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Regista, sceneggiatore e fotografo (Milano, 13 Novembre 1914 - 3 Luglio 2005)
Figlio del musicista Felice Lattuada (1882-1962), si laurea in Architettura, ma già nel 1933 si avvicina al cinema disegnando le scenografìe di “Cuore rivelatore”, un cortometraggio diretto da Alberto Mondadori. Appassionato di letteratura e poesia, scrive articoli e racconti pubblicati su varie riviste, critiche cinematografiche («Libro e Moschetto»), fonda il periodico «Camminare» e fa parte del gruppo antifascista legato alla rivista milanese «Corrente», per la quale lavora come critico insieme a Luigi Comencini. Il grande amore per il cinema lo distoglie però da ogni altra occupazione. Si dedica anima e corpo alla ricerca di vecchi film, ponendo con Mario Ferrari e Luigi Comencini le basi per la futura Cineteca Italiana. Contemporaneamente collabora alla realizzazione di alcuni film, prima con Mario Baffico (“Il museo dell'amore”, “La danza delle lancette”), poi con Ferdinando Poggioli e Mario Soldati. Durante la guerra esordisce nella regia con due film (“Giacomo l'idealista” e “La freccia nel fianco”), che rivelano sin da subito una forte personalità ed una visione della vita ferocemente critica. Nel dopoguerra si avvicina al neorealismo distinguendosi per i temi crudi, l'azione, un certo grado di spettacolarità a cui ricorre in “Il bandito”, “Senza pietà” e “Il mulino del Po”, film nei quali è evidente il suo amore per il cinema hollywoodiano, in particolare il gangster e il noir. Lattuada racconta storie di crimine, corruzione, prostituzione, razzismo, scioperi, disoccupazione, ingiustizie, amori impossibili ed è attivo anche fuori dal set: sottoscrive molti manifesti in difesa del cinema e contro la pratica censoria, entrando a far parte, insieme a Germi, De Sica, Antonioni, Lizzani ed altri, della lista nera di registi accusati di essere comunisti e ai quali vengono puntualmente bloccati i finanziamenti. Dopo gli inevitabili problemi di censura, in un periodo in cui questa si distingue per parzialità e compromissione con i sottesi diktat delle forze politiche al governo, ripiega su opere dichiaratamente più commerciali con le quali inizia a tratteggiare ritratti femminili che gli valgono l'appellativo di "regista delle donne". Da questo momento, salvo alcune pellicole nelle quali torna a descrivere e criticare aspramente la borghesia di provincia, l'italica sessuofobica ipocrisia (ad esempio in “La spiaggia”, 1953, film antesignano della commedia di costume) diventa costante la componente erotica (“I dolci inganni”, 1960, “Venga a prendere il caffè... da noi”, 1970, “Oh, Serafina!”, 1976). Molti di questi e dei successivi film, in qualche caso frutto di evidenti compromessi, gli costano accuse di pornografia gratuita. Non è da escludere che questa deriva sia un rifugio dorato e quasi obbligato, dovuto all'impossibilità di realizzare altri progetti e all'inaridimento di una vena creativa che lo relega comunque nell'olimpo dei nostri grandi autori. Dal 1984 al 1989 firma tre lavori per il piccolo schermo, fra cui il kolossal “Cristoforo Colombo”, ma ormai il professionismo ha preso il posto della poesia e della voglia di sorprendere.
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