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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Chiusa l’inchiesta su Oronzo Lovecchio ridotto in fin di vita da due romeni. «Li ospitavo spesso» - Al termine di un gioco erotico, i mancati killer avevano tentato di aprire la cassaforte

Di Sarah Martinenghi – “La Repubblica”, 1° Giugno 2005

 

Torino - Saranno state le cure amorevoli delle infermiere o forse i colpi di chiave inglese con cui lo scorso 26 agosto gli hanno fracassato il cranio. Fatto sta che Oronzo Lovecchio, 58 anni, del suo passato omosessuale, di quando rimorchiava uomini al parco del Valentino e in Piazza Carlo Felice, ormai ha un ricordo vago e confuso. E ora, assicura, gli piacciono solo le donne. Sopravvissuto miracolosamente a un massacro di botte e di sangue, la vittima di un gioco erotico sfociato in tragedia, dopo il coma e mesi di ricovero al presidio sanitario Ausiliatrice, è tornata a casa. Ha riportato danni cerebrali gravissimi, ha bisogno di assistenza continua, articola con difficoltà i concetti e alcuni termini si perdono ancor prima di riuscire a essere pronunciati.
Ma a suo modo, quando gli inquirenti l’hanno interrogato, è riuscito a farsi capire, usando i gesti e mimando le parole bloccate: «Sono e mi chiamo Oronzo Lovecchio, abito a Torino in una via della quale non ricordo il nome, al civico 62, ed al terzo piano. Ricordo che abito vicino alla stazione e che lavoravo alla sera a mettere a posto le auto in garage. Non sono sposato e non ho nemmeno la fidanzata».
Nella sua mente devastata dai disturbi di quei colpi, i suoi trascorsi sessuali sono ormai solo più flash lontani: non ricorda quasi nulla di quando è stato trovato nel suo appartamento, mani e piedi legati, con addosso solo una maglietta intrisa di sangue. A colpirlo, secondo il sostituto procuratore Antonio Malagnino, sono stati due giovani rumeni, Adrian Lungeanu e Robert George Stan, di 21 e 22 anni, arrestati su un treno, in fuga verso la Romania, subito dopo il tentato omicidio. Con sé avevano il cellulare della vittima. Con il suo linguaggio difficile e stentato Lovecchio è riuscito a ricostruire qualche momento della violenza subita, e a ricordare di aver ospitato i suoi aggressori: "improvvisamente dopo pranzo ho sentito un forte dolore alla testa, e ho chiesto a loro la spiegazione. Mi rispondevano che non era niente e mi sarebbe passato. Non ricordo però chi mi abbia picchiato, ma sono certo, in casa c’ero solo io e loro due". Ora il pm ha chiuso le indagini sul caso e a giugno per i due rumeni ci sarà il rinvio a giudizio: dovranno rispondere dell’accusa di omicidio premeditato.
Di quei due giovani ragazzi rimorchiati vicino a Porta Nuova, la vittima è riuscita a recuperare frammenti d’immagini. Ricorda di aver avuto in casa anche le loro foto, un elemento che si era rivelato cruciale per le indagini: «Le persone che mi hanno fatto del male – ha raccontato Oronzo al pm – sono stati ospiti a casa mia. All’inizio venivano da me solo per mangiare, qualche volta si fermavano a dormire. Volevano dei quattrini da me, ma io non gliene ho mai dati. Gli dicevo sempre che potevo dargli solo da mangiare». Dal carcere i due romeni continuano a negare di aver cercato di ucciderlo. Il gioco erotico era stato, secondo l’accusa, una trappola per riuscire a rubare i risparmi nella cassaforte: «Dato che queste due persone – ha spiegato la vittima mi avevano visto prendere dei quattrini dalla cassaforte - che celavo dietro un quadro appeso ad un muro per pagare una signora, facevo attenzione e addirittura gli avevo detto che sarebbe stato inutile provare ad aprirla, perché soldi non ce n’erano all’interno».
Lovecchio con fatica cerca ancora di ricostruire il suo passato e le sue frequentazioni: «Mi piaceva cucinare. Tutti i sabati sera organizzavo una cena a casa mia, i cui invitati erano i miei amici dei giardini di Porta Nuova. Ricordo perfettamente che quei due lì che mi aggredivano e che non parlavano bene l’italiano erano presenti almeno in tre occasioni». Ma nessuno di loro è mai andato a trovarlo quand’era ricoverato: «In ospedale – ha detto infine – non è venuto nessuno che conosco, all’infuori dei familiari, dei poliziotti, e della mia vicina Anna».

 

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