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Da “Lo schermo velato” di Vito Russo |
Il ghetto era l’unico “inferno” in cui si potevano trovare i gay nel cinema prima e dopo il regno del Codice.
L’ambiente della malavita come rifugio per gli omosessuali è un pilastro della musica e della letteratura e naturalmente riflette la realtà di gran parte delle esperienze gay che dall’inizio dei tempi hanno trovato voce solo in diversi tipi di ghetto. Il ghetto gay è stato spesso collegato alla malavita e dovunque l’attività illecita fiorisce, il crimine organizzato si muove per controllarla e cavarne profitto. Inoltre, a differenza di altri gruppi di minoranza, gli omosessuali sono stati quasi sempre identificati come criminali. Un ghetto nero può essere sconvolto dal crimine, ma la gente che vive al suo interno non è criminale per il solo fatto di essera nera.
In “Bessie”, un libro sulla cantante di blues Bessie Smith, Chris Albertson parla delle esperienze lesbiche della cantante, che vengono raccontate più particolareggiatamente anche da Jonathan Katz nella “Gay America History”. In un’intervista alla nipote della Smith (rintracciabile su disco in una raccolta di canzoni blues e jazz con soggetto omosessuale), Albertson considera l’omosessualità come una componente della cultura jazz. Descrivendo un buffet flat dei primi anni Trenta, la nipote della Smith dice: “Un buffet Flat non era altro che un covo di finocchi e di lesbicone. Succedeva di tutto in quei posti, tutto quanto c’è nella vita”. Nella vita.