizzare”
gli omosessuali; a suo dire quello sarebbe stato semplicemente un momento
di riflessione e di studio sulla “questione omosessuale”.
Nonostante tutto, noi attiviste ed attivisti presenti, abbiamo dovuto
subire, in penoso silenzio, conclusioni “scientifiche” che,
ad arte, andavano a patologizzare e a criminalizzare quella medesima categoria
di persone che non si intendeva –assolutamente!- demonizzare, cioè
gli omosessuali.
MISOGINIA - Quello che ho notato, ma che non mi ha meravigliata,
è il fatto che ancora una volta le donne non esistono. Difatti,
si parlava di omosessualità declinandola al maschile, sia nella
forma che nei contenuti; per le lesbiche nessuna considerazione. Niente
di strano se si considera il regime maschilista della Chiesa Cattolica,
ma non solo di essa, che annovera solo uomini ai propri vertici. Quando
uno dei relatori ha volgarmente affermato che l’omosessualità
– tutta l’omosessualità - si regge sul…”pene”,
nel senso che gli omosessuali sarebbero degli “ossessi” che
passano e consumano la loro “fragile vita” nella ”incessante
e spasmodica ricerca del pene senza il quale la loro miserabile esistenza
non avrebbe senso alcuno” – più o meno testuale -,
mi sono ingenuamente chiesta: “e le lesbiche? Lo sapranno –
pensavo - che esistono le donne e che, fra queste, ce ne sono tantissime
– più di quante non si creda – , le lesbiche appunto,
le quali non… inneggiano proprio a priapo”. Insomma, orribile!
Non vedevamo l’ora che terminasse quello strazio cerebrooculoauricolare
fallocentrato. Che ignominia!
I FATTI
IL
LUOGO - Alle ore 17 del giorno 23 febbraio u.s., mi trovavo nei
locali della Pontificia Universitas Lateranensis Giovanni Paolo II, sita
in Piazza S. Giovanni in Laterano al civico n. 4, per assistere, in qualità
di uditrice, ad un convegno promosso dal medesimo ente in tema di omosessualità
e famiglia. L’uditorio era stato dislocato – per ragioni non
note – anche in locali diversi dalla sala principale, cui erano
collegati con sistemi audio a distanza. A me ed alle persone che mi accompagnavano,
all’atto della registrazione – e per non specificati motivi
–, è stato assegnato un posto proprio in uno di questi locali
collegati alla sala principale. INSOFFERENZA - Eravamo vicini al supporre che in sala non ci sarebbe stato consentito di entrare. Infatti questo era oltremodo palese perché, senza una palese ragione che potesse farci supporre altro: -
i supposti commessi mostravano, seppur in maniera diversa, un evidente
atteggiamento spazientito ed insofferente verso le nostre legittime richieste
di potere intervenire in sala ed erano fermi nel non volercelo o non potercelo
consentire; GIORNALISTI
ESTERI - Gli altri uditori, conclusisi i lavori seminariali,
iniziavano ad accalcarsi sul pianerottolo dove noi stazionavamo in attesa
di grazia e giustizia; assistendo ed incuriositi dalla nostra protesta,
ci chiedevano cosa stesse succedendo. Molti di loro, poi rivelatisi giornalisti,
erano incuriositi soprattutto dal fatto che delle e degli omosessuali
avessero assistito ad un convegno in cui la loro immagine e la loro dignità
era stata oltremodo vilipesa. Mentre accadeva tutto questo, sono stata
avvicinata da una signora che, qualificatasi come corrispondente di una
testata giornalistica del Brasile, mi ha chiesto di rilasciarle un’intervista;
richiesta che ho assecondato in quanto succede di frequente che, in questi
tipi di convegni, gli operatori mediatici intervistino i protagonisti
dei racconti, quando presenti; e ciò, in base alla mia esperienza,
non ha mai suscitato interventi tanto veementi ed ostili come invece è
accaduto in questa occasione. Infatti, quello più rigido dei due
supposti commessi – un soggetto di sesso presumibilmente maschile,
tarchiato, brizzolato, dall’apparente età di circa 60 anni,
con sguardo truce e un modo di fare lesto e bruscamente repentino - si
è avvicinato a noi chiedendoci di andare via. Chiaramente la giornalista
ed io abbiamo resisto alla pretesa in quanto palesemente immotivata: eravamo
appartate senza che intralciassimo né il passaggio né altro.
La reiterazione della richiesta dell’uomo suonava sgradevole e come
un assurdo ordine perentorio motivato soltanto da un’evidente insofferenza
verso i contenuti della nostra intervista; suonava inoltre discriminatoria
come pretesa dato che le altre persone che stazionavano sul pianerottolo
non ricevevano il medesimo invito. Il supposto commesso andava vieppiù
spazientendosi ed oramai ci redarguiva apertamente per la nostra insubordinazione,
per cui ho ritenuto fosse il caso di enunciare i miei diritti di cittadina
chiedendone il rispetto.
UNA SUORA - Mentre discutevamo si è avvicinata
una suora che, con molta affabilità nei mie riguardi – sorrideva
– e per nulla “impaurita” da me che mi dichiaravo lesbica,
mi chiedeva, in francese, di spiegarle cosa stesse succedendo; cosa che
ho fatto scatenando le ire del furioso supposto commesso molesto che,
continuando ad alitarmi sul viso i suoi delicati ordini e complimenti,
portava intanto il peso del suo copro addosso al mio nel chiaro intento
di costringermi ad allontanarmi dalla suora; questa, per nulla scandalizzata
da ciò che le stavo spiegando in tema di omosessualità,
ha continuato a chiedermi cose intelligenti, tipo come mai non mi era
stato permesso di esprimermi in pubblico dato che ella trovava interessante
ascoltare una lesbica che dicesse la sua in quel contesto; ma, costretta
dalle molestie del supposto commesso, è andata via questa volta,
sì, seccata! -
identificazione dell’uomo che mi aveva sottratto il cartoncino, FERMO
DI POLIZIA - Non sono però entrata nella stanza che mi
veniva indicata perché ho avuto paura; difatti, ho concluso che
in quella stanza sarei entrata e rimasta da sola sia con l’uomo
che me lo aveva chiesto, ossia quello che si era qualificato come “polizia”,
sia con il commesso che mi aveva sottratto il cartoncino; inoltre, proprio
in quel preciso istante, avevo notato che furtivamente il supposto commesso
stava traslando il mio cartoncino dalle proprie mani a quelle dell’uomo
“polizia”, consapevole. L’uomo che si era qualificato
come “polizia” insisteva, con fare minaccioso e perentorio
nella mimica e nel tono della voce, perché io eseguissi il suo
ordine; così, completamente nel panico, gli ho chiesto che mi mostrasse
di nuovo il suo tesserino di “polizia” perché volevo
avere dati certi su cui poggiare le asserzioni e gli ordini impartitimi
da questi uomini che oramai si stavano comportando apertamente non come
tutori dell’ordine, ossia imparziali, bensì come prepotenti
e molto parziali. Sono stata sbeffeggiata per questa mia richiesta che
continuavo a proclamare come legittima in base alla vigente normativa
in materia amministrativa. In extremis, dato che avevo sempre più
timore e visto il clima che si era venuto a creare, ho chiesto ai miei
amici di chiamare il nostro legale e di non lasciarmi da sola. Per fortuna,
uno dei miei amici – gli altri stavano andando già via sollecitati
con modi discutibili dagli uomini che ho nominato - a cui era stato anche
preso il documento insieme al mio, ha dichiarato a quegli uomini che non
mi avrebbe lasciata sola con loro. IN
CHE SOCIETA’ VIVIAMO? - Mi sono così trovata a dovere
saggiare, ancora una volta, il sapore amaro della discriminazione, secondo
me a causa delle bieche ed abiette concezioni morali e soggettive che,
in questa occasione, hanno fatto venire pericolosamente meno l’altissimo
valore di eguaglianza che deve invece informare ogni tipo di rapporto,
specialmente quelli intercorrenti tra chi ricopre cariche di autorità
ed i comuni cittadini. E’ oltremodo noto che quando rapporti intrinsecamente
impari vengono inquinati dal senso di superiorità di una persona
rispetto ad un’altra, specie quando questo poggia su basi e considerazioni
che con le norme ed i principi giuridici del nostro ordinamento hanno
poco o nulla a che vedere, si assiste a ripugnanti ed anacronistici abomini
che si realizzano nella prevaricazione di una persona superiore su di
un’altra ritenuta inferiore, e nell’iniqua prevalenza di chi
ha più possibilità di esercitare la forza bruta; e questo
ripugna – o dovrebbe ripugnare - al nostro senso moderno di civile
convivenza. |
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