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Regista (Sydney, 21 Agosto 1944)
Australiano di origini scozzesi, studia arte e legge all’Università di Sydney, ma presto abbandona i corsi per guadagnare i soldi necessari per recarsi in Europa dove si sposa, quindi torna in Australia con la ferma intenzione di lavorare nel campo dello spettacolo. Dopo qualche impiego in televisione e la produzione di alcuni cortometraggi, scrive e dirige “Le macchine che distrussero Parigi” (1974), bizzarra commedia nera che è un sostanziale insuccesso. Ci riprova con il film “Picnic a Hanging Rock” (1975), grazie al quale s’impone a livello internazionale, in cui tratta la misteriosa scomparsa di tre donne sull’omonima formazione rocciosa ed esplora uno dei temi centrali nelle sue opere: l’incontro/scontro tra civiltà, culture diverse, e la natura, l’imprevedibilità, l’ignoto. Il successo è confermato con “Gli anni spezzati” (1981), struggente vicenda di due giovani atleti catapultati nell’inferno della prima guerra mondiale, e “Un anno vissuto pericolosamente” (1982), love story sullo sfondo dei disordini politici in Indonesia, entrambi interpretati da un allora poco noto Mel Gibson. Nel 1985, Weir realizza negli Stati Uniti “Witness - Il testimone” (1985), nel quale Harrison Ford è un poliziotto in pericolo che si rifugia in una comunità Amish, con il quale si guadagna la prima candidatura agli Oscar come miglior regista. La contrapposizione tra conformismo (la cultura imposta a partire dalla famiglia e l’istituzione scolastica) e anticonformismo (il professor Keating, un incontenibile Robin Williams che per la prima volta si cimenta in un ruolo drammatico) fa la fortuna de “L’attimo fuggente” (1989), appassionato inno alla libertà che conquista il pubblico. Se “Green Card - Matrimonio di convenienza” (1990) si regge sulle schermaglie tra un compositore francese (Gerard Depardieu) e una botanica americana (Andie McDowell), l’esaltazione di un sopravvissuto ad un incidente aereo è al centro di “Fearless - Senza paura” (1993). Ma il progetto più ambizioso di Weir, ed anche uno dei più riusciti sebbene non molto apprezzato dal pubblico (troppo intelligente per una produzione commerciale?), è un duro attacco all’invadenza dei media e alla spettacolarizzazione della vita: in “The Truman Show” (1998), Jim Carrey (anch’egli al suo primo ruolo drammatico) è l’inconsapevole protagonista di un colossale programma televisivo, costantemente spiato dalle telecamere in un mondo completamente ricostruito a beneficio degli spettatori e, soprattutto, degli sponsor. Sempre in bilico tra realtà e astrazione, Weir inizia la carriera con film di alto contenuto drammatico per poi passare a produzioni di puro intrattenimento, seppur di ottima qualità. Fra i suoi meriti maggiori vi è di aver permesso ad attori sino a quel momento impiegati in ruoli comici (Gibson, Williams, Carrey), di dar vita a personaggi fuori dagli schemi, impegnati, offrendogli così la possibilità di dimostrare la loro versatilità, e le loro ben più ampie ed apprezzabili qualità recitative. I film di Weir, comunque, sono tra le espressioni più originali e innovative del cinema australiano e internazionale degli anni '70, '80 e '90.
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