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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

I soldi degli italiani sono utilizzati per finalità diverse da quelle previste dalla legge

Fonte: unimondo.oneworld.net - 7 Settembre 2005

 

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«Ormai da anni i fondi dell’8 per 1000 gestiti direttamente dallo Stato (destinati annualmente dai contribuenti allo Stato all’atto della dichiarazione dei redditi) vengono utilizzati per gli scopi più disparati, e tra questi il finanziamento delle missioni militari all’estero. Nel 2004 si è arrivati ad una situazione che ha dell’incredibile: ben 80 dei poco più dei 100 milioni di euro destinati allo Stato dai contribuenti sono stati stornati per finanziare le missioni militari italiane e in particolare quella in Iraq, che pesa per oltre il 50% sui costi di tutte le missioni militari italiane». È quanto afferma Giulio Marcon, portavoce della Campagna Sbilanciamoci sostenuta dalla società civile italiana. Nonostante la legge 222 del 1985 (che istituisce il fondo 8 x 1000) affermi che le somme destinate allo Stato, devono essere utilizzate “per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei beni culturali” (art. 48) attualmente agli interventi per la fame nel mondo vengono destinate lo 0,9% delle risorse, ai rifugiati lo 0,6%, ai beni culturali il 13,8%, alle calamità naturali il 5,0%, mentre ben il 79.6% va alle missioni e alle spese militari. «Si tratta di una violazione di sostanza e di merito della legge 222» - nota Marcon. «I soldi degli italiani sono utilizzati per finalità diverse da quelle previste dalla legge: la volontà dei contribuenti non è rispettata ed è palesemente ingannata.» - continua Marcon - «Il trucco contabile utilizzato dal Governo e dal Parlamento è quello di ridurre, in ogni legge finanziaria, il fondo 8 per mille, stornandone una parte per esigenze di finanza pubblica. In questo caso lo storno è stato di 80 milioni per le missioni militari, che non si sarebbero potute finanziare seguendo la lettera della legge 222/85». In particolare, il finanziamento della missione in Iraq “Antica Babilonia” supera di gran lunga gli 80 milioni di euro l’anno da 8 per mille. Dai dati messi a disposizione dalla Camera dei Deputati e pubblicati ieri dal Sole 24 ore, risulta che da quando (all’inizio dell’estate 2003) è stato dato il via ai nostri militari a Nassirya e dintorni, è stato speso un totale di 1,3 miliardi di euro, oltre 2.500 miliardi di vecchie lire, una cifra che è quasi il triplo di quanto viene erogato annualmente dallo Stato alla cooperazione internazionale. Dalle relazioni tecniche della Ragioneria generale dello Stato sui cinque decreti che hanno finanziato sinora “Antica Babilonia” (in media uno ogni sei mesi), emerge che solo 90 milioni di euro sul totale complessivo di 1,3 miliardi di euro è destinato a interventi umanitari e di ricostruzione. I restanti 1,21 miliardi di euro finanziano operazioni militari. Il costo giornaliero per l’utilizzo di uno dei nostri elicotteri Mangusta, è stato stimato dalla Ragioneria generale dello Stato in 27mila euro, mentre per pagare i nostri 3252 soldati, nella seconda metà del 2005 occorreranno 118,5 milioni di euro, ovvero 236 miliardi delle vecchie lire. La campagna Sbilanciamoci! «denuncia questa operazione che fa aumentare ancora di più le spese militari in Italia, cresciute di oltre il 10% negli ultimi tre anni, e che finanzia un intervento militare, come quello in Iraq, che non ha niente di umanitario e di pace, ma che sostiene una logica di guerra e di occupazione militare contraria al diritto e alla legalità internazionale». La campagna Sbilanciamoci! condurrà una ferma iniziativa anche in occasione della discussione della prossima legge finanziaria per impedire nuovamente lo storno dei fondi 8 x 1000.

 

Sconti su bollette e trasporti, contributi in denaro contante per centinaia di milioni. Da La Maddalena ad Aviano la mappa delle servitù salatissime

Di Marco Mostallino, Giornale di Sardegna - 13 Ottobre 2005

 

Il caso. Il 37 per cento delle spese militari «di stazionamento» è a carico del governo italiano.

Le nostre tasse per le basi degli Usa pagati ogni anno centinaia di milioni.

Lo Stato italiano paga ogni anno il trentasette per cento dei costi delle basi (Aviano, La Maddalena, Sigonella e altre) e dellele truppe americane di stanza nel nostro paese: risulta dai documenti ufficiali di bilancio delle forze armate Usa, del Dipartimento della difesa e del Congresso (il Parlamento) degli Stati Uniti. Nel 1999 il tributo versato da Roma a Washington è stato pari a 530 milioni di dollari (circa 480 milioni di euro), mentre nel 2002 i contribuenti italiani hanno partecipato alle spese militari americane per un ammontare di 326 milioni di dollari. Tre milioni sono stati dati in denaro liquido, il resto sotto forma di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite che riguardano trasporti, tariffe e servizi ai soldati e alle famiglie. La maggior parte dei pagamenti, si legge nelle carte ufficiali del Governo di Washington, nascono da «accordi bilaterali» («bilateral agreements» nei testi originali) tra Italia e Stati Uniti, il resto viene dalla divisione delle spese in ambito Nato. Il metodo di prelievo si chiama «burden-sharing» («condivisione del peso») ed è illustrato nel "Nato Burdensharing After Enlargment" pubblicato nell'agosto 2001 dal Congressional Budget Office (Ufficio per il bilancio) del Congresso. Vi si legge (capitolo III, pagina 27) che i comandi militari Usa stimano che grazie a questi accordi soltanto per le opere e i servizi nella base di Aviano «i contribuenti - (taxpayers) - americani hanno risparmiato circa 190 milioni di dollari». Quanto all'impegno complessivo del nostro fisco verso gli Usa, il documento chiave è il Report on Allied Contributions to the Common Defense (rapporto sui contributi degli alleati alla difesa comune), consegnato nel marzo 2001 dal Segretario alla difesa (il ministro) al Congresso degli Stati Uniti. Alla pagina 6 della sezione I si legge quanto segue: «Italia e Germania pagano, rispettivamente, il 37 (l'Italia) e il 27 per cento dei costi di stazionamento di queste forze (le forze armate Usa, ndr)». Nel rapporto "Defense Infrastructure" consegnato nel luglio 2004 al Congresso da parte dell'Ufficio governativo per la trasparenza, a pagina 18 si legge che «diversi Paesi europei forniscono vari tipi di sostegno da parte delle nazioni ospitanti. Per esempio, nel bilancio 2001, Germania e Italia hanno dato i maggiori contributi, valutati rispettivamente in 862 e in 324 milioni di dollari». Si tratta, spiega il rapporto, di contributi diretti e indiretti «aggiuntivi rispetto a quelli della Nato».

Intesa bilaterale. In caso di dismissioni di basi Roma deve risarcire Washington per «l'investimento».

Il sito militare chiude? C'è anche l'indennizzo.

I pagamenti di denaro italiano agli Stati Uniti non finiranno nemmeno nel caso - ipotetico, visto che La Maddalena si rafforza - di chiusura di basi e installazioni nel nostro Paese. Nei patti siglati dai governi di Roma e Washington esiste infatti una clausola chiamata "Returned Property - Residual Value", anch'essa documentata negli atti ufficiali del Congresso americano. Il meccanismo - tutt'ora in vigore e confermato da carte di quest'anno - è ben illustrato nella testimonianza che il colonnello Dean Fox, capo del Genio dell'Aviazione Usa in Europa, rilasciò ai parlamentari degli Stati Uniti l'8 aprile del 1997. «Il ritiro (delle truppe, ndr) e la conseguente restituzione di alcune ex basi degli Stati Uniti alle nazioni ospitanti ha creato l'opportunità per gli Stati Uniti di reclamare il valore residuale come risarcimento degli investimenti statunitensi». È un diritto al pagamento delle "migliorie" apportate dalle forze armate Usa a territori che avrebbero avuto prima un valore inferiore. Gli accordi variano. Quelli con l'Italia sono descritti alla pagina 17 delle "osservazioni preliminari" del rapporto che l'Ufficio della Casa Bianca per la trasparenza (il Goa) ha consegnato al Congresso nel luglio del 2004: «Italia: gli accordi bilaterali stabiliscono che se il Governo italiano riutilizza le proprietà restituite entro tre anni (dalla restituzione, ndr), gli Stati Uniti possono riaprire le trattative per il valore residuale». Ciò comporta, oltre al pagamento dell'indennizzo, un vincolo per il riuso delle terre, perché in questo caso il rimborso aumenta. È vero che le intese prevedono anche che gli Usa paghino alla nazione ospitante i danni ambientali: ma in un rapporto della Commissione governativa per le basi militari all'estero (9 maggio 2005) si legge che finora questi costi sono risultati «limitati».

 

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