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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Quando e quanto influisce l’ambiente familiare

Di Cecilia Dolcetti Pasotto (psicologa) - “Il Mattino di Padova", 13 Aprile 2004

 

Il movimento gay ha portato alla ribalta l’omosessualità la cui legittimazione sociale viene rivendicata con orgoglio. Non più repressa dalla vergogna, dalla paura, dalla finzione, l’omosessualità si è così rivelata una tendenza molto più diffusa di quanto non si credesse in passato. Nonostante i cambiamenti in atto, la scoperta della propria inclinazione omosessuale continua a suscitare nell’adolescente angosce e paure che hanno radici profonde nell’inconscio.

E’ per questo motivo che molti gay preferiscono sostenere la tesi dell’origine genetica della loro inclinazione: “Omosessuali si nasce, non si diventa” dimenticando quanto coraggio e quanta sofferenza richieda quasi sempre questa scelta. In realtà le radici dell’omosessualità non sono mai state dimostrate con certezza e la provenienza biologica continua a rimanere un’ipotesi che a molti appare più tranquillizzante: “Se la causa è genetica non è colpa di nessuno”. Le origini dell’omosessualità sono da ricercare non solo in una predisposizione fisiologica o costituzionale, ma anche e soprattutto nell’ambiente familiare, nella storia personale nelle relazioni affettive che contribuiscono a formare l’identità sessuale dell’individuo. L’omosessualità non è un destino già scritto nel DNA di una persona ma rappresenta un’inclinazione che si manifesta in un ambiente favorevole allo svilupparsi di tale tendenza. Nel passato di molti omosessuali si trova frequentemente un’infanzia dominata da una madre autoritaria che lascia poco spazio al padre sia sulla scena familiare, sia nella mente e nel cuore del figlio. Alla figura materna imperante fa riscontro un padre sottomesso, passivo svalorizzato dalla moglie e spesso umiliato di fronte ai figli. Questa inversione dei ruoli maschera spesso un altro problema: la difficoltà della madre di separarsi dal figlio, favorendo quel processo naturale di graduale distacco che è il motore della crescita di ogni bambino. Spesso è proprio questa mancata separazione più ancora delle differenze di carattere e di comportamento tra i genitori, ad impedire al figlio di avvicinarsi al padre. Viene così a mancare quel triangolo ideale: padre, madre e figlio che segna un punto cruciale nello sviluppo infantile e che apre la strada alla sessualità così come il bambino comincia ad immaginarla evocando dentro di se il legame che unisce i genitori. Un rapporto disarmonico tra il padre e la madre fomenta nel figlio ansie e paure così intense da contrastare, durante l’adolescenza, il richiamo verso il sesso opposto e, qualche volta, induce i giovani a rivolgersi verso il proprio stesso sesso evitando così la diffidenza che questo incontro può suscitare. La tendenza omosessuale durante la prima adolescenza non rappresenta una scelta definitiva. Proprio perché questa è un’età in transizione, anche l’inclinazione omosessuale, in molti casi, è un’esperienza transitoria, un rito di passaggio nella ricerca della propria identità sessuale molto frequente soprattutto tra i maschi dai 12 ai 15 anni, quando le esperienze omosessuali non sono vissute ancora come una relazione d’amore, ma come un gioco, un esperimento che favorisce la scoperta della propria sessualità attraverso il confronto con chi è più simile e che non esclude l’interesse per l’altro sesso. Ma se l’adolescente cade nella trappola della pedofilia, accettando rapporti con un ragazzo più grande o con un adulto, non si tratta più di un gioco erotico, ma di un abuso che ha spesso conseguenze ed effetti traumatici difficili da superare e che possono accentuare nell’adolescente, insieme ai sensi di colpa e di vergogna, anche l’inclinazione omosessuale come se la violenza subita lo avesse marchiato a vita.

 

Lo psicologo Rigliano risponde alla collega Pasotto: «Mi rattrista constatare come vengano ancora spacciate come scientifiche vecchie elucubrazioni»

Di Paolo Rigliano (psichiatra, psicoterapeuta sessuologo) – “Il Mattino di Padova”, 17 Aprile 2004

 

Ho letto con sbigottito stupore l’intervento di Cecilia Dolcetti Pasotto, psicologa, «Le radici dell’omosessualità. Quando e quanto influisce l’ambiente familiare», pubblicato sul mattino il 13 aprile.

Come autore di una ricerca pubblicata nel 2001 da Feltrinelli, «Amori senza scandalo. Cosa vuol dire essere lesbica e gay», mi rattrista grandemente constatare come vengano ancora spacciate per certezze scientifiche elucubrazioni assai vecchie, frutto di ignoranza e sempre smentite da tutte le ricerche scientifiche, in un guazzabuglio di mistificazioni allusive e infondate. In specifico: moltissimi giovani lesbiche e gay, sempre di più, vivono con gioiosa serenità la consapevolezza del loro desiderio amoroso, esattamente come i coetanei eterosessuali.

Le paure sono il frutto della violenza sociale, istigata da presunti esperti gravemente privi di ogni capacità critica; la tesi «dell’origine genetica dell’inclinazione omosessuale» è sostenuta, a partire dalla seconda metà dell’ottocento, da molti ricercatori ed eterosessuali - e certamente anche da gay - ed è stata sempre smentita; è falso che essa serva solo a giustificare l’omosessualità: come tutte le presunte spiegazioni, può servire a condannare e a giustificare, come dimostra una conoscenza anche minima della storie delle ricerche. L’articolo della dottoressa Dolcetti Pasotto, però, è lesivo di ogni cautela scientifica e rispetto umano soprattutto dove ella si diffonde in una descrizione fantasiosa e caricaturale dell’ambiente familiare in cui tutti i gay e le lesbiche sarebbero stati allevati. In nome di una competenza del tutto assente, senza un dato e una prova, senza citare un autore o una ricerca, la dottoressa esercita un vero e proprio terrorismo psicologico, imputando a genitori la loro morbosa alterazione educativa e relazionale. In realtà, l’unica cosa che riesce a dimostrare è di essere del tutto ignara delle ricerche compiute negli ultimi quarant’anni, dell’autocritica severissima che, quasi tutti gli psicanalisti hanno fatto delle autentiche sciocchezze diffuse contro le persone lesbiche e gay.

E’ bene specificare che: tutte le ricerche biologiche, psichiatriche e sessuologiche hanno dimostrato la piena normalità delle persone omosessuali e delle loro famiglie d’origine, sempre assolutamente varie e differenti, come quelle delle persone eterosessuali; il desiderio amoroso e erotico gay, esattamente come quello eterosessuale, non si può scegliere affatto: essere lesbica e gay significa aver autosviluppato una struttura affettiva del rapporto io-altro che attraversa tutti i piani dell’esistenza. Tale costruzione interiore non viene determinata meccanicamente da alcunché, ma si forma assai precocemente, a partire dai significati che il bambino attribuisce a sé in rapporto con l’altro e in base alle emozioni positive provate con le figure significative. Il processo di costituzione psicologica e relazionale dell’affetto omosessuale è uguale a quello eterosessuale: non c’è una norma eterosessuale obbligata e naturale, di cui l’omosessualità sarebbe devianza o scarto. C’è invece una gamma di possibilità, tra cui l’affetto omosessuale. Questa affettività nulla ha a che fare - in tutte le culture e civiltà - con la pedofilia e la violenza: getta vergogna sull’autrice dell’articolo l’affermazione che c’è un legame tra l’amore lesbico e gay e la violenza di cui i giovani sarebbero vittime: un dato del tutto infondato, che sottolinea la volontà persecutoria e antiscientifica della dottoressa Dolcetti Casotto. Il suo intervento, così, si rivela un formidabile concentrato di tutti i pregiudizi e le violenze, psicologiche prima ancora che sociali, contro giovani lesbiche e gay. Che oggi, però, hanno la possibilità, oltre che la necessità, di lottare per affermare la bellezza e l’integrale positività dell’amore omosessuale.

 

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