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Mercoledì 19-Ago-2009
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La tecnica dello stucco veneziano prevedeva la sovrapposizione di sei strati caratterizzati dalla miscela base di acqua e calce spenta con inerte fine costituito da sabbia e cocciopesto, per i primi 20 mm dei tre strati interni, oppure da polvere di marmo, per i successivi 5 mm dei tre strati superficiali. La presa e l’indurimento della malta venivano assicurati dalla carbonatazione all’aria della calce a seguito della reazione con l’anidride carbonica presente nell’aria. Da un punto di vista estetico, lo specifico ruolo giocato dalla polvere di marmo - ricavata dalla frantumazione della pietra d’Istria - era quello di dare alla matrice un colore bianco facilmente colorabile utilizzando pigmenti minerali. La particolare tecnica di lucidatura superficiale conferiva poi all’intonaco l’aspetto di una pietra di marmo. Anche dal punto di vista microstrutturale, lo strato superficiale del marmorino simulava perfettamente una pietra di marmo grazie alla fondamentale presenza del carbonato di calcio proveniente sia dalla carbonatazione della calce sia dalla polvere di marmo stessa.

Oltre ai componenti base sopradescritti, venivano impiegate, però, anche delle aggiunte minerali per conferire alla superficie suggestivi effetti cromatici, per modificare i tempi di presa delle malte o per incrementare la loro durabilità. Queste aggiunte minerali comprendevano pigmenti, pozzolana, gesso.

I pigmenti minerali, derivanti da terreni naturali colorati o da vetro macinato artificialmente, erano utilizzati nella miscela dello strato superficiale oppure, in forma di pittura liquida, per decorare la superficie dello stucco fresco o asciutto: nel caso di pittura a fresco i pigmenti venivano dispersi in un’emulsione di acqua e sapone, nella pittura dello stucco asciutto, in olio di trementina.

La pozzolana naturale (importata dall’isola greca di Santorini) o, più spesso, artificiale - cocciopesto - veniva sempre introdotta negli strati interni per favorire la formazione di un materiale capace di resistere all’attacco dell’acqua di mare in risalita capillare.

Il gesso fungeva da accelerante di presa e di indurimento, specialmente nella produzione dello stuccoforte per decori in alto-rilievo e veniva impiegato in misura di qualche manciata per secchio di malta.

Lo strato superficiale era caratterizzato, inoltre, da un’ulteriore aggiunta di sostanze naturali. L’olio di lino crudo veniva impiegato sia per incrementare la plasticità della miscela e per prolungare il tempo di presa, sia per diminuire la porosità aperta della superficie, riducendo così il rischio di fessurazione per ritiro idrometrico. Un trattamento superficiale con una miscela di acqua, calce e sapone conferiva al marmorino la sua caratteristica di impermeabilità senza, però, impedire la rapida diffusione di vapore dall’interno della muratura verso l’esterno. La lucidatura finale con cere vegetali o animali diluite in trementina, permetteva di ottenere una maggiore brillantezza, così come accade in una pietra di marmo lucidata. La tecnica dello stucco veneziano consentiva, quindi, di ottenere un prodotto finale di elevato valore artistico grazie all'irregolarità, alla versatilità e alla lucentezza dei decori; d’altra parte, l’elevata resistenza ed impermeabilità all’acqua proveniente dall’esterno, accompagnate da una buona diffusione del vapore derivante dall’acqua di risalita capillare, garantivano la durabilità del manufatto.

 

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