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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Di Andrea Grosselli - “L'Adige”, 1° Agosto 2006

 

Da l’articolo “Paura tra i viados dopo l’omicidio di Lupe” di A. Gro. sulla stessa testata…

(…) la clientela trentina è distinta e a modo. «Pagano e fanno solo quello che si pattuisce insieme» racconta una ragazza colombiana che fa la vita proprio nella scala accanto a quella dove viveva Lupe. «Gli stranieri invece sono pericolosi. Marocchini, tunisini e slavi non si accontentano mai, chiedono nuove prestazioni sempre gratis. E se non fai come dicono loro, diventano furiosi».

 

Sono pochi i transessuali e le prostitute colombiani desiderosi di confessare un qualche legame con Juan Carlos Charria, detta anche Lupe o Lupita, il transessuale ucciso a coltellate nelle prime ore di sabato. Ammettono tutti di averlo visto più volte alla discoteca Havana a Canova, luogo di ritrovo per la colonia di caraibici e sudamericani in città. Ma nella comunità colombiana c'è una sorta di omertà e tutti si trincerano dietro un timido no comment o confessano una conoscenza solo superficiale. «Ci salutavamo quando ci si vedeva per strada o in città - dicono i più - ma ognuno stava per conto proprio.» C'è però qualcuno che ha voglia di raccontare e che ci aiuta a fare luce sulla personalità di Lupe e sulle sue ultime ore di vita. È un giovane colombiano che chiameremo Felipe, un nome di fantasia, per non comprometterne l'anonimato. Perché Felipe è un transessuale che si prostituisce in un appartamento del centro di Trento, ma di giorno ha un lavoro normale. Questo ragazzo dalla doppia vita ha casa in un paese a nord del capoluogo ed è in Trentino da quasi otto anni. Felipe incontrava Lupe non solo all'Havana. Si frequentavano anche in altri momenti. Sebbene non si consideri un amico vero e proprio di Juan Carlos Charria, nelle ultime settimane hanno passato qualche serata insieme. «Ho chiacchierato con Juan Carlos sabato scorso. Dopo essere stati all'Havana, siamo andati da un'amica. Lui era insieme a due ragazzi italiani. Uno lo conoscevo. Quando Juan Carlos-Lupe se n'è accorto mi ha chiesto se, secondo me, il ragazzo aveva capito che lui non era una donna.» Sì, perché Lupe molto spesso nascondeva ai clienti la sua vera identità maschile. Voleva passare per una donna in tutto e per tutto. E questo a volte faceva indispettire i clienti, traditi dalle sue sembianze femminili. La vita del colombiano era molto legata a Roma. «Mi raccontava della capitale - confida Felipe - e diceva che a Roma c'è da divertirsi, che ci sono tanti bei ragazzi rumeni e slavi.» E qui emerge un altro lato della personalità di Lupita, le sue inclinazioni sessuali fortemente trasgressive. Gli piaceva fare sesso con ragazzi giovani e soprattutto non rifiutava gli stranieri, come invece fanno molte sue connazionali. Nonostante questo Lupe era molto sospettoso. «Portava sempre nella borsetta - racconta Felipe - uno spray urticante per allontanare i malintenzionati. Mi voleva convincere a comprarlo.» Forse in passato aveva subito qualche violenza e dello spray non si liberava mai. Eppure l'incapacità di porre dei limiti al suo desiderio di piacere potrebbe esserle stato fatale. Trento in realtà non è conosciuta come una piazza particolarmente pericolosa per le prostitute e neppure la comunità degli stranieri si è mai macchiata di delitti efferati. Ma Felipe non è completamente d'accordo. «Ci sono molti balordi in giro e non si limitano a insultarti al telefono. L'altra sera è stato nel mio appartamento un uomo che si spacciava per un poliziotto. Voleva fare sesso gratis. Gli ho sbattuto la porta in faccia.» Felipe può raccontare anche gli ultimi minuti di vita di Lupe. La sera dell'omicidio Felipe era a cena in un locale di Rovereto in compagnia di tre amici. Del gruppo faceva parte anche una ragazza colombiana che si prostituisce proprio al residence «al Parco». Tutti e quattro frequentavano Lupita nelle serate alla discoteca Havana. Al ritorno da Rovereto, intorno a mezzanotte e mezzo, in macchina hanno incrociato Lupe che su via Bolzano adescava i clienti. Poi si sono fermati al condominio «al Parco» e proprio lì in strada Felipe ha incontrato Michele Abate, il custode dello stabile. «Era nervoso e arrabbiato - racconta. - Gli ho chiesto con chi ce l'avesse e mi ha detto che non era arrabbiato con me. Forse quella sera c'era stato molto via vai e qualcuno si era lamentato.» Felipe conosce bene Abate perché qualche tempo fa gli aveva chiesto di poter affittare un appartamento per accogliere i suoi clienti. Ma Abate era stato inflessibile: niente prostituzione nel palazzo. Eppure sono molte le donne, soprattutto colombiane, che si vendono favori sessuali nel condominio. Una volta lasciato il residence Felipe è tornato a casa. Forse è stato uno degli ultimi a vedere in vita la povera Lupe. Ma la Polizia per ora non lo ha cercato. Solo due colombiane che vivono alla residenza «al Parco» sono state sentite in Questura. Sul movente e il possibile assassinio Felipe non fa alcuna ipotesi.«Voglio solo che lo prendano.»

 

Il viado era sieropositivo? Trovate medicine anti Aids

Di S. D. - “Alto Adige”, 2 Agosto 2006

 

Quello di via Bolzano è un omicidio ancora senza un preciso movente. Sullo sfondo non ci sono soldi, non ci sono laceranti passioni, non c'è neppure di mezzo la criminalità.

Perché allora un tranquillo operaio di 19 anni, che mai aveva avuto problemi con la giustizia, dovrebbe uccidere in modo premeditato un viado colombiano?

La risposta a questa domanda è celata nella mente, forse disturbata, di Engjell Ndreca. Ma per capire qualcosa in più di questo delitto occorre calarsi per un attimo nella mentalità albanese per la quale avere un rapporto omosessuale è motivo di enorme vergogna.

Ancor più, forse, se la relazione è con un transessuale malato di Aids.

Pur avendo fatto ampie ammissioni davanti agli investigatori della Squadra Mobile, Ndreca fatica a parlare del movente. In un primo momento ai poliziotti ha detto di aver avuto rapporti sessuali con Juan Carlos Charria detto Lupe. Poi però si è corretto sostenendo che tra loro non c'erano mai stati contatti di natura sessuale.

È un aspetto che le indagini dovrebbero chiarire nei prossimi giorni. Non a caso gli inquirenti su questo si mostrano molto cauti: «I due si frequentavano», ha detto il pm Alessia Silvi precisando però che «sul movente sono ancora in corso indagini».

E forse questo è anche l'unico elemento importante che deve ancora essere sviscerato. Quanto alla responsabilità penale di Ndreca, infatti, gli inquirenti sembrano nutrire pochi dubbi: «A suo carico - ha detto il procuratore capo Stefano Dragone, particolarmente soddisfatto perché l'ufficio insieme alla polizia ha risolto in caso in meno di 48 ore - esistono riscontri obiettivi inconfutabili». Certo rimane la strana amicizia tra un diciannovenne albanese che tutti descrivono come «un tipo senza grilli per la testa», e un transessuale colombiano gentile e simpatico, ma forse anche segnato dalla malattia.

Il fisico di Lupe era minato non solo dalle iniezioni di silicone nei glutei che gli stavano dando problemi alle gambe. Lupe doveva affrontare guai ancor peggiori.

L'ombra dell'Aids incombeva su questo giovane di 29 anni segnato dalla vita. In procura dicono che sulla sieropositività non ci sono certezze finché non saranno depositati i risultati dell'autopsia. Ma certo in questo senso depongono i medicinali trovati a casa del viado: si tratta di preparati utilizzati nel trattamento dell'Hiv.

C'è da chiedersi se Ndreca sapesse della malattia, dei rischi di infezione in caso di rapporti sessuali. Non lo sappiamo. Forse sarà una delle domande che saranno poste oggi all'indagato. Sappiamo invece che i due si conoscevano dall'estate scorsa.

Poi Lupe se ne era andato a Roma, ma quando un paio di settimane fa era tornato a Trento i due si erano visti di nuovo. Forse il viado aveva minacciato il ragazzo di raccontare in giro dei suoi rapporti omosessuali. Forse Ndreca aveva fatto tutto da solo montando nella sua testa un forte rancore verso quell'uomo che si atteggiava a donna. Una miscela di amore e odio che potrebbe aver innescato l'omicidio.

 

Interrogatorio fiume ieri mattina in carcere. L'immigrato racconta: «Mi ha detto che eravamo legati perché aveva il sangue malato»

L'operaio confessa: «Volevo troncare». Lo spettro del contagio dietro al delitto TRENTO

Di Dafne Roat – “Corriere Alto Adige”, 2 Agosto 2006

 

«Siamo legati, perché ho il sangue malato». Così avrebbe detto Lupe guardando negli occhi il giovane muratore nella piccola stanza da letto del miniappartamento di Canova, qualche attimo prima del delitto. Pochi minuti, lo smarrimento e poi la furia omicida. «Ho preso il coltello e l'ho picchiato tre volte». Lo aveva contagiato e quindi doveva morire: questa sarebbe stata la miccia che avrebbe scatenato la ferocia del diciannovenne.

Lo ha raccontato lui stesso ieri mattina davanti al giudice Adilardi, agli uomini della squadra mobile e alla pm Alessia Silvi.

L'INTERROGATORIO - Ndreca Enjgell, muratore di Aldeno, il presunto assassino del trans, Juan Carlos Charria, 29 anni, ucciso venerdì notte a Gardolo, ha confessato.

Quasi tre ore d'interrogatorio, faccia a faccia con gli inquirenti, Ndreca ha raccontato tutto. Le telefonate, il desiderio di interrompere la relazione e poi la paura dell'aids. «Il sangue malato . Parole che sarebbero rimbombate nella sua mente, forse disturbata, come una condanna. Ndreca, con al fianco il suo avvocato Francesco Moser, ha fornito un racconto per certi aspetti un po' fumoso che non sembra convincere del tutto gli inquirenti. Ha raccontato la follia omicida, di aver preso il coltello nella casa della vittima e di aver ucciso il trans forse in un moto di rabbia.

Aspetti che, se verranno confermati, potrebbero alleggerire la posizione del ragazzo; la procura gli ha contestato le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi.

L'avvocato Moser parla di un raptus. Il trans avrebbe insinuato il sospetto del contagio che avrebbe scatenato il gesto folle. Un amore impossibile, un senso di omofobia del giovane, da un lato la trasgressione, dall'altra il senso di colpa, la vergogna e lo spettro dell'aids: tutto questo si celerebbe dietro al feroce delitto.

I DUBBI DEGLI INQUIRENTI - Il muratore ha raccontato di essere entrato nell'appartamento del trans poco dopo l'una di notte avrebbe atteso nella stanza da letto, che l'amico finisse di lavorare (il viado incontrava i clienti nel piccolo soggiorno sul divano), poi ci sarebbe stato un rapporto sessuale e dopo di questo il giovane avrebbe deciso di troncare e sarebbe scoppiato il litigio. Ma il viado voleva qualcosa di più, si era forse invaghito del diciannovenne e così quando il giovane ha tentato di troncare, il trans gli avrebbe parlato dell'aids. Una provocazione, forse, ma non nella mente dell'operaio. Il ragazzo sarebbe andato in bagno, poi avrebbe preso il coltello e colpito Juan Carlos, che si era assopito sul letto. Ndreca avrebbe poi lavato il coltello e sarebbe tornato a casa in taxi. Una versione che non convince gli inquirenti, a partire dal particolare del guanto da manovale trovato nell'appartamento della vittima. «Lo avevo in tasca perché stavo traslocando» ha detto. La polizia scientifica di Roma e la mobile di Trento stanno cercando di verificare se quanto raccontato dal giovane sia la verità o se dietro al delitto ci sia dell'altro: forse l'onore lavato con il sangue. Ndreca avrebbe ucciso perché aveva scoperto che la «donna» che aveva frequentato in realtà era un trans, un'onta per lui troppo pesante da sopportare. Il giovane ha detto di aver preso il coltello nella casa della vittima, ma non convince gli inquirenti.

 

In cella per omicidio premeditato: a casa aveva il coltello e i cellulari del viado Il diciannovenne incastrato dai tabulati telefonici. Alla fine crolla: «sono stato io»

Di Sergio Damiani – “Alto Adige”, 2 agosto 2006

 

È crollato alle tre di notte sotto il peso degli indizi che puntavano tutti contro di lui: l'uomo che nella notte tra venerdì e sabato ha ucciso il viado colombiano Juan Carlos Charria, detto Lupe, è un albanese di appena 19 anni che abita ad Aldeno. Ora su Engjell Ndreca, operaio edile incensurato regolarmente in Italia da tre anni, pesa un'accusa da ergastolo: omicidio aggravato dalla premeditazione e dall'aver agito per futili motivi. Ma sul movente in verità non c'è ancora chiarezza: pare non si tratti né di una questione di denaro, né di un delitto passionale. Nelle sue confuse ammissioni fatte nella notte davanti agli investigatori della Squadra mobile, il giovane ha detto di essere arrabbiato perché Lupe si atteggiava come una donna ma in realtà era un uomo. Forse alla base della furia omicida c'è dunque la vergogna di un adolescente per essere finito con un transessuale. Saranno le indagini e l'interrogatorio dell'indagato, previsto per oggi in carcere a Trento, a chiarire questi aspetti. La svolta nelle indagini su un delitto che rischiava di rimanere a carico di ignoti, è accaduto spesso in passato per l'omicidio di prostitute, è stata data ancora una volta dei tabulati telefonici. Il "grande fratello" ha indicato agli investigatori una possibile pista che è stata seguita con caparbietà e bravura dal commissario capo Roberto Giacomelli, dal suo vice Marcello Manganiello e dal capo della sezione omicidi Nicola Gremes. Gli inquirenti, coordinati dal pm Alessia Silvi, sapevano che la chiave per risolvere il giallo era nel telefono del povero Lupe. Ne avevano la certezza perché prima di lasciare l'appartamento di via Bolzano, dove il povero viado colombiano era stato ammazzato a coltellate, l'omicida aveva perso tempo prezioso per cercare qualcosa. Un oggetto misterioso che poteva collegarlo al delitto. Che cosa? Nei vestiti di Lupe l'assassino cercava due telefoni cellulari perché sapeva che lì erano registrate anche le sue chiamate. Non è servito a nulla. Tracce delle telefonate, infatti, rimangono indelebili nei computer del gestore. E infatti domenica mattina alla Squadra mobile è arrivata la lista di tutte le conversazioni in entrata e in uscita dai telefoni di Juan Carlos Charria. Spulciando tra i numeri, gli inquirenti hanno notato alcune chiamate che si ripetevano nella giornata di venerdì. La scheda sim era intestata ad un giovane albanese residente ad Aldeno, Engjell Ndreca. Il diciannovenne è stato chiamato in Questura per spiegare quali rapporti avesse con Lupe. Nelle stesse ore gli investigatori sentivano altre persone che avevano avuto contatti telefonici col viado, ma l'unico che nella deposizione appariva in difficoltà era Ndreca. Questi si è contraddetto più volte sugli orari. Ha detto che venerdì sera era andato a ballare all'Havana Club ma non ha saputo indicare testimoni che l'avessero visto e ha dato una tempistica del tutto irrealistica. Per questo gli investigatori hanno deciso di eseguire una perquisizione a casa del giovane, in piazza Garibaldi 14 ad Aldeno. La polizia ha capito che era la pista giusta quando dall'abitazione del ragazzo in un cassetto in cucina è saltato fuori un guanto da lavoro sinistro identico al destro trovato, imbrattato di sangue, sul luogo del delitto. Mentre in cucina saltavano fuori due coltelli da cucina compatibili con quello usato dall'assassino anche perché uno dei reperti sembrava presentare tracce di sangue. Questi indizi erano la pietra tombale sulla strenua difesa di Ndreca. E infatti il ragazzo, schiacciato dalle prove e dal peso della responsabilità, ha iniziato a fare le prime ammissioni. Prima timidamente, poi tra le lacrime in modo liberatorio. Il giovane ha anche collaborato visto che ha indicato agli investigatori il luogo dove aveva nascosto i telefoni cellulari di Lupe, a casa all'insaputa della sorella. Ennesima leggerezza di un omicidio spietato ma tutt'altro che perfetto. Ndreca ha fatto tutto da solo, senza complici: ha ucciso, ha tentato di farla franca, infine ha confessato. In pochi attimi ha distrutto la sua vita che sino a venerdì notte era quella di un giovane immigrato modello: serio, lavoratore, senza grilli per la testa con una sorella e un cognato per bene e sempre pronti ad aiutarlo. Lavorava come operaio alla Edile Zortea di Aldeno: aveva dunque il suo salario che da poco gli aveva permesso di affittare un proprio appartamento ad Aldeno. Venerdì notte, però, si è acceso l'istinto omicida. Forse non basteranno le dichiarazioni di Ndreca per chiarire cosa abbia portato un giovane di 19 anni ad uccidere. Forse sarà necessaria una perizia psichiatrica. In ogni caso Ndreca quella sera è uscito di casa ed è andato da Lupe, quel viado per cui provava un sentimento misto di amore e odio. I due hanno chiacchierato e si sono coricati a letto. Lupe aveva preso dello stupefacente, probabilmente cocaina. Forse il viado si è addormentato. Il medico legale che ha eseguito l'autopsia sostiene che la vittima è stata aggredita quando si trovava in condizioni di minorata difesa, come se dormisse o fosse stata sotto l'effetto di droga o alcol. Erano circa le due del mattino quando l'assassino ha vibrato cinque colpi, prima al fianco e poi al ventre, con estrema violenza al punto da spaccare il costato. Questo ha portato gli inquirenti a concludere che il responsabile era un uomo, non un travestito, dotato di grande forza. Non si sa se tra i due ci siano stati atti sessuali, ma fa pensare il fatto che Lupe fosse riversa supina sul letto. In ogni caso è un particolare che si chiarirà: la scientifica ha prelevato preservativi su cui sono in corso accertamenti. Poi Ndreca ha tentato di allontanarsi. È tornato ad Aldeno, ha nascosto i telefoni di Lupe, poi ha rimesso il coltello da cucina al suo posto. Forse nella sua mente ingenua pensava di averla fatta franca, di aver "lavato" col sangue la vergogna. Non sapeva che insieme alla tragica vita di Lupe aveva spezzato anche il suo futuro.

 

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