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Aggiornato
Giovedì 11-Ott-2007
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Il comitato “Facciamo breccia” organizza e convoca per l’11 Febbraio la manifestazione nazionale “NO VAT” e, fra censure, scuse, distinguo, sequestri di striscioni, denunce demenziali e, ciliegina sulla torta, la presentazione del programma dell’Unione (ennesimo calcio in faccia ai cittadini e alle cittadine italiane non solo LGBT*), si consumano tre giorni di (ormai) ordinario catto-oscurantismo…
Di C. Ricci - 14 Febbraio 2006
Atto Primo – giorno 9 Febbraio. Il quotidiano “La Repubblica” (certo non un opuscolo parrocchiale o forzanovista) si rifiuta, a pagamento avvenuto, di pubblicare la pubblicità dell’evento perché infastidito dal titolo (“Più Autodeterminazione - Meno Vaticano”) e dal logo (il cupolone di San Pietro barrato con una X). Fra lo stupore generale partono immediate le proteste e scatta la mobilitazione. Atto Secondo – giorno 10 Febbraio. “Facciamo breccia” organizza un sit-in di denuncia e protesta davanti alla sede del giornale. Ezio Mauro, direttore della testata, probabilmente resosi conto della solenne cappellata, ci ripensa, si giustifica riferendosi a improbabili disguidi, si scusa e garantisce che pubblicherà la suddetta pubblicità per il giorno seguente, ormai inutilmente visto che la manifestazione si svolgerà nel pomeriggio. Mille, poi diventati 500 euro, comunque buttati via. Grazie "Repubblica" sedicente democratica, laica, e bla-bla-bla – anche tu nel mucchio. Nel frattempo, ad esclusione dei soli quotidiani di “sinistra” (ma non sappiamo chi con precisione), nessun’altra testata giornalistica (cartacea o televisiva) dà notizia della manifestazione. Silenzio totale, sepolcrale. Atto Terzo – giorno 11 Febbraio. Durante il concentramento e per tutta la durata del corteo, solerti agenti di pubblica sicurezza (di chi?) si mettono a sequestrare i cartelli su cui Ratzinger o Ruini sono definiti “pericolosi impiccioni”. Roba da educande, nemmeno i bambini dell’asilo definirebbero così un molesto compagno di banco, ma tanto basta, in quest’Italia sempre più fascista e asservita, per scatenare i pruriti censuri e repressivi di chi non vede l’ora di rispedirci tutti “in vacanza” al confino o, meglio, all’inferno. Motivazione n. 1: “Vilipendio alla religione di stato”. Chiediamo: dove è sancito che il cattolicesimo è la religione ufficiale, ed unica (a questo punto obbligatoria pena lo stigma sociale), dello stato italiano? Dove è sancito che si compie reato ad esprimere il proprio dissenso e le proprie opinioni, peraltro con toni pacifici, non offensivi e non diffamatori giacché è vero che la chiesa viola sistematicamente gli accordi sottoscritti nel concordato intromettendosi negli affari nostri? Motivazione n. 2: “Vilipendio ad un capo di stato straniero” – appunto, e allora di che s’impiccia il Papa? Di che s’impicciano i suoi ministri? Com’è che i cittadini italiani non possono contestare le loro ingerenze e intromissioni, non possono contrastare i loro diktat? E com’è che la polizia di stato è al loro servizio? La pagano loro? No, ovviamente, la paghiamo noi ma, ormai è chiaro, la comandano loro attraverso i nostri amministratori, governanti e rappresentanti politici, senza nemmeno far finta che non sia vero. Quello che è avvenuto in questi giorni (mesi, anni), è gravissimo e straordinario insieme. Straordinario, perché un pugno di cittadini è riuscito ad organizzare una manifestazione dal basso, senza sponsorizzazioni corporative, associative, istituzionali, sindacali, partitiche. D’altronde nessuno fra quelli che contano ha voluto sporcarsi le mani, non tanto, almeno. Uno sforzo organizzativo (anche economico) enorme, in proprio, che ha portato in piazza diecimila persone le quali sarebbero state novantamila se non si fosse svolta contemporaneamente la manifestazione di Napoli (quando impareremo a non sovrapporci, quando impareremo ad unire davvero, sino in fondo, le forze? Quando capiremo che in tema di diritti e democrazia non ha alcun senso spaccare il capello in quattro? Arroccarsi sulle proprie posizioni, specificità?). Novantamila – mica bruscolini! - arrivate da tutta Italia, non per dar spettacolo, per farsi una passeggiata, ma per dire “NO” ad una dirigenza politica che non ascolta i cittadini, che non ha la più pallida idea (e se ce l’ha dimostra che non gliene importa un fico secco) delle conseguenze di scelte che ci stanno riportando indietro di Sessant’anni, che stanno progressivamente azzerando conquiste stupidamente credute acquisite. Nulla, in Italia, è acquisito, certo – MAI. Tanto meno i diritti o la legge. Gay, lesbiche, transessuali, eterosessuali, donne (non solo femministe), di ogni età ed estrazione, uniti sui contenuti – finalmente politici, non più superficiali e annacquati, monotematici, asfittici, limitati agli interessi (ancorché sacrosanti) di una sola categoria. Protesta e militanza vera, partecipata, di tutti, per tutti – come da anni non si vedeva. Intorno il silenzio più assordante o, peggio, il dileggio, la falsificazione. Prima, durante e dopo, come ubbidendo ad un’unica regia, ad un unico comando, la stampa, i telegiornali (persino il TG regionale si è guardato bene dal fare il suo mestiere: informare) e troppi personaggi che sono, bene o male, un riferimento per chi non ha diritti, riconoscimento e visibilità, hanno taciuto se non criticato (sottovoce, beninteso, per non dispiacere i poteri forti contro i quali ormai solo chi ne è fuori ha il coraggio di alzare il dito), senza curarsi delle ragioni e dei contenuti della protesta, senza preoccuparsi dei danni che il loro lassismo, il loro qualunquismo e opportunismo sta procurando al paese. Si rendono conto della posta in gioco? Di quanto si stanno rendendo complici, responsabili della deriva che ci sta trascinando in una dittatura? Dittatura, sì – chiamiamola con il suo nome, smettiamola di raccontarci che non può accadere, non dopo aver conosciuto il fascismo. Balle. Qui, più che altrove, il pericolo c’è ed è ad un passo dal compiersi! Una dittatura moderna, certo, che controlla tutto ma lo fa senza dare nell’occhio, senza minacciare il potere di chi ce l’ha, anzi, rafforzandolo, creando alleanze per la spartizione della torta. Una dittatura che non ha bisogno di spargere sangue perché le basta mandare a casa chi non si adegua, le basta spengere le telecamere per far sparire le persone, i problemi, le verità scomode. Una dittatura che manipola la realtà appiattendola, spalmandola in un generalizzato, monocromatico e pataccaro Reality Show, che stigmatizza le differenze trasformandole in una minaccia, in un virus letale, che condanna senza appello il pluralismo, ignorandolo, isolandolo completamente, rendendolo invisibile, che impedisce alternanza e partecipazione creando corporazioni blindate in cui si entra solo se si è disposti a chiudere entrambi gli occhi, a vendere se stessi e gli altri, che invece di estendere i diritti li limita criminalizzando chi legittimamente li chiede non solo per sé, che esercita forme più o meno arbitrarie di censura e repressione appellandosi alla necessità di difendere “valori” che disprezza, offende e tradisce secondo convenienza – una dittatura paternalistica e maschilista, razzista, eterosessista ed omofobica, che consola e rassicura mostrandosi ottimista e sorridente, generosa e altruista, che promette miracoli, che parla d’amore, famiglia, fede, natura, che elargisce favori, privilegi, condoni, contentini a pioggia, che dichiara di agire per il bene del popolo, su suo mandato, per la quale non esistono leggi, regole scritte, prestabilite, perché è solo a lui che deve rispondere (ma il popolo non è un soggetto, è un concetto, un’entità astratta!), che da l’illusione d’un mondo che migliorerà solo se saranno messe a tacere le voci discordanti, se sparirà chi introduce elementi di critica e dissenso portando all’instabilità e all’insicurezza. Chiamatela come vi pare, ma questa non è democrazia. Ecco allora che manifestazioni come quelle di Milano e Roma del 14 Gennaio e quelle dell’11 Febbraio scorso, hanno il merito non solo di aver messo insieme o perlomeno in comunicazione realtà diverse (sino a pochi mesi fa ritorte su se stesse, concentrate a difendere il proprio orticello, i propri talvolta ridicoli, comunque ininfluenti spazi di visibilità e rivendicazione), ma hanno soprattutto il compito di svelare, sbugiardare, sconfessare il sistema e, per quanto ancora possibile, condizionarlo. Hanno il compito di dare un esempio di civiltà e consapevolezza, di richiamare a sé, far uscire allo scoperto chi non è disposto a rinunciare alla libertà di decidere per se stesso, in coscienza, autonomamente, di di/mostrare che questo regime economico e produttivo, l’informazione di massa, la cultura dominante, le forze politiche e confessionali (da destra verso sinistra, indiscriminatamente, a qualsiasi religione si ispirino), sono organi ideologici, amministrativi, di governo e controllo inadeguati e indesiderati, sovrastimati e dannosi, distanti anni luce dalle istanze e dai bisogni delle persone, che una parte considerevole del paese è cresciuta, è andata avanti, loro malgrado, e forse, ci auguriamo, non sarà disposta a subire passivamente il loro dispregio, la loro ormai evidente volontà di dominio, assoluto. Ma non ci facciamo sciocche illusioni. Sappiamo bene che chiunque avrà l’incarico di flagellarci per i prossimi anni, di prenderci per il naso, di usarci e allinearci come mucche da latte, lascerà, nella sostanza, le cose come sono. Perché, per quanto eticamente e moralmente inaccettabili, antidemocratiche, illiberali e liberticide, disoneste, coercitive e inique, solo queste garantiscono a chi ha il potere di conservarlo e consolidarlo, renderlo inattaccabile, indiscutibile. Persino le modifiche costituzionali, il famigerato federalismo, o le inesistenti regole sul conflitto d’interessi, le leggi ad personam, le depenalizzazioni, lo stravolgimento del codice civile e penale, dell’impianto giudiziario e, in ultimo, il ritorno al proporzionale con i suoi sbarramenti, i suoi giuochi di prestigio, fanno l’interesse di molti, troppi – là dentro i palazzi. In questo paese non c’è inquisito eccellente che non si sia accaparrato un posto nelle liste elettorali della prossima consultazione, e noi, a questo giro, non avremo nemmeno la possibilità di esprimere una preferenza attraverso la quale tentare di escluderlo o punirlo. Decidono i partiti – punto e basta. Noi comuni mortali, ormai, siamo solo comparse, o complementi d'arredo alla loro indegna messa in scena. Grazie Berlusconi e grazie a questo centro-sinistra che, nonostante fosse ineleggibile, gli ha permesso ugualmente di candidarsi e vincere portandoci sull’orlo del baratro. Alla fine dovremo dargli ragione un’altra volta: sicuramente, chiunque governerà, ci farà fare un passo avanti. Tuttavia, se un po’ ci teniamo a questo paese e a noi stessi, non è il centro-destra che dobbiamo votare. Alternative non ci sono né ci saranno, per lungo, lungo tempo. Lavate e stirate le vostre bandiere, conservatele con cura – comunque vada, ne avremo bisogno ancora, forse più di prima e adesso. |
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