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Regista (Baden, Vienna, 1873 - New York, 1943)
Max Reinhardt pseudonimo del regista e direttore di teatro austriaco Max Goldmann. Iniziata la carriera come attore, divenne in breve tempo – passando attraverso un’esperienza di cabaret – la personalità dominante del mondo di lingua tedesca nel campo della regia. Ingaggia per le sue produzioni, sceglie come collaboratori o ha come allievi i più grandi registi e attori dell’epoca (Marlene Dietrich, Greta Garbo, Leni Riefenstahl, Lotte Reiniger, Léontine Sagan – solo per citare alcune delle personalità presenti nel nostro parziale database). La sua rapida ascesa lo condusse ad assumere nel 1905 la direzione del Deutsches Theater di Berlino e ad estendere progressivamente il proprio campo d’influenza fino a dirigere contemporaneamente sei teatri, quattro a Berlino e due a Vienna, senza contare il festival di Salisburgo, dove il suo allestimento all’aperto di “Jedermann” di H. von Hofmannsthal continuò a essere ripreso anche dopo la sua morte. Dotato di un magico senso dello spettacolo, passò con sorprendente sicurezza da un’esperienza stilistica all’altra, dal naturalismo all’espressionismo, dalla fantasia tipica della féerie al teatro di massa influenzando notevolmente il teatro e il cinema europeo d’inizio secolo per la scelta di soggetti originali e fantasiosi e per il forte gusto espressionistico delle sue messe in scena. Il suo repertorio non ebbe limiti, come la sua operosità: i tragici greci (“Edipo Re in un circo”) e Shakespeare (“Il sogno di una notte di mezza estate” e “Il mercante di Venezia” furono da lui allestiti, mirabilmente, anche all’aperto in Italia, l’uno a Firenze-Boboli, l’altro a Venezia), i classici in genere, soprattutto tedeschi, e molti tra gli autori più rappresentativi del teatro moderno, da Strindberg a Pirandello, ecc. Al grande schermo si avvicina alla metà degli anni ‘10 per girare gli avventurosi e fiabeschi “Die Insel der Seligen” (L’isola dei beati, 1913), “Notti veneziane” (1913) e lo shakespeariano “Riccardo III” (1914), pellicole dall’atmosfera vagamente surreale, caratterizzate da forti contrasti di luci e ombre che influenzano il cinema tedesco dei decenni successivi. Il geniale sincretismo spettacolare di Max Reinhardt trovò i suoi limiti nella stessa prodigalità di forme, di colori, di luci, di tecnicismi scenici e di virtuosismi recitativi che lo caratterizzarono. Così, in mancanza d’altro, poté essergli rimproverato di non avere penetrato a fondo testi come “Amleto” o “Faust”. Abbandonato il grande schermo per lungo tempo, vi si riaccosta solo nel 1935 quando, emigrato negli Stati Uniti per sfuggire alla persequzione nazista, con il suo ex allievo W. Dieterle dirige un cast prestigioso per il suggestivo ma sfortunato “Sogno di una notte di mezza estate” (1935), in cui il testo shakespeariano subisce molti tagli nel tentativo di ricreare l’atmosfera fantastica solo con mezzi cinematografici, indubbiamente la sua opera migliore. Finì la sua carriera in America senza mai più ritrovare la splendida ispirazione d’un tempo.
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