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Aggiornato
Venerdì 26-Gen-2007
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Stati Uniti d’America
Il sito “www.godhatesfags.com” della Chiesa Battista di Westboro, contiene il “Memoriale perpetuo evangelico per Metthew Shepard”: è un'immagine che ritrae il giovane avvolto tra le fiamme dell’inferno. Una tabella, poi, elenca le chiese americane “frocie”, ree di permettere ai froci di esserne membri. Fra le innumerevoli bestialità che contiene, Paolo Pedote e Giuseppe Lo Presti hanno individuato questa “perla” inserendola nel loro libro “OMOFOBIA - Il pregiudizio anti omosessuale dalla bibbia ai giorni nostri” (Stampa Alternativa, 2003):
Sono necessari circa 300.000 dollari per curare ogni vittima dell'Aids, così grazie alla vita promiscua dei froci, le rate per l'assicurazione medica sono aumentate per tutti noi (…). La Chiesa Battista di Westboro ingaggia un giornaliero e rasserenante cammino opponendosi allo stile di vita omosessuale di anime dannate, del sudiciume che distrugge la nazione. Noi esponiamo grandi e colorati simboli contenenti le parole e i sentimenti della Bibbia, tra i quali: “Dio Odia I Froci”, “I Froci Odiano Dio”, “L'aids Cura I Froci”, “Grazie A Dio Per L'aids”, “I Froci Bruceranno All'inferno”, “Niente Lacrime Per Le Checche”, “Peccato E Vergogna Non Orgoglio”, “Frocio = Sesso Anale = Morte”, “Frocio = Aids = Morte”, “I Froci Sono Uno Scherzo Della Natura”, “I Froci Si Arrenderanno A Dio”, “No A Leggi Speciali Per I Froci”, Etc.
McKinney colpevole, ma niente condanna a morte Di Luca Balboni - 2004
Albany, Wyoming – Lo scorso 4 novembre Aaron James McKinney è stato condannato a due ergastoli consecutivi per l’uccisione di Matthew Shepard, lo studente di 21 anni dell’università del Wyoming, pestato il 6 ottobre 1998 e morto dopo cinque giorni di agonia. Shepard era stato avvicinato in un bar nei pressi dell’università dal ventitreenne Aaron McKinney e dal ventiduenne Russell Henderson, ed era stato ritrovato 18 ore più tardi abbandonato senza conoscenza contro una staccionata con bruciature e ferite su tutto il corpo. Il processo a carico di Russell Henderson si era concluso il 6 aprile scorso con una condanna a due ergastoli per omicidio di primo grado, sequestro di persona e furto aggravato. Henderson è riuscito ad evitare la pena di morte dichiarandosi colpevole di avere partecipato al pestaggio, ma gettando ogni responsabilità morale sul complice. Lo scorso 3 novembre la giuria composta da sette uomini e cinque donne aveva riconosciuto McKinney colpevole di omicidio aggravato di primo grado, omicidio di secondo grado, furto aggravato e rapimento, ma aveva respinto la richiesta dell’accusa di ritenere il crimine premeditato. Il pubblico ministero Cal Rerucha aveva descritto l'azione di McKinney e Russell Henderson come quella di "due lupi che adocchiano un agnello", sottolineando che McKinney uccise Matthew Shepard intenzionalmente e con premeditazione. La difesa ha invece sostenuto che il comportamento dell'imputato fu provocato dal cosiddetto "Gay Panic”, il panico che si sostiene potrebbe avere un eterosessuale oggetto d’attenzioni non volute da parte di un omosessuale. L’assurda tesi del “Gay Panic” è stata ampiamente usata in passato per concedere l’assoluzione o per condannare a pene miti chi si è macchiato di crimini e violenze verso lesbiche e gay, ed anche questa volta è stata avanzata per lo stesso motivo. E’ lo stesso atteggiamento di chi vede nella causa di una violenza sessuale ai danni di una donna, l’atteggiamento o l’abbigliamento di quest’ultima, la vittima diventa il colpevole, il giovane ragazzo omosessuale che si ritrova a pagare per qualcosa che è stato unicamente causato dal suo comportamento. Anche il giudice John Voigt ha sollevato riserve sulla tattica della difesa, decidendo di non ritenere ammissibile il concetto del “gay panic”, ma l'avvocato della difesa Dion Custis ha negato di avere mai usato il termine "gay panic", che è stato invece ampiamente usato dai media. David Smith, portavoce dell’organizzazione Human Rights Campaign, ha affermato di ritenere “spregevole” le tattiche della difesa, basate su un forte pregiudizio anti-omosessuale, e aggiungendo che "sarebbe meglio definirle dare la colpa alla vittima". Nel cercare attenuanti che evitassero la pena capitale, la difesa ha anche sostenuto che McKinney fosse in stato di ubriachezza e sotto l’effetto di stupefacenti, ma la ragazza di Henderson, Chasity Pasley, che deve rispondere dell’accusa di favoreggiamento, ha testimoniato che nonostante Henderson ed Aaron McKinney facessero frequente uso di droghe e bevessero parecchio, McKinney non sembrava essere sotto l'effetto di stupefacenti la notte dell'aggressione. Nonostante i tentativi della difesa e anche a causa del rifiuto delle maggiori organizzazioni omosessuali americane di prendere una posizione chiara di condanna alla pena capitale, quella di vedere McKinney condannato a morte rimaneva una possibilità reale, ma in una dimostrazione di grande civiltà, i genitori di Matthew Shepard hanno chiesto che gli fosse risparmiata la vita. In cambio McKinney si vede negata la possibilità di ricorrere in appello e di vedere diminuiti per buona condotta i due ergastoli ricevuti. “Signor McKinney, sto per accordargli il diritto alla vita, sebbene per me sia così difficile a causa di Matthew.” ha dichiarato il padre di Matthew, Dennis Shepard, “Ogni volta che celebrerà il natale, un compleanno o il quattro di luglio, si ricordi che Matthew non c’è più. Ogni volta che si sveglierà in quella cella in carcere, si ricordi di avere avuto l’opportunità e le capacità di fermarsi, quella sera”. Parlando con i giornalisti a seguito della sentenza, Dennis Shepard ha colto l’occasione per ringraziare il giudice distrettuale Barton Voigt per avere rifiutato la tesi del “panico gay” avanzata dalla difesa, “prendendo quella decisione, ha sottolineato che Matthew era un essere umano con tutti i diritti, le responsabilità ed il diritto ad essere tutelato, di ogni altro cittadino del Wyoming”. Dennis Shepard ha quindi aggiunto che il processo è stato l’occasione per lanciare un segnale forte al paese contro i “crimini dell’odio” (Hate Crimes). Nonostante i crimini comuni siano in calo in tutto il paese, i crimini dell’odio provocati dall'orientamento sessuale sono cresciuti dell'8% nel 1997, secondo gli ultimi dati dell'FBI, e l'orientamento sessuale risulta la terza grande categoria (14%) di "hate crimes" dopo razza e religione. Attualmente questo genere di crimini è contrastato da un mosaico di leggi che offrono ai cittadini vari livelli di protezione a seconda dello stato dove vivono; 21 stati più il Distretto di Columbia hanno una legislazione sugli "hate crimes" che include anche l'orientamento sessuale, altri 21 stati non lo includono e altri 8 stati non hanno nemmeno una legge contro gli "hate crimes". Mentre i media e il mondo politico si sono occupati ampiamente di casi come quello di Shepard, la violenza verso lesbiche, gay e transessuali è molto più comune di quello che si potrebbe pensare. Uno studio reso pubblico nell'agosto del 1998 suggerisce ad esempio che le violenze contro studenti e studentesse omosessuali e transessuali sono molto comuni negli Stati Uniti; secondo lo studio, un quarto degli studenti che ha risposto alle domande ha ammesso di avere molestato verbalmente o fisicamente qualcuno ritenenuto omosessuale. Nell'ottobre del 1998, un sondaggio condotto dalla CNN e dal Time a seguito della morte di Matthew Shepard ha rivelato che il 75% degli americani riteneva che la violenza contro gli omosessuali fosse un problema grave ed il 68% riteneva che potesse accadere un fatto simile nella propria località. Alla conclusione del processo, non resta che constatare che di fronte al caso che ha visto Matthew Shepard diventare suo malgrado un simbolo della richiesta delle organizzazioni per i diritti umani americane per leggi che proteggano gli e le omosessuali da violenze e discriminazioni, restano impuniti e nel silenzio ancora troppi crimini e troppe violenze… anche in Italia, nonostante sia finalmente in discussione una legge che protegga da ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
Cronistoria del caso Matthew Shepard... Di Fabrizio Picciolo
6 ottobre 1998: Matthew Shepard, 21enne gay di Laramie, nel Wyoming, incontra due giovani, Aaron McKinney e Russell Henderson in un bar. I due fingono di essere gay, lo invitano ad uscire con loro, lo conducono in aperta campagna, lo immobilizzano, lo legano ad una staccionata, lo massacrano di botte, lo derubano e lo abbandonano. 7 ottobre: Il corpo agonizzante di Matt è scoperto da un ciclista. 9 ottobre: McKinney e Henderson sono accusati dell’aggressione a Matt. 12 ottobre: Matt muore, senza aver mai ripreso conoscenza, dopo sei giorni di coma. 14 ottobre: Migliaia di veglie funebri in tutti gli Stati Uniti celebrano la memoria di Matt. 19 ottobre: A New York una manifestazione indetta in memoria di Matt e contro l’omofobia alla quale partecipano oltre 4000 persone blocca il traffico. La polizia arresta oltre 100 manifestanti. 2 dicembre: Henderson e McKinney sono giudicati non colpevoli per l’omicidio di Matt. 9 dicembre: le ragazze di Henderson e di McKinney sono giudicate non colpevoli di complicità nell’omicidio di Matt. Due settimane dopo una delle due ritratta le proprie dichiarazioni. 28 dicembre: la pubblica accusa chiede la pena di morte per McKinney e Henderson. I due saranno giudicati separatamente. 30 gennaio 1999: i genitori di Matt, rompendo il silenzio, concedono interviste ai media americani. 2 febbraio: in un intervista a The Advocate, l’attore Nathan Lane dichiara apertamente la propria omosessualità spinto dal caso Matt Shepard. Seguirà nei mesi successivi una serie di coming out di personaggi pubblici. 5 aprile: Henderson viene giudicato colpevole dell’omicidio di Matt e condannato, dopo un accordo tra difesa e accusa, a due ergastoli consecutivi. 11 maggio: Judy Shepard, madre di Matt testimonia davanti al Congresso in favore del federal hate-crimes bill, una legislazione specifica per i crimini motivati da odio, che viene respinta dalla maggioranza Repubblicana. 3 novembre: McKinney viene giudicato colpevole del sequestro, rapina aggravata e omicidio di Matt e condannato, dopo un accordo tra accusa e difesa, a due ergastoli consecutivi, senza possibilità di appello. 4 novembre: Il padre di Matt, Dennis Shepard, pronuncia in aula un discorso in memoria del figlio.
In ricordo di Matt. Il discorso commemorativo del padre al processo, tra “gay panic”, condanna e perdono… Di Fabrizio Picciolo
Ricorre in questi giorni il 3° anniversario dell’omicidio di Matthew Shepard: le modalità e la ferocia di tale aggressione hanno fatto di Matt il martire gay degli anni 2000 negli USA. Il processo ai due assassini, Aaron McKinney e Russell Henderson, si è concluso quasi due anni fa ed è stato giudicato da molti attivisti come il più importante dell’ultimo decennio, una pietra miliare sul cammino della giustizia negli Stati Uniti. Esso ha visto il netto ed esplicito rigetto da parte del giudice Barton Voigt della linea difensiva, assai diffusa in processi del genere, basata sul “gay panic”. Questa consiste nel giustificare l’omicidio in base a due fattori, talvolta concomitanti: 1) l’adescamento subito; 2) l’improvviso e dirompente riaffiorare di passate esperienze di abusi che scatenano odio e violenza. Il giudice Voigt ha ritenuto «inammissibili in base alla legislazione del Wyoming» le dichiarazioni degli avvocati difensori relative tanto ai presunti abusi subiti nell’infanzia da uno dei due giovani, quanto alle altrettanto presunte avances di Matt Shepard nei confronti dei due assassini. Egli ha affermato che «la storia sessuale di McKinney non era pertinente in un caso che risultava essere una premeditata aggressione ad un gay o una rapina malamente camuffata da aggressione ad un gay». A tal proposito il padre di Matt, Dennis Shepard, ha dichiarato nel suo intervento conclusivo al processo ad Aaron McKinney, - una sorta di orazione laica in memoria del figlio - le seguenti parole: «Vostro onore, vorrei ringraziare Lei per la dignità e la delicatezza con le quali questo processo è stato condotto. I ripetuti tentativi di distogliere la corte dal reale scopo di questo processo sono falliti grazie all’attenzione, la sapienza e la volontà di prendere una posizione e creare una nuova legge in merito all’orientamento sessuale e la difesa da “gay panic”. In questo modo Lei ha messo in risalto che Matthew era un essere umano con tutti i diritti, i doveri e le garanzie di qualsiasi altro cittadino del Wyoming». L’omicidio di Matt ha rilanciato negli USA la campagna in favore delle hate-crime laws, leggi che riconoscano e colpiscano i crimini motivati da odio. I genitori di Matt sono diventati i portavoce di questa battaglia di civiltà. Questo il commento di Dennis Shepard dopo il giudizio di colpevolezza di McKinney: «Ieri, voi della giuria avete mostrato al mondo che il Wyoming e la città di Laramie non tollerano i crimini causati dall’odio. Sì, si è trattato di un crimine causato da odio, puro e semplice, con l’aggiunta della rapina. Mio figlio, Matthew, ha pagato il prezzo terribile di aprire gli occhi di tutti noi che viviamo nel Wyoming, negli Stati Uniti e nel mondo, alle lacrime ingiuste e non necessarie, alla discriminazione e all’intolleranza che i membri della comunità gay subiscono ogni giorno. La vostra decisione di ieri rivela limpido coraggio. Siate orgogliosi di ciò che avete compiuto. Voi avete forse impedito che altre famiglie perdano un figlio o una figlia». Il processo ha altresì riaperto il dibattito sulla pena di morte: invocata da alcuni, richiesta dal procuratore Cal Rerucha, osteggiata da molte associazioni LGBT e rifiutata, nei fatti, dai genitori di Matt. I signori Shepard, con un accordo con la difesa prima della pronuncia della sentenza, hanno rifiutato di chiedere la pena di morte in cambio di un chiaro riconoscimento di colpevolezza degli assassini e della impossibilità di riduzione della pena. Queste le parole di Dennis Shepard: «È stata una nostra decisione quella di accettare l’accordo con la difesa oggi e già in precedenza, nel processo contro il signor Henderson. Un processo era necessario per dimostrare che si trattava di un crimine causato dall’odio e non semplicemente di una rapina finita male. Se noi abbiamo sottoscritto il patteggiamento in precedenza, è perché gli elementi di questo processo non erano sufficientemente conosciuti e sarebbe sempre stato presente il dubbio che noi avevamo qualcosa da nascondere. Inoltre, questo processo era necessario per aiutare a dimostrare ai cittadini di Laramie, della contea di Albany e dello Stato, che esistono alcune chiusure. Trovo intollerabile che i preti della Chiesa Cattolica e del Centro Newsman abbiano provato ad influenzare la giuria, lo svolgimento e l’esito di questo processo con il loro attacco e la persecuzione nei confronti del signor Rerucha e della sua famiglia nella sua vita privata, attraverso i loro interventi sui giornali e la loro presenza in aula. Trovo difficile credere che essi parlino a nome di tutti i cattolici. Un conto è parlare da semplici cittadini. Altra cosa è affermare che rappresentano il credo della loro Chiesa. Questo paese è fondato sulla separazione tra Stato e Chiesa. La Chiesa Cattolica ha oltrepassato la linea ed è diventata un gruppo politico con un proprio programma. Se così stanno le cose, trattiamoli come un gruppo politico ed eliminiamo i privilegi che godono in qualità di organizzazione religiosa. Matt è divenuto un simbolo, alcuni dicono un martire, il ragazzo-dalla-porta-accanto contro i crimini motivati dall’odio. Mi sta bene. Matt sarebbe contento se la sua morte fosse di aiuto ad altri. Per quanto riguarda Lei, il Suo patteggiamento lo ha tolto dai riflettori e dall’occhio dell’opinione pubblica. Ciò significa che non ci saranno processi d’appello, nessuna possibilità di uscire dal carcere per cavilli legali, né di giudizi più clementi ad opera di giurie accondiscendenti. Soprattutto Lei non diventerà un simbolo. Nessuna pubblicità, nessuno sconto di pena, niente di niente, soltanto un miserabile futuro e una ancor più miserabile fine. Questo è ciò che voglio». Infine alcune parole sul figlio: «Il dono di Matt erano le persone. Amava essere tra la gente, aiutare le persone e renderle felici. La speranza in un mondo migliore, senza l’ingiuria e la discriminazione nei confronti della diversità, era la sua molla. Per tutta la sua vita ha provato la fitta della discriminazione. Per questo era sensibile ai sentimenti delle persone. Era così ingenuo che, nonostante il male che alcune persone gli procuravano, aveva ancora fede che potessero cambiare e diventare “carine”. Matt aveva fiducia nel prossimo, forse troppa (…). Matt amava le persone e aveva fiducia in loro. Non riusciva a capire come una persona potesse attaccarne un’altra, verbalmente o fisicamente. Se lo attaccavano, concedeva loro un’altra chance. Questa sua qualità di vedere sempre il buono gli ha permesso di avere molti amici nel mondo. Non era interessato all’aspetto, razza, intelligenza, sesso, religione o alle centinaia di altre cose che la gente usa per scegliere altra gente. Ciò che vedeva era la persona. Ciò che voleva era diventare amico di una persona. Ciò che voleva era rendere felice una persona. Ciò che voleva era farsi accettare come qualsiasi altro (…). Amavo mio figlio e, come si evince da questo discorso, ero orgoglioso di lui. Non era il mio figlio omosessuale. Era il mio figlio al quale è capitato di essere omosessuale. Ogni volta che lui aveva dei problemi, ne parlavamo insieme. Ad esempio, non sapeva se rivelarmi la sua omosessualità. Aveva paura che io l’avrei respinto immediatamente e così si prese del tempo prima di dirmelo. Ma durante quel tempo, sua madre e suo fratello me l’avevano già detto. Un giorno, mi disse che aveva qualcosa da rivelarmi. Vedevo che era nervoso, così gli chiesi se tutto andasse bene. Matt respirò profondamente e mi disse di essere gay. Poi aspettò la mia reazione. Ancora ricordo il suo stupore quando gli dissi: “Davvero? Ok, ma qual è il punto della conversazione?”. Da allora ogni cosa andò a posto. Tornammo ad essere un padre e un figlio che si amano l’un l’altro e rispettano le reciproche convinzioni. Eravamo padre e figlio, ma eravamo anche amici. Mio figlio aveva l’abitudine di analizzare tutti gli aspetti di un problema prima di assumere una decisione o prendere una posizione. Lo ha imparato presto, fin da quando ha contribuito alle campagne per diversi candidati politici dai tempi delle superiori. Quando prendeva posizione lo faceva in base ai suoi migliori convincimenti. Una cosa del genere è successa quando ha serenamente consentito che gli altri sapessero che era gay. Non lo pubblicizzò, ma non tornò indietro dal suo proposito. Per questo io sarò sempre orgoglioso di lui. Mi ha mostrato di essere molto più coraggioso di molta gente, me compreso. Matt era consapevole che vi erano dei pericoli a dichiararsi gay, ma ha accettato ciò e ha continuato semplicemente a vivere la sua vita e la sua ambizione di aiutare gli altri. Come posso esprimere la sensazione di perdita che provo ogni volta che penso a Matt? Come posso descrivere la voragine nel mio cuore e nella mente quando penso ai problemi che Matt ha affrontato lungo il suo cammino e che ha superato? Nessuno può capire il sentimento di orgoglio e soddisfazione che io ho provato ogni volta che lui raggiungeva la cima di ogni ostacolo. Nessuno, incluso me, conoscerà mai la frustrazione e la sofferenza che alcuni gli hanno inferto a causa della sua diversità. Quante persone hanno dovuto affrontare le difficoltà con le quali Matt ha dovuto scontrarsi e che poi ha superato? Quante persone continuerebbero a sorridere, quanto meno esteriormente, mentre dentro piangono, per preservare gli altri dal sentirsi infelici? Adesso mi ritengo fortunato per aver trascorso un po’ di tempo con Matt la scorsa estate durante le mie vacanze, di ritorno dall’Arabia Saudita. Ci sedemmo e parlammo. Dissi a Matt che lui era il mio eroe e che era l’uomo più forte che avessi mai conosciuto. Quando gli dissi che mi inchinavo davanti a lui, alla sua capacità di continuare a sorridere e mantenere un atteggiamento positivo durante tutte le difficoltà che aveva dovuto attraversare, lui si mise semplicemente a ridere. Gli dissi anche quanto ero orgoglioso dei traguardi che aveva raggiunto e che si apprestava a raggiungere. L’ultima cosa che ho detto a Matt era che l’amavo e lui mi rispose che mi amava. Fu l’ultima conversazione intima che ebbi con lui. Matt è deceduto ufficialmente alle 12.53 di lunedì 12 ottobre 1998 in un ospedale di Fort Collins, in Colorado. Egli in realtà è morto nei sobborghi di Laramie, legato ad un recinto contro il quale il mercoledì precedente lei lo aveva picchiato. Lei, signor McKinney, e il suo amico, signor Henderson, avete assassinato mio figlio. Al termine dell’aggressione, il suo corpo ha provato a sopravvivere. Lei lo ha lasciato lì abbandonato a se stesso, ma lui non era solo. C’erano con lui i suoi vecchi amici, amici con i quali era cresciuto. Lei probabilmente si sta chiedendo quali fossero i suoi amici. Innanzitutto, c’era la bellissima notte stellata con le stesse stelle e la luna che egli era solito osservare con il telescopio. Poi c’era la luce del giorno e il sole che splendeva su di lui ancora una volta, ancora una volta in una fresca, meravigliosa giornata d’autunno nel Wyoming. La sua ultima giornata di vita nel Wyoming. La sua ultima giornata di vita nello stato che sempre con orgoglio chiamava casa. E attraverso tutto questo, egli stava respirando, per l’ultima volta, l’odore della salvia del Wyoming e il profumo dei pini dello Snowy Range. Stava ascoltando il vento, l’onnipresente vento del Wyoming, per l’ultima volta. Aveva vicino a sé un altro amico. Uno che lo ha cresciuto e accompagnato nel suoi giorni alla Sunday School e nelle sue visite al S. Matthew a Laramie. Egli aveva vicino a sé Dio. Mi sento meglio, sapendo che non era solo in quei momenti (…). L’aggressione, l’agonia in ospedale e il funerale di Matt hanno focalizzato l’attenzione del mondo sull’odio. Il bene viene fuori dal male. La gente ha detto: “Quando è troppo, è troppo”. Lei ha aperto gli occhi alle persone, signor McKinney. Lei ha permesso al mondo intero di comprendere che lo stile di vita di una persona non è una giustificazione per la discriminazione, l’intolleranza, la persecuzione, la violenza. Non siamo negli anni ‘20, ‘30 o ‘40 della Germania nazista. Mio figlio è morto a causa della sua ignoranza e intolleranza. Non posso farlo tornare indietro. Ma posso fare del mio meglio affinché questo non accada ad un’altra persona o ad un’altra famiglia, mai più. Come ho già detto, mio figlio è diventato un simbolo, un simbolo contro l’odio e la gente come lei; un simbolo del rispetto dell’individualità, della diversità, della tolleranza. Mio figlio mi manca, ma sono fiero di dire che mio figlio rappresenta tutto questo. Signor McKinney, un ultimo commento prima che mi rimetta seduto e questa è la ragione perché io sono qui davanti a lei in questo momento. In nessun istante, da quando Matt è stato trovato legato e portato in ospedale, mia moglie ed io abbiamo pronunciato nulla in relazione ai nostri convincimenti sulla pena di morte. Sentivamo che poteva essere un eccessivo condizionamento sui possibili giurati. Judy è stata indicata da alcuni gruppi come contraria alla pena di morte. È stato detto che Matt era contro la pena di morte. Entrambe le affermazioni sono errate. Noi abbiamo avuto diverse discussioni in famiglia e abbiamo parlato della pena di morte. Per esempio, mio figlio ed io abbiamo discusso dell’orribile morte di James Byrd Jr. a Jasper, nel Texas. Era suo convincimento che la pena di morte sarebbe dovuta essere comminata e che nessun tentativo dovesse essere tralasciato per assicurare i responsabili di quell’omicidio alla giustizia. La stessa cosa si ripete ora. Io anche credo nella pena di morte. Non desidero altro che vederla morire, signor McKinney. Comunque, questo è il tempo di mostrare pietà per qualcuno che si rifiuta di mostrare alcuna pietà. Signor McKinney non lo faccio per la sua famiglia. Non lo faccio per le pressioni della comunità religiosa. C’è qualcosa di più forte del mio desiderio di vederla morire. Signor McKinney, mi accingo a salvarle la vita, e non sa quanto mi costa, a causa di Matt. Ogni volta che lei celebra il Natale, il compleanno o il 4 Luglio, ricordi che Matt non c’è. Ogni volta che lei si alza al mattino nella cella, ricordi che lei ha l’opportunità e la facoltà di terminare le sue azioni quella sera. Ogni volta che lei vede il suo compagno di cella, ricordi che lei ha avuto la possibilità di scelta e che adesso lei sta vivendo la scelta fatta. Lei mi ha sottratto qualcosa di veramente prezioso e io non la perdonerò mai. Signor McKinney, le do la facoltà di vivere in memoria di uno che non vive più. Possa lei avere una lunga vita e per questo ringraziare Matt ogni giorno». |
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