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“VLAD E CARMILLA - PRINCIPI DELLA NOTTE”
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Il tema del vampirismo quale evidente archetipo e metafora applicata ai comportamenti umani in qualunque ambito si esprimano (mi riferisco alla complementarietà tra subordinazione ed esercizio del potere nelle arti come nei mestieri, nell’affettività come nella sessualità, al reciproco “nutrirsi” che passando dall’uso all’abuso talvolta conduce all’annientamento biunivoco o unilaterale), meriterebbe certamente di essere approfondito, ma questo ci allontanerebbe dal nostro obiettivo primario che era e rimane relativo al cinema, all’individuazione dei rimandi sottintesi o espliciti all’omosessualità femminile e, più in generale, ai devastanti effetti che maschilismo, sessismo, razzismo, lesbo ed omofobia hanno prodotto sul modo di rappresentare la donna sullo schermo. D’altronde sui vampiri e sul vampirismo in generale (anche psicologico) esiste già una vasta ed esaustiva trattazione – il nostro contributo, quindi, sarebbe in questo senso piuttosto modesto.
Tuttavia qualche parola occorre spenderla soprattutto per quel che riguarda la presenza di figure femminili tanto aberranti nell’iconografia non solo cinematografica e che nascono, occorre chiarirlo, quasi esclusivamente dall’immaginario maschile.
Per l’autore e gli estimatori del genere, la donna trova una sua precisa e compiuta espressione nel suo corrispettivo vampiresco o vampirizzato: un’allegoria che riassume in sé tutte le paure e le fantasie auto-consolatorie maschili e maschiliste, anche sessuali.
La donna che succhia depaupera, ma anche soggiace – sia che lo faccia liberamente o perché costretta, si pone fuori dalle regole invalse e perciò merita d’essere combattuta, irrisa o vessata sino alle estreme conseguenze. La donna succhiata dev’essere restituita al maschio dal maschio, o persa per sempre, definitivamente – non può appartenere a nessun altro che a lui, men che mai ad una donna o a se stessa. La donna è il male o una sua vittima, spesso senziente, corresponsabile. L’uomo, possessore del verbo, assurge ad un ruolo salvifico. Punire non basta – occorre sopprimere per redimere, ammonire, educare. Immolando il demone/donna carnefice o il demone/donna vittima, egli riafferma se stesso attraverso l’unica cosa che sa e può fare: uccidere – nel suo delirio d’onnipotenza torna ad essere quel Dio che ha inventato e imposto, quel miserabile prevaricatore che l’esistenza femminile comunque ridicolizza e smaschera. Intollerabile. Tutto dev’essere rimesso al suo posto: il fine giustifica i mezzi.
Un condizionamento culturale e psicologico talmente radicato che, fuori dalla finzione filmica e letteraria, si traduce da sempre nel quotidiano massacro di tante donne colpevoli solo di non essere, o non essere più (ma mai lo sono state), come gli uomini hanno deciso che debbano essere…
Cinzia Ricci
Approfondimenti...
Premessa |
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“Carmilla”
di Joseph Sheridan Le Fanu |
“Dracula”
di Bram Stoker |