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Aggiornato Venerdì 12-Ott-2007

SCUOLA & GIOVANI

L'autore, Pasquale Quaranta, è iscritto a Scienze della comunicazione e si è concentrato sui siti italiani frequentati dalla comunità omosessuale

«E' una realtà work in progress, fatta di persone e progetti che valorizzano l'agire comunitario e la produzione cooperativa del sapere»

Di Alessandra Vitali – La Repubblica.it, 19 Dicembre 2006

 

Il proposito è impegnativo. Cercare di capire quale sarà, nel futuro prossimo, l'impatto della cultura gay sulla società e in che modo l'evoluzione di tale cultura sarà correlata alla sua divulgazione sul web. Soprattutto, comprendere in che modo internet permette alla comunità gay di diffondere la propria cultura. Questi gli argomenti che animano una tesi di laurea, di fatto una rivoluzione nell'ambito accademico italiano. A discuterla, proprio oggi, Pasquale Quaranta, iscritto a Scienze della comunicazione presso l'università di Salerno. Che alle sue 140 pagine di lavoro ha dato il titolo "La cultura gay online: il caso italiano".

Una rivoluzione, si diceva, perché mentre negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sono attivi, da anni, corsi di "gay and lesbian studies", le nostre università sono "impermeabili" a studi sull'argomento, salvo rare eccezioni in cui il discorso si colloca nel più ampio dibattito sugli studi di genere. La tesi vuole essere un contributo al dibattito sulla cultura gay online in Italia, "una realtà work in progress - spiega Quaranta - fatta di persone e progetti che valorizzano l'agire comunitario e la produzione di sapere in modo cooperativo".

Ventiquattro anni, giornalista, consigliere nazionale di Arcigay, Quaranta si è soffermato sui siti di cultura omosessuale italiani. Con precisi criteri di ricerca, a partire dall'esclusione dei siti pornografici, di quelli a pagamento, di quelli di puro dibattito politico-partitico, e di quelli delle associazioni omosessuali che si limitano a dare informazioni agli iscritti.

"Ho preso in esame la Rete come strumento metodologico per il rilancio della cultura gay - spiega Quaranta - perché se nella carta stampata è facile trovare resistenze da parte degli editori, in Rete ognuno è editore di se stesso, come dimostrano molti gruppi auto-organizzati". Internet dunque può garantire uno spazio altrimenti difficile da trovare, "per una cultura che si fonda su valori di uguaglianza, solidarietà, pace, nonviolenza, rifiuto di ogni totalitarismo. Per intenderci - osserva l'autore della tesi - gli stessi della chiesa cattolica".

L'ottica è quella della "liberazione gay": "La comunità omosessuale sta tentando di introdurre in Italia un paio di idee, che non suono nove ma sono difficile da far passare. La prima, è che "donne e uomini omosessuali non sono malati, ma parte di una variante naturale dell'essere umano, che poi è la definizione che ne dà l'Organizzazione mondiale della sanità. La seconda, è che le persone omosessuali hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri delle altre persone con orientamento eterosessuale".

Niente di nuovo dunque, "ma è da decenni che il movimento gay sta cercando di far passare questi due principi, con i Gay Pride, con convegni, dibattiti e con la nascita continua di associazioni. Il problema è che in Italia è ancora forte, e cresce, il sentimento di omofobia. La tesi è anche una risposta ai pregiudizi, perché penso - sostiene Quaranta - che solo la cultura possa combatterli".

LA TESI

In quanto all'omofobia, lo stesso Pasquale Quaranta, circa un anno fa, ne è stato vittima. "Stavo girando un servizio per Lucignolo, il programma di Italia Uno, nella piazza di Battipaglia. L'obiettivo era quello di vedere le reazioni della gente a un atteggiamento manifestamente omosessuale. A telecamere nascoste, ci siamo presi per mano, con un amico: sono arrivati prima fischi e insulti, poi l'aggressione vera e propria. Grazie al filmato è stato possibile risalire agli autori, solo uno è stato processato, ma credo non abbia scontato alcunché".

Se è vero che la Rete può ritagliarsi il ruolo di strumento metodologico perché la cultura, gay in questo caso, si diffonda all'insegna della libertà, è anche vero che internet comporta alcuni rischi. "Il più frequente - spiega Quaranta - è quello di strumentalizzare il portato della cultura gay. Penso ad esempio allo sfruttamento commerciale, mentre ci sono esperienze, come gay.it o gay.tv, che sono un esempio di coniugazione fra impresa e difesa dei diritti civili. A questo, bisogna fare attenzione: a non abdicare agli ideali della cultura gay per scopi meramente commerciali, che la Rete, ovviamente, favorisce".

 

In appendice alla tesi di Pasquale Quaranta

Di Cinzia Ricci - Novembre 2006

 

Perché un sito personale e non una vetrina su un portale di successo o, meglio, un libro, due, tre? Spesso accade che in questa scelta non vi sia niente di ideologico – all’inizio. Anzi, a dire il vero nemmeno di “scelta” si può parlare ma di unica alternativa all’invisibilità, alla morte civile di un autore. D'altronde, Internet era ed è ancora il solo mezzo esistente per rendere pubblico il proprio lavoro, a costo zero, bypassando i canali culturali, politici ed editoriali tradizionali (cartacei e web, anche LGBT*) non proprio disponibili a spartire la torta, a far emergere gli outsider ancorché capaci e talentuosi.

La mia avventura sul web è dunque cominciata nell’estate del 2003. Stavo lavorando a “Borderline” (un’inchiesta attraverso la quale ho raccontato “l’altro” lesbismo, quello che non milita, non fa parte dei salottini e delle consorterie, non finisce in TV, sulle riviste e sui giornali, distante anni luce dal lesbo-chic politicamente corretto, che poco interessa a chi è troppo indifferente, spaventato o stupido per rendersi conto che non viviamo nel paese dei balocchi), ma non trovavo nessuno disposto a pubblicarmi, così mi misi al computer e feci da sola. Il successo fu tale che decisi di approfittarne per far conoscere anche altri aspetti del mio lavoro e poco alla volta pubblicai una selezione della mie opere pregresse (racconti, poesie, grafica, pittura, ecc.) aggiungendovi di volta in volta le nuove produzioni (tra cui i materiali di “fiLmES”, un’articolata ricerca sul lesbismo e la lesbofobia nel cinema dal 1895 ad oggi, e gli editoriali su temi di attualità e politica).

Ho scoperto di fare “cultura” (nell’accezione più seria, ampia, minacciosa e destabilizzante del termine) un anno dopo, il 18 Aprile del 2004, quando la mia compagna fu vittima di una violenza sessuale che aveva lo scopo d’indurmi al silenzio. Sino al giorno prima pensavo che non si potesse sostenere l’esistenza di una “cultura omosessuale” parallela o contrapposta alla cultura tout-court (guarda caso territorio quasi esclusivamente maschile) – pensavo che fosse una forzatura, un modo per ritagliarsi uno spazio entro cui confinarsi. Ero convinta di essere solo una donna fuori dai giochi, dal sistema, un’autrice e una libera pensatrice accidentalmente lesbica, isolata ma visibile. Il giorno dopo sapevo che tutte queste caratteristiche messe insieme candidano al linciaggio, causano punizioni esemplari, tentativi di soppressione fisica e psichica. Poiché non si può reprimere, negare, offendere, minimizzare qualcosa che non c’è, mi fu anche chiaro che la “cultura omosessuale” non solo esiste ma è percepita con crescente diffidenza, preoccupazione, rabbia – ha dunque proprie specificità ed una forza talvolta dirompente, addirittura concettualmente rivoluzionaria, tanto da provocare reazioni di rifiuto e violenza. Cultura omosessuale - cultura minore, di nicchia? Affermazione quanto mai sciocca, strumentale e falsa. Se non mi fossi pubblicamente esposta portando argomenti credibili contro l’odio, il disprezzo e le disuguaglianze, contro la omo, lesbo e transfobia, il sessismo, il maschilismo e la misoginia, mostrandone le devastanti conseguenze, se non avessi prodotto pensiero, a nessuno sarebbe importato del mio lesbismo – invece, lui ed io siamo divenuti cultura, azione politica, rivendicazione, denuncia, siamo usciti dal ghetto, dagli accademismi elitari per fornire spunti di riflessione, mostrare ciò che troppi fingono di non vedere, vorrebbero cancellare. La rappresaglia non poteva che essere terribile - vergognose le reazioni. Nell’Ottobre del 2005, “Una strage annunciata”, ampia e ragionata raccolta di dati e documenti relativi ai casi di violenza e discriminazione subiti dalle persone LGBT*, è stata la mia risposta – globalmente ignorata.

Dal 2004 presto molta attenzione a ciò che si muove intorno al sito, perché questo è l’unico modo che ho per quantificare l’efficacia, la portata del mio lavoro, le sue ricadute: alcuni dati emergono con chiarezza e sono a mio avviso significativi.

1) Nel 2005, il sito ha ricevuto il Premio Speciale "Donna è Web 2005" attribuito nell'ambito dell'omonimo concorso nazionale che fa capo al premio Web Italia (prestigioso in sé ma ancor più significativo in quanto, primo caso nel nostro paese, riconosce e premia i contenuti di un’opera web esplicitamente lesbica, militante, indipendente e non pubblicizzata). Nessuno ha ritenuto utile parlarne, nemmeno all’interno della cosiddetta comunità LGBT*.

2) Sebbene privo di sponsorizzazioni, realizzato e gestito da un’unica persona che non gode di alcun sostegno da parte di singole personalità o organismi, il sito ha da tempo superato i 1.200 accessi medi giornalieri, le pagine viste mensilmente sono oltre 112.000 (media aritmetica).

3) I visitatori vi arrivano quasi esclusivamente tramite i motori di ricerca, perlopiù per caso cercando altro. Il 20% di essi vi torna anche se non omosessuale.

4) Non vi è alcuna dominanza tra le caratteristiche dei visitatori (genere, età, scolarizzazione, orientamento affettivo, area geografica, ecc.). Il pubblico di questo sito è quanto mai eterogeneo e trasversale.

5) In oltre tre anni di esistenza on-line, non ho ricevuto una sola mail offensiva, minacciosa o di protesta. Ricevo mediamente una trentina di mails al mese, circa il 50% sono di apprezzamento, l’altro 50% chiede informazioni, consigli o altro. Con alcuni lettori (prevalentemente uomini, eterosessuali, cultura medio-alta) si è instaurato un ottimo rapporto di amicizia, stima reciproca e talvolta collaborazione, seppur virtuale.

Ognuno tragga le conclusioni che vuole.

 

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