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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

La vittima ha aperto al suo assassino. Si cerca un "prostituto"

“La Repubblica” - 30 Agosto 2001

 

Le mani legate dietro alla schiena con un sacchetto di plastica e la testa insanguinata, colpita violentemente. Potrebbe essere morto dopo una lenta agonia Francesco Mercanti, 61 anni, bancario in pensione, nel suo appartamento di via Rimini, nel quartiere San Giovanni. Un nuovo omicidio maturato negli ambienti gay, forse per una rapina. E si sta già passando al setaccio il mondo dei "marchettari" romani.

L'allarme scatta nel pomeriggio di ieri. Sono le 3.20 quando Arnaldo Iodici, 52 anni, restauratore di Sezze, apre la porta dell'interno numero quattro. In quell'appartamento, a pian terreno, si è trasferito da poco Francesco Mercanti. È preoccupato perché non sente l'amico da domenica, quando avevano concordato di andare al mare. Ma Mercanti non si presenta all'appuntamento e così il restauratore, che ha le chiavi di casa, va in via Rimini. La scena che si trova davanti è degna di un film dell'orrore. Sul pavimento del corridoio c'è il cadavere in decomposizione dell'amico. Attorno la casa è a soqquadro: i cassetti sono aperti ma ci sono anche gli scatoloni del recente trasloco. L'aria è irrespirabile. Potrebbe sembrare una morte naturale. Ma non è così. Arnaldo Iodici lo capisce perché vede quello strano legaccio di plastica che stringe i polsi di Francesco. Il restauratore di Sezze si fa coraggio e chiama il 113. Quando arrivano gli agenti, l'artigiano è sotto choc. Arrivano anche tre giovani amici della vittima e del restauratore. Sono sconvolti e col cellulare avvertono altri conoscenti. «Chiama Said, bisogna dirgli cosa è successo» urlano con accento napoletano per strada. Said è uno dei tanti ragazzi che frequentavano l'ex bancario, andato in pensione per ragioni di salute. Mercanti è diabetico ed ha bisogno di cure continue.

Intanto nel palazzo di via Rimini giunge il vicecapo della squadra mobile Luigi Carnevale e Giovanna Petrocca. Gli amici della vittima vengono accompagnati in questura dove verranno ascoltati dal magistrato Delia Cardia. Si fruga nella vita privata dell'ex bancario e si cerca tra le frequentazioni che aveva a Termini. Nei giardini di piazza Cinquecento c'è chi dice di conoscerlo bene con il soprannome di "monsignore" per i suoi studi di teologia e per il vizietto di vestire abiti religiosi. Gli inquirenti scoprono anche che Mercanti ha ereditato un cospicuo patrimonio dopo la morte della madre. E forse in quei soldi arrivati all'improvviso potrebbe esserci il movente dell'aggressione trasformatasi in omicidio.

Lo stato di decomposizione del cadavere rende complicato il lavoro della scientifica e del medico legale Giulio Sacchetti. Sul corpo non ci sono ferite evidenti, solo un livido sul capo ma anche attorno al collo, forse segni di strangolamento. Ma c'è anche chi parla di ustioni e tagli come se Mercanti fosse stato torturato. La polizia smentisce. L'ex bancario indossa giacca e pantaloni. Forse Mercanti era appena rientrato con il suo assassino che, dopo averlo colpito, l'ha lasciato agonizzante sul pavimento. Alla notizia del delitto l'Arcigay ha reagito con una nota: «Chiediamo che il Viminale intervenga, serve una strategia per proteggerci».

 

“Corriere della Sera”, 31 Agosto 2001

 

«Quando muore qualcuno è d’uso parlarne bene e farne gli elogi. Con "Monsignore" non c’è bisogno di forzature o esagerazioni, era un uomo straordinariamente buono». È turbato Massimo Consoli, esponente della comunità gay romana. Lui e Francesco Mercanti si conoscevano bene: «Il Monsignore alla stazione Termini va a battere con otto anelli d’oro...finto. I marchettari, che non lo sanno, ogni tanto lo riempiono di botte e glieli rubano», scriveva lo stesso Consoli in un libro del ’93, «Per non morire d’amore». L’autore oggi si commuove al ricordo di Monsignore: «Abbiamo trascorso lunghe giornate a parlare di religione ed omosessualità. Era buono ma anche molto prudente: prima di portare qualcuno in casa lo frequentava per un po’, si informava con gli amici e prendeva un minimo di precauzioni».

 

Indagini negli ambienti gay

Di Marco de Risi e Paola Vuolo - “Il Messaggero”, 31 Agosto 2001

 

La morte ha l’odore pungente del sangue raggrumato che arriva a zaffate sul marciapiede, e che passa oltre le persiane verdi della casa al primo piano dove, da poco era andato ad abitare Francesco Mercanti, 61 anni, ex bancario in pensione. L’uomo è stato trovato morto ieri pomeriggio, da un amico, il corpo si trovava nel corridoio, fra il cucinino e la camera da letto, aveva la faccia contro il pavimento, le mani legate dietro la schiena con una busta di plastica attorcigliata come una corda. Francesco Mercanti era omosessuale, ed è in questo ambiente che gli agenti della II sezione della Mobile stanno indagando.

L’uomo era vestito, pantaloni bianchi, maglietta e giacca blu la casa era in disordine, con scatoloni ancora chiusi e la roba sparsa un po’ ovunque: il letto sfatto e una serie di bottiglie di liquori su un carrello.

Nel corridoio, accanto al cadavere, c'erano oggetti sul pavimento che fanno ipotizzare una colluttazione fra la vittima e l’assassino. La morte di Francesco Mercanti, chiamato il "Monsignore" risale a qualche giorno fa, forse a domenica notte, sul corpo in stato di decomposizione nessun segno evidente che possa fare capire come è stato ucciso, forse con un colpo alla testa, oppure strangolato. Gli investigatori, guidati dal vice capo della Mobile, Luigi Carnevale, non escludono neanche che l’uomo sia morto per infarto. Solo l’autopsia potrà chiarire le cause della morte.

L’ex bancario, che viveva con la pensione di invalidità, sarebbe stato ucciso per rapina, almeno questa è l’ipotesi che gli investigatori ritengono più probabile.

Il cadavere è stato trovato da un restauratore di Sezze, Armando Iodice, lui e Francesco Mercanti erano amici da vent’anni e domenica scorsa, la vittima sarebbe dovuto andare a Sezze: Iodice gli seguiva alcuni restauri dei mobili che l’amico aveva comprato per arredare la casa di via Rimini, 25, a San Giovanni, dove si era trasferito da quattro mesi, lasciando il suo appartamento all’Esquilino. «Avevo capito che c’era qualcosa di strano», racconta Armando Iodice, «perché non avevo più sue notizie da domenica, e sono venuto a vedere cosa era successo, avevo le chiavi di casa, ho aperto e l’ho trovato in quelle condizioni, è stato terribile. Era a faccia in giù, tutto insanguinato, le mani legate dietro la schiena e il corpo viola». «Ho sentito due uomini che gridavano di chiamare la polizia», racconta una vicina, «gli uomini parlavano in napoletano e qualcuno ha urlato di avvisare Said».

Francesco Mercanti era un uomo schivo e riservato, il portiere del palazzo di fronte ricorda di averlo visto più volte arrivare a casa accompagnato da un giovane con una Renault rossa «spesso ho visto anche giovani andare da lui, ma non so molto altro, stava qui da poco e dove abitava prima c’era uno studio medico».

Secondo gli investigatori, l’uomo potrebbe essere stato ucciso da qualcuno dei ragazzi che ogni tanto si portava in casa. E non è escluso che Mercanti è stato legato e ucciso da più di una persona. Gli agenti della squadra Mobile hanno interrogato per ore gli amici del pensionato, cercando di ricostruire le ultime ore e le sue abitudini.

 

L'intervista. «Frequentava i ragazzi di piazza Esedra». Un amico: «Era generoso e intellettuale, ma anche molto prudente»

 

Amava la filosofia e la teologia, Francesco Mercanti, che aveva anche studiato in un seminario. Poi il lavoro in banca lasciato prima del tempo per via del diabete. Viveva solo con la pensione, ma due anni fa, dopo la morte della madre aveva ereditato una bella somma. Nella sua casa piena di libri e quadri di gusto, i vicini dicono che facesse entrare molti ragazzi, ma un amico, Roberto, 27 anni dice il contrario.

«In casa non faceva salire chiunque, era molto prudente». «E’ vero che frequentava i ragazzi di piazza Esedra, ma quelli, dentro casa non se li portava di certo. Mi spiego meglio, Francesco anche a piazza Esedra, andava sempre a cercare qualcuno che conosceva direttamente, o qualcuno che gli veniva presentato da persone di cui si fidava».

Roberto se ne sta in disparte, lontano dalla gente che guarda oltre la porta d’ingresso presidiata dai poliziotti. Lui conosceva il morto da molto tempo, racconta che Francesco voleva avere una storia, «mi aveva chiesto di andare a vivere con lui, ma io ho una fidanzata e non potevo accettare».

Lo chiamavano il Monsignore, perché?

«Parlava spesso di Dio e di religione, anche con i ragazzi con cui andava, e poi aveva studiato teologia, a volte a carnevale si vestiva anche da prelato. Era una persona buona e generosa, e intellettuale, era un piacere parlare con lui, sapeva spiegarti i fatti della vita in modo quasi magico».

La polizia sospetta che sia stato ucciso da un ragazzo di vita che si era portato a casa.

«Non ci credo, lui non avrebbe fatto entrare qualcuno che non conosceva, è tutto molto strano, sospetto che lui conosceva chi l’ha ucciso. Chi dice che in casa sua c’era un via vai di giovani esagera».

Roberto trattiene il pianto, i suoi occhi lucidi tradiscono il dolore. «Era una persona speciale, con pochi amici veri, non amava frequentare locali gay nè mettersi in mostra, ma gli piacevano le feste private. Sono certo che è stato ucciso da qualcuno di cui si fidava».

 

Cicche di sigarette e bicchieri sporchi in casa del gay ucciso in via Rimini. Impronte digitali ed esami del dna

“La Repubblica” - 1 Settembre 2001

 

Bicchieri sporchi e mozziconi di sigarette. L'assassino di Francesco Mercanti, "il monsignore", ha lasciato più di una traccia. Nell'appartamento di via Rimini i tecnici della scientifica stanno lavorando da tre giorni: sono a caccia di indizi ricollegabili a un ultimo incontro. E ci sono reperti - giudicati interessanti - che verranno sottoposti a esami specifici. La prova del Dna può chiarire tante cose. Le cicche ritrovate potrebbero essere state lasciate dall'aggressore anche perché Francesco Mercanti non fumava ma teneva sempre qualche pacchetto di sigarette da offrire.

Gli investigatori stanno cercando anche di ricostruire un inventario degli oggetti di valore. Ma non è facile. Nell'abitazione di via Rimini è stato trovato molto disordine: il trasloco era ancora da completare. L'assassino ha poi frugato ovunque in cerca di gioielli e soldi. Tra pile di libri di teologia e storia, nell'appartamento c'erano anche bottiglie di liquore. In cucina alcune pesche ancora fresche ma nessuna pentola o piatto sporco che facesse pensare a un'ultima cena. Eppure Francesco Mercanti era vestito, con tanto di giacca di lana per un uscita notturna, e aveva mangiato la sera del delitto. Dove? Gli uomini di Luigi Carnevale, il vicecapo della squadra mobile, stanno ricostruendo gli spostamenti e le ultime ore di vita dell'ex banchiere. Mercanti potrebbe aver mangiato assieme al suo assassino al McDonald's di piazza della Repubblica o nel vicino ristorante cinese di via del Viminale. «Andava sempre lì. Ed era sempre lui ad offrire - ricorda un amico - nei giardini là davanti conosceva tanti ragazzi». Gli agenti della seconda sezione, diretta da Giovanna Petrocca, stanno cercando i "marchettari" di Termini che frequentavano "il monsignore". Di pari passo vanno avanti, anche, gli accertamenti sui tabulati telefonici per controllare le ultime chiamate della vittima.

In procura, invece, il pm Delia Cardia sta esaminando i primi risultati dell'autopsia. Secondo l'esame, che è stato eseguito ieri dal medico legale Giulio Sacchetti dell'Università di Tor Vergata, non ci sono ferite sulla testa e neppure segni di strangolamento. La morte potrebbe risalire a domenica sera. Solo al termine degli accertamenti tossicologici disposti sarà possibile capire la causa che ha provocato il decesso. Gli esami dovranno stabilire se c'è qualche connessione tra la malattia di Mercanti, che soffriva di diabete. Intanto proseguono le ricerche del rumeno che aveva avuto una relazione con l'ex bancario. «Franco cercava un rapporto stabile - racconta Massimo Consoli, fondatore del movimento gay - e sperava di averlo trovato...». Quel ragazzo dell'Est è sparito da un mese, da quando la vittima l'aveva sorpreso a rubare in casa. Gli inquirenti stanno anche cercando Giulio M., un cinquantenne che aveva abitato a lungo con Mercanti nell'ex casa di via Bixio. Del nuovo appartamento di via Rimini, gli investigatori vogliono sapere, invece, quanti mazzi di chiavi e a chi fossero affidati.

 

E un anno dopo...

 

Il restauratore era l’ex convivente del bancario morto a San Giovanni

Di Vittorio Buongiorno – “Il Messaggero”, 18 Marzo 2002

 

Alza un braccio per difendersi, ma l’accetta gli piomba addosso come in un film dell’orrore e quasi glielo stacca dal corpo. Armando Iodice, il restauratore di 53 anni, è morto così: quattro possenti accettate gli hanno sfondato il cranio e squarciato il petto, poi è crollato su un divano di una villetta di Sezze, il centro sui Monti Lepini ad 80 chilometri da Roma. Un delitto compiuto sotto gli occhi impassibili del "monsignore": nella stanza del delitto, infatti, c’è una grande foto incorniciata di Francesco Mercanti, sorridente, travestito con quell’abito talare che nella comunità gay della Capitale gli era valso il soprannome. Sette mesi fa era stato proprio Armando Iodice a trovare il cadavere di Mercanti: erano amici da 20 anni, avevano convissuto e adesso gli inquirenti stanno cercando di capire se dietro ai due omicidi vi sia un’unica pista comune.

Il delitto è stato scoperto sabato sera. Una scena orrida: un braccio spunta dal terreno nel giardino della villetta sulle colline di Sezze. E’ Marcello, un portantino romano di 37 anni che lavora all’Ospedale San Giovanni che se lo trova quasi sotto ai piedi. E’ appena stato a Sezze, dai carabinieri, a denunciare la scomparsa del "professore", il suo amico di cui non ha notizie da una settimana. Scende dalla sua Daewoo rossa e vede quella sagoma biancastra, è una mano che spunta dal terriccio. Armando Iodice è stato sepolto a dieci metri da dove è stato ucciso: infagottato in due coperte, infilato in un sacco di plastica dura, coperto di terra. Sono stati i due pastori tedeschi o forse il puledro che scorrazzavano per il giardino a scavare il terreno e a tirarlo fuori.

Secondo il medico legale Giovanni Arcudi, Iodice sarebbe stato ucciso da almeno 15 giorni. Nella buca i carabinieri del Reparto investigazioni speciali hanno trovato l’ascia usata dall’assassino. E in casa una macchia di sangue sul muro, un’altra sotto il divano, e chiazze sui cuscini e la spalliera. Pensare che negli ultimi dieci giorni in quella casa erano entrati amici, ma anche i vigili urbani e i carabinieri di Sezze. Allertati dai vicini e dal portantino erano arrivati, erano entrati trovando che la porta non era chiusa a chiave e non trovando nessuno erano tornati indietro. «Ma non hanno colpe - spiegano gli inquirenti - Quella casa era in condizioni di sporcizia inaudite, c’erano macchie ovunque, per terra, sulle pareti. Solo il Ris ha scovato il sangue». Anche Marcello ha dormito in quella casa dopo il delitto: «Ma non mi sono accorto di nulla».

Il procuratore Antonio Gagliardi e il sostituto Chiara Riva hanno coordinato decine di interrogatori. Sono stati ascoltati tutti i vicini. E si è saputo che c’era un ragazzo giovane, sotto i vent’anni, scuro di carnagione, presumibilmente marocchino, che accudiva gli animali. «Era sempre lì - racconta un vicino - Ho il sospetto che vivesse con Iodice». Di lui non c’è più traccia e trovarlo non sarà facile, nessuno sa neppure il suo nome.

Il sospetto è che l’assassino abbia lasciato la casa del delitto con la Fiat Uno bordeaux del restauratore, che era nato a Napoli, aveva vissuto a Roma e dopo essere andato in pensione si era trasferito in provincia di Latina. Quell’auto era parcheggiata dall’11 marzo fuori dalla stazione di Sezze, l’hanno rimossa i vigili urbani poche ore prima della scoperta del cadavere. «Il movente per il momento è un mistero», spiega il pm. «Abbiamo delle piste, ma per il momento non possiamo aggiungere altro - ha detto il procuratore Gagliardi - Ma non seguiamo solo quella dell’omosessualità».

 

CHI ERA "IL MONSIGNORE". CONSOLI: «UN AMICO, MA SPESSO CRITICAVO LA SUA IMPRUDENZA»

 

Francesco Mercanti, detto il Monsignore amava la filosofia e la teologia, ed era amico da vent’anni di Armando Iodice: fu il restauratore di Sezze che scoprì il cadavere del Monsignore il 29 agosto scorso. Iodice aveva le chiavi dell’appartamento di via Rimini dove Mercanti era andato a vivere da poco, dopo l’addio con l’ultimo fidanzato. «Non ricordo di avere conosciuto Armando Iodice», dice Massimo Consoli, il padre del movimento gay romano «con Francesco Mercanti eravamo amici da vent’anni, lo ricordo come un uomo prudente, chi ha causato la sua morte era sicuramente qualcuno di cui si fidava, perché il Monsignore, in casa, non avrebbe fatto entrare gente che non conosceva bene. L’unica imprudenza di Francesco Mercanti era quella di mostrare ai ragazzi di piazza della Repubblica i suoi anelli d’oro, e per questo, a volte, gli ho detto di essere più cauto». «Del restauratore invece non ricordo nulla, il nome mi è sconosciuto, ma non escludo di averlo incontrato qualche volta in compagnia del Monsignore, dovrei vedere una sua foto».

Il presidente nazionale dell'Arcigay, Sergio Lo Giudice chiede un progetto di prevenzione realizzato dal Comune, dalla Questura e dal ministero degli Interni con la partecipazione attiva e diretta delle organizzazioni omosessuali per prevenire e combattere omicidi come quello di Iodice.

«Esistono moltissimi gay - spiega Lo Giudice - soprattutto di una certa età, che rimangono troppo spesso isolati da un processo di integrazione sociale promosso dalle organizzazioni gay, legate ad una fruizione solo occasionale della sessualità, spesso in condizioni altamente pericolose».

Proprio per questo, conclude il presidente dell'Arcigay, «appare fuorviante l'etichettatura di episodi come quello di oggi come di delitti maturati in ambienti omosessuali. È proprio la distanza dalla comunità gay e la difficoltà ad entrare in contatto con messaggi di informazione adeguati che espone al pericolo questi cittadini».

 

I SEGRETI DI UN TRIANGOLO “MALEDETTO”. IL PROFESSORE, L’INFERMIERE E IL MONSIGNORE: NELLE LORO RELAZIONI IL BANDOLO DELLA MATASSA.

Di Marco de Risi e Antonella Stocco

 

Delitto per delitto, oppure una catena perversa di morti annodate dal filo del caso. In bilico tra le statistiche abnormi sugli omicidi con vittime gay nella capitale, rompicapo per criminologi ed investigatori, e la favola nera intrisa di personaggi maledetti: amici e amanti uniti in vita e in morte; sesso, forse, e soldi. Sangue. Tra Francesco Mercanti, bancario in pensione chiamato "il monsignore", vittima gay di un omicidio che tecnicamente è poco più di un infarto; e Armando Iodice, restauratore chiamato "il professore" che gay diceva di non essere, ex convivente di Mercanti e destinato a trovarne il cadavere incaprettato in un appartamentino di via Rimini, in una lucente giornata di fine agosto, l’anno scorso. Poi c’è "l’infermiere" che si chiamerebbe Marcello e infermiere lo è davvero, al San Giovanni, amico del "monsignore" e convivente part-time di Iodice nella casa di Sezze. Qualche volta, in queste ultime notti, ha dormito lì. Tra le macchie di sangue schizzato sul muro, ha dormito senza incubi. Mentre intorno alla buca aperta in giardino gli animali selvatici si avvicinavano, e annusavano, attratti da quel sacco di cellophane, dalla carne umana bruciacchiata. Quel che resta del "professore" lo trova proprio l’infermiere che adesso deve spiegare quello che sa o forse non sa della storia tra Iodice e Mercanti; e di se stesso, in quella vicenda intermittente fatta di alloggi condivisi e lavori anonimi, cosa racconta? E ripeterà le parole già dette quando è stato interrogato per l’omicidio del "monsignore"? Alla mobile romana, che ha indagato sul caso Mercanti, e ai carabinieri di Latina non resta che sommare carte e verbali, vittime e testimoni, sullo sfondo dei lampioni di piazza Esedra dove "il monsignore" appassionato di teologia e gay dichiarato valutava da lontano quei ragazzi dell’Est a volte diafani, sempre disposti a tutto: lo vedi quello biondo? disse una sera a un amico, ha 25 anni, è romeno e lo conosce un amico, tu che ne pensi, ci parlo?

Ci parlava, Francesco Mercanti, con i ragazzi delle marchette e delle botte perché qualche volta lo picchiavano per rubargli gli anelli d’oro finto e lui ne comprava altri. Quei ragazzi li portava a casa, e qualcuno dice che fosse cauto e pauroso; qualcun altro sostiene che rischiava... Quando Iodice lo trova, sul cadavere non ci sono segni di violenza e allora come si fa a dire che è stato omicidio. Come se le parole facessero la differenza con quelle mani legate, in quel tanfo di paura e di morte. Allora bisognerà ricominciare a cercare chissà dove il romeno che non si è mai trovato e che qualche volta dormiva con "il monsignore". E quell’immigrato slavo che secondo qualcuno accudiva il cavallo di Iodice; forse è a Sezze o chissà dove, o forse non esiste.

Bisognerà tornare dentro le logiche di pestaggi, disprezzo e rapine in cui si intrecciano le sorti di aguzzini giovanissimi e clandestini a caccia di denaro, di vittime in cerca di una carezza, di un lampo di passione, di un’imitazione di paternità. Bisognerà tornare a studiare la geometria degli hate crimes; quei crimini dell’odio, così codificati negli Stati Uniti, che si consumano nell’intolleranza: razziale, religiosa, sessuale. Vale per il marchettaro, a sua volta discriminato, che uccide il cliente; vale per le aggressioni selvagge nei luoghi di incontro gay. E per gran parte degli omosessuali massacrati in un cerchio di odio e rapina, vendetta e torture. Oltre cento vittime in Italia, negli ultimi dieci anni; cinquanta solo nel Lazio, quasi tutte a Roma. Tanti i casi risolti, immutabile la leggenda del serial killer di gay, creatura imprecisa e dalla doppia vita che di giorno sorride e di notte colpisce e colpisce. Qualcuno ricorda l’ultima vittima, Benito Giacalone, era ottobre; mani e piedi legati, gli occhi aperti, lo scotch sulla bocca. Morte per anossia, tra il gioco erotico e il delitto. Come "il monsignore" forse. Ma che c’entra con Armando Iodice e il suo passato costellato dei cosiddetti reati contro il patrimonio? Che c’entra l’infermiere che trova il cadavere dell’amico che a sua volta aveva trovato il cadavere dell’amico di entrambi... segreto per segreto, forse. O il caso maledetto.

 

Gli inquirenti cercano conferme alla confessione di Aarab Samir e possibili collegamenti con l'omicidio Mercanti

"Il Messaggero", edizione di Latina, 14 Aprile 2002

 

Una lunghissima giornata di interrogatori per l'inchiesta sull'omicidio di Armando Iodice. Nonostante la confessione di Aarab Samir, il ventinovenne marocchino che ha ucciso il restauratore nella villetta di via del Melogrosso a Sezze, il pm Chiara Riva ha impresso ieri una nuova accelerazione alle indagini. I carabinieri del Reparto operativo hanno "scortato" in Procura almeno quattro persone informate sui fatti che sono rimaste nei locali di via Ezio fino a metà pomeriggio.

Gli interrogati sono tutti amici della vittima, del "professore", come si faceva chiamare Armando Iodice. Tutte persone che frequentavano abitualmente il restauratore e la sua residenza di Sezze e che si sono ritrovati in via del Melogrosso tra il momento dell'omicidio e il giorno del ritrovamento del cadavere senza rendersi conto che il soggiorno al pian terreno era stato il teatro del delitto. Cosa volevano sapere gli inquirenti? Per il momento l'obiettivo degli interrogatori resta un mistero, anche se voci insistenti parlano di un possibile collegamento tra l'assassinio del "professore" e quello del "monsignore", il gay romano trovato ucciso nell'agosto dello scorso anno. Gli inquirenti lo smentiscono anche perché quel delitto non è di competenza della Procura di Latina. Di certo hanno chiesto a tutti come sia stato possibile non accorgersi delle evidenti tracce di sangue, sul muro, sul divano e sul pavimento, lasciate da Samir Aarab prima di fuggire.

Gli inquirenti stanno cercando conferme alle dichiarazioni rilasciate dal marocchino che ha ucciso Iodice a colpi di accetta e ieri a sorpresa hanno voluto ascoltare contemporaneamente tutti gli amici dell'uomo ucciso. Poi le dichiarazioni raccolte nelle varie stanze della Procura sono state rapidissimamente confrontate e sono servite per porre nuove domande in una seconda tornata di interrogatori. Un lavoro lungo durato diverse ore. I risultati sono top secret. Tra l'altro a tutti gli amici del professore sono stati mostrati dei quadri e altri oggetti, ma non è chiaro se siano stati trovati nella villetta di via del Melogrosso o sequestrati altrove.

 

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