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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

I giudici: aveva l’attrezzo da cavatore quando incontrò e uccise il viado

“Il Tirreno”, 11 Marzo 2005

 

TORRE DEL LAGO. Francesco Coppedè aveva con sè il mazzuolo da cavatore quando si incontrò, nella notte tra il 18 e il 19 aprile del 2002 nella pineta tra Torre del Lago e Migliarino, con il viado noto come Sabrina. Questo particolare è contenuto nella sentenza di primo grado (16 anni con rito abbreviato, poi ridotti in appello a 14 e 10 mesi) e smentisce la versione dell’ex parà, che aveva affermato di aver utilizzato un coltello contro il trans che «voleva trasmettermi l’Aids».
Il caso è stato ripercorso con dovizia di particolari sull’ultimo «Magazine» del Corriere della Sera. Un episodio tra i tanti analizzati in un’inchiesta sulle storie «noir» della provincia italiana. Il ritratto che emerge di Francesco Coppedè è quello ricostruito dai carabinieri e confermato da chi lo conosceva bene, a Querceta, tra la palestra che frequentava e il piazzale sul quale lavorava in un’azienda del marmo.
Coppedè era appena stato licenziato - in realtà sembra che avesse abbandonato di sua iniziativa - dal suo datore di lavoro. Un ragazzo grande e grosso, appassionato di body building e un passato nei paracadutisti: nel 1994 ha prestato il servizio militare alla Smipar di Pisa. Biondo, si faceva notare subito a bordo della sua auto chiara e alle spalle, avrebbero accertato in seguito gli inquirenti, aveva un precedente significativo, visto l’ambito dell’indagine: nel 1996 infatti il suo nome venne coinvolto nel caso di una rapina a mano armata proprio a danno di un transessuale, tra Forte dei Marmi e Marina di Massa.
L’indagine dei carabinieri fu lunga e meticolosa, Coppedè fu seguito con discrezione in ogni movimento, il suo telefono tenuto sotto controllo. Finchè, un mattino di maggio, i militari si presentano nella sua abitazione di Querceta con in mano un mandato di perquisizione. E tra l’altro scoprirono una cosa che non si sarebbero mai aspettati: il ragazzo ha la vocazione della scrittura e tiene un aggiornatissimo archivio-stampa sul caso del trans ucciso tra Torre del Lago e Migliarino. E oltretutto vennero trovati quattro fogli, quasi un diario sull’inchiesta, sulle sue difficoltà, sui pochi e stentati passi avanti da parte dei carabinieri. Un diario che Coppedè, si è saputo successivamente, coservava nel portafoglio quasi fosse una reliquia. La ricostruzione fa anche riferimento al verbale della confessione rilasciata da Coppedè dopo aver passato molte ore a negare ogni addebito. «Ho buttato il coltello in un torrente vicino a Querceta - aveva detto - e l’ho ucciso perchè dopo il rapporto sessuale mi aveva detto di avermi trasmesso l’Aids».
Parole che però gli inquirenti hanno sempre soppesato con scetticismo. La sentenza di primo (ma anche di secondo) grado infatti chiarirà esplicitamente che Coppedè aveva «portato fuori dalla propria abitazione, in maniera illegale, un mazzuolo da cavatore». Con il quale colpì a morte, in via Traversagna, quel povero ragazzo venuto dal Brasile.

 

 

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