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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma

(Editoriale nev 36-37/05, 16 Settembre 2005)

 

Le posizioni espresse da Romano Prodi sul tema dei “diritti delle coppie di fatto basate su un vincolo diverso da quello del matrimonio” a sostegno della proposta di legge presentata da 61 parlamentari dell’Unione, hanno suscitato la reazione dell’Osservatore Romano, che è sceso in campo in difesa della famiglia, “la realtà naturale alla quale sono naturalmente inclini l’uomo e la donna” (corsivi nel testo!), e ha accusato Prodi di voler “relativizzare e ideologizzare la realtà della famiglia”. Non c’è da stupirsi. Il Vaticano e la Conferenza episcopale italiana (CEI) hanno scelto il terreno della morale per esercitare direttamente quell’influenza politica che non è più affidata, in Italia, alla presenza di un partito cattolico come la DC, che era uno strumento di collateralismo, ma anche uno spazio di mediazione e quindi di autonomia della politica. Ora gli interessi della gerarchia cattolica vengono fatti valere direttamente di fronte all’elettorato e alle forze politiche. Sarebbe miope vedere in questa strategia il semplice tentativo di recuperare un peso politico scemato negli anni. La posta in gioco è molto più alta, e quindi tanto più consapevole e forte deve essere la risposta. Sono in gioco l’autonomia della politica e del diritto, il pluralismo delle convinzioni etiche che si riconoscono nel patto democratico, l’affermazione dei diritti della persona, la libertà della ricerca scientifica, il rapporto tra religione e società democratica. Si tratta di una riscossa contro la modernità e le sue acquisizioni. Nella fattispecie, la questione è molto semplice: il riconoscimento delle unioni di fatto, etero o omosessuali, rientra nella sfera di autonomia della politica e del diritto e non lede il diritto - sacrosanto - di altri cittadini di vivere il matrimonio come un sacramento le cui regole sono dettate dal proprio magistero. Così come l’aver depenalizzato comportamenti sessuali un tempo sanzionati non lede il diritto di chi crede che sia meglio essere casti o il propagandare l’uso del profilattico contro l’AIDS non lede il diritto di chi pensa invece di dover praticare l’astinenza. Viceversa, pretendere che sia sancita come universale e “naturale” - cioè non storicizzabile - quella che in realtà altro non è che la visione confessionale cattolica del matrimonio e della sessualità, significa discriminare tutti quelli che questa visione non seguono.

È poi veramente singolare l’affermazione dell’Osservatore Romano, che rimprovera a Prodi di fare un “tentativo di relativizzare e ideologizzare la famiglia”. Delle due l’una: se si relativizza una cosa, non la si può ideologizzare; se la si ideologizza, certamente non la si relativizza, cioè non la si consegna al relativo della storia e delle scelte umane, ma se ne fa un assoluto. Non ho dubbi su chi stia ideologizzando che cosa. La “famiglia” è per il Vaticano e per la CEI un assoluto. Chi invece conosce il sesso e la famiglia per esperienza personale (gioiosa ma anche complicata come tutte le realtà umane), ne parla certamente in modo più laico, proprio perché sa che la grandezza di queste buone realtà della vita va colta tutta nella concreta - e dunque contraddittoria - realtà della storia. Non si tratta di attentare alla famiglia, ma i suoi molti problemi non si risolvono facendone una parola d’ordine ideologica da brandire. Conosco la risposta: non si tratta di ideologia, ma di difendere la verità. Ma la verità non sta nella natura, né nelle morali che i cristiani hanno sviluppato nella storia, ma nell’annuncio dell’amore di Dio per tutte le creature. Se le chiese si occupassero meno di egemonizzare culture, influenzare politiche e regolamentare la vita dei cittadini, e più di raccontare di Dio, renderebbero un migliore servizio alla verità. Si testimonia anche con la vita: i cristiani lo facciano allora con l’esempio personale e non con il tentativo di rendere egemoni le proprie convinzioni, limitando i diritti e le libertà di chi queste convinzioni non condivide.

 

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