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Aggiornato Venerdì 12-Ott-2007

 

9 Luglio 2003, secondo governo Berlusconi: come trasformare una direttiva della Comunità Europea pensata per impedire le discriminazioni, in un Decreto Legge chiaramente discriminatorio nei confronti delle persone LGBT* ed altre categorie non gradite...

(Estratto dal Decreto Legge)

 

Articolo 3 - (Ambito di applicazione)

3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare.

4. Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità al lavoro per quanto riguarda la necessità di una idoneità ad uno specifico lavoro e le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in merito agli adolescenti, ai giovani, ai lavoratori anziani e ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale.

5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.

6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all'esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile.

Articolo 4 - (Tutela giurisdizionale dei diritti)

4. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile.

 

Testo integrale del Decreto Legislativo

Definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri del 3 luglio 2003
Gazzetta Ufficiale N. 187 del 13 Agosto 2003
DECRETO LEGISLATIVO 9 luglio 2003, n. 216

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro;

Vista la legge 1° marzo 2002, n. 39, ed in particolare l'allegato B; Vista la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante «Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento»;

Visto il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 marzo 2003; Acquisiti i pareri delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 luglio 2003; Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunita', di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'economia e delle finanze;

Emana il seguente decreto legislativo:

Articolo
1
(Oggetto)

1. Il presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento sessuale, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione, in un'ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini.

Avvertenza:

Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto ai sensi dell'art. 10, commi 2 e 3 del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali e' operato il rinvio. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti.

Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee (GUCE).

Nota al titolo:

- Il testo della direttiva 2000/78/CE (Direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Comunita' europea 2 dicembre 2000, n. L 303.

Note alle premesse:

- Il testo dell'art. 76 della Costituzione e' il seguente:

«Art. 76. - L'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.».

- L'art. 87, comma quinto, della Costituzione conferisce al Presidente della Repubblica il potere di promulgare le leggi e di emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.

- Per il testo della citata direttiva 2000/78/CE, si veda nota al titolo.

- Il testo della legge 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2001), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 marzo 2002, n. 72, supplemento ordinario.

- Il testo dell'allegato B della citata legge n. 39 del 2002, e' il seguente:

(…)»

Articolo
2
(Nozione di discriminazione)

1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:

a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.

2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;

3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di un persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

4. L'ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni personali, dell'handicap, dell'età o delle tendenze sessuali è considerata una discriminazione ai sensi del comma l.

Nota all'art. 2:

- Il testo dell'art. 43, commi 1 e 2 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, e' il seguente:

«Art. 43 (Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi).
1. Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.

2. In ogni caso compie un atto di discriminazione:

a) il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell'esercizio delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;
b) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;
c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione, all'alloggio, all'istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;
d) chiunque impedisca, mediante azioni od omissioni, l'esercizio di un'attività economica legittimamente intrapresa da uno straniero regolarmente soggiornante in Italia, soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza,
confessione religiosa, etnia o nazionalità;
e) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell'art. 15 della legge 20 maggio 1970, n 300, come modificata e integrata dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, e dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa.»

Articolo
3
(Ambito di applicazione)

1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree:

a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;
b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento;
c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
d) affiliazione e attività nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni.

2. La disciplina di cui al presente decreto fa salve tutte le disposizioni vigenti in materia di:

a) condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato;
b) sicurezza e protezione sociale;
c) sicurezza pubblica, tutela dell'ordine pubblico, prevenzione dei reati e tutela della salute;
d) stato civile e prestazioni che ne derivano;
e) forze armate, limitatamente ai fattori di età e di handicap.

3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare.

4. Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità al lavoro per quanto riguarda la necessità di una idoneità ad uno specifico lavoro e le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in merito agli adolescenti, ai giovani, ai lavoratori anziani e ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale.

5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.

6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all'esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile.

Questi sono gli articoli del decreto legislativo che vi invitiamo a leggere con molta attenzione...

Articolo
4
(Tutela giurisdizionale dei diritti)

1. All'articolo 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970, n. 300, dopo la parola «sesso» sono aggiunte le seguenti: «di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali».

2. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 si svolge nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;

3. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le rappresentanze locali di cui all'articolo 5.

4. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile.

5. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.

6. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 5, che l'atto o comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

7. Il giudice può ordinare la pubblicazione delle sentenza di cui ai commi 5 e 6, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale.

8. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Note all'art. 4:

- Il testo dell'art. 15, comma 2, della citata legge n. 300 del 1970, come modificato dal presente decreto, è il seguente:

«Art. 15 (Atti discriminatori). È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:

a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.».

- Il testo dell'art. 44 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, è il seguente:

«Art. 44 (Azione civile contro la discriminazione) - (Legge 6 marzo 1988, n. 40, art. 42).

1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro
provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.
2. La domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del pretore del luogo di domicilio dell'istante.
3. Il pretore, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.
4. Il pretore provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda. Se accoglie la domanda emette i provvedimenti richiesti che sono immediatamente esecutivi.
5. Nei casi di urgenza il pretore provvede con decreto motivato, assunte, ove occorre, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sè entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all'istante un
termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza, il pretore, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati nel decreto.
6. Contro i provvedimenti del pretore è ammesso reclamo al tribunale nei termini di cui all'art. 739, secondo comma, del codice di procedura civile. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile.
7. Con la decisione che definisce il giudizio il giudice può altresì condannare il convenuto al
risarcimento del danno, anche non patrimoniale.
8. Chiunque elude l'esecuzione di provvedimenti del pretore di cui ai commi 4 e 5 e dei provvedimenti del tribunale di cui al comma 6 è punito ai sensi dell'art. 388, primo comma, del codice penale.
9. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio in ragione della razza, del gruppo etnico o linguistico, della provenienza geografica, della confessione religiosa o della cittadinanza può dedurre elementi di fatto anche a carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata. Il giudice valuta i fatti dedotti nei limiti di cui all'art. 2729, primo comma, del codice civile.
10. Qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche in casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni, il ricorso può essere presentato dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del presente
articolo, ordina al datore di lavoro di definire, sentiti i predetti soggetti e organismi, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
11. Ogni accertamento di atti o comportamenti discriminatori ai sensi dell'art. 43 posti in essere da imprese alle quali siano stati accordati benefici ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, è immediatamente comunicato dal Pretore, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione del beneficio, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni, o enti revocano il beneficio e, nei casi più gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di
agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.
12. Le regioni, in collaborazione con le province e con i comuni, con le associazioni di immigrati e del volontariato sociale, ai fini dell'applicazione delle norme del presente articolo e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per gli stranieri, vittime delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi.».

- Il testo dell'art. 410 del codice di procedura civile è il seguente:

«Art. 410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione).
Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'art. 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca
mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'art. 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.
Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal
precedente terzo comma.
In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.
Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro certifica l'impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.».

- Il testo dell'art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), è il seguente:

«Art. 66 (Collegio di conciliazione).
1. Ferma restando la facoltà del lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 65 si svolge, con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la direzione provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui il lavoratore è addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto. Le medesime procedure si applicano, in quanto compa-tibili, se il tentativo di conciliazione è promosso dalla pubblica amministrazione. Il collegio di conciliazione è composto dal direttore della direzione o da un suo delegato, che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell'amministrazione.
2. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, è consegnata alla direzione presso la quale è istituito il collegio di conciliazione competente o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta deve essere consegnata o
spedita a cura dello stesso lavoratore all'amministrazione di appartenenza.
3. La richiesta deve precisare:
a) l'amministrazione di appartenenza e la sede alla quale il lavoratore è addetto;
b) il luogo dove gli devono essere fatte le comunicazioni inerenti alla procedura;
c) l'esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa;
d) la nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad un'organizzazione sindacale.
4. Entro trenta giorni dal ricevimento della copia della richiesta, l'amministrazione, qualora non accolga la pretesa del lavoratore, deposita presso la direzione osservazioni scritte. Nello stesso atto nomina il proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione. Entro i dieci giorni successivi al deposito, il Presidente fissa la comparizione delle parti per il tentativo di
conciliazione. Dinanzi al collegio di conciliazione, il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. Per l'amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di conciliare.
5. Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo. Alla conciliazione non si
applicano le disposizioni dell'art. 2113 commi primo, secondo e terzo del codice civile.
6. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, il collegio di conciliazione deve formulare un proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
7. Nel successivo giudizio sono acquisiti, anche di ufficio, i verbali concernenti il tentativo di
conciliazione non riuscito. Il giudice valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese.
8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al comma 1, ovvero in sede giudiziale ai sensi dell'art. 420, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile, non può
dar luogo a responsabilità amministrativa.».

- Il testo dell'art. 2729 del codice civile è il seguente:

«Art. 2729 (Presunzioni semplici).
Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni.».

- Il testo dell'art. 3 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, è il seguente:

«Art. 3 (Personale in regime di diritto pubblico).
1. In deroga all'art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della
carriera prefettizia nonchè i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'art. 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e
10 ottobre 1990, n. 287.
2. Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle
disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all'art. 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n. 168, e successive
modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei principi di cui all'art. 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421.».

Articolo
5
(Legittimazione ad agire)

1. Le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative a livello nazionale, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire ai sensi dell'articolo 4, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio.

2. Le rappresentanze locali dì cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva, qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione.

Articolo
6
(Relazione)

1. Entro il 2 dicembre 2005 e successivamente ogni cinque anni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali trasmette alla Commissione europea una relazione contenente le informazioni relative all'applicazione del presente decreto.

Articolo
7
(Copertura finanziaria)

1. Dall'attuazione del presente decreto non derivano oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 9 luglio 2003

CIAMPI

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Buttiglione, Ministro per le politiche comunitarie
Maroni, Ministro del lavoro e delle politiche sociali
Prestigiacomo, Ministro per le pari opportunità
Frattini, Ministro degli affari esteri
Castelli, Ministro della giustizia
Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Castelli

Vedi: Gazzetta Ufficiale

 

XIV Legislatura - Disegni di Legge e Relazioni - Documenti

 

Modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, recante l’attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni del lavoro Onorevoli Colleghi e Colleghe, la presente proposta di legge si pone l’obiettivo di modificare il decreto legislativo 216/2003 recante l’attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Il decreto stabilisce un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo negli stati membri il principio della parità di trattamento.

Ma l’impostazione generale del decreto appare ambigua e del tutto insoddisfacente. Il testo approvato definitivamente, infatti, sfrutta in chiave estremamente restrittiva le zone d’ombra della direttiva, cosicché l’introduzione di eccezioni generali e non circostanziate all’applicazione del principio di parità di trattamento comporta il rischio che i principi contenuti nella direttiva restino lettera morta rendendo in sostanza inefficaci strumenti che avrebbero dovuto rappresentare ed esercitare tutela ed adeguata protezione.

Il testo approvato evidenzia il tentativo del governo di limitare la protezione dei lavoratori e delle lavoratrici, che al contrario costituiva la finalità della direttiva. Le eccezioni generali previste potrebbero essere applicate in maniera tanto estensiva da contenere in modo significativo, se non vanificare, la portata della disciplina antidiscriminatoria.

L’attuazione della direttiva in senso meno minimalista avrebbe reso possibile per la prima volta nel nostro ordinamento l’introduzione di principi e misure antidiscriminatorie fondate sulla base dell’orientamento sessuale.

Il decreto approvato rappresenta una occasione mancata.

Altro punto importante è quello relativo all’onere della prova che nell’attuale formulazione rimane a carico della vittima: la mancata inversione dell’onere della prova rappresenta una violazione agli articoli 9 e 10 della direttiva.

Il decreto manca poi di norme di attuazione delle disposizioni della direttiva relative alla diffusione delle informazioni, al dialogo sociale e con le organizzazioni non governative; omette la previsione di misure finalizzate al monitoraggio delle prassi dei luoghi di lavoro, La presente proposta di legge non mira a riscrivere il decreto ma si propone di sanare quelle che sono le maggiori storture del decreto legislativo e di intervenire sugli aspetti della nuova disciplina che ci sembrano più inadeguati.

 

MODIFICHE AL DECRETO LEGISLATIVO 9 LUGLIO 2003, N. 216 –
ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2000/78/CE PER LA PARITA’ DI TRATTAMENTO IN MATERIA DI OCCUPAZIONE E DI CONDIZIONI DI LAVORO

 

Articolo
1
(Oggetto)

1. All’articolo 1 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, le parole «disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione» sono sostituite con «disponendo le misure necessarie per la lotta alla discriminazione fondata sui suddetti fattori».

Articolo
3
(Ambito di applicazione)

1. All’articolo 3, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, dopo la parola «assunzione» sono aggiunte le seguenti «indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale».

2. Il terzo comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente:

«3. Nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività d’impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento basate su caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato.»

3. Il quarto comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente:

«4. Sono comunque fatte salve le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in relazione all’età, riguardanti gli adolescenti, i giovani, i lavoratori anziani, ed ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto di lavoro e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale.»

4. Il quinto comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente:

«5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività. Le differenze di trattamento di cui al presente comma non possono comunque giustificare una discriminazione basata su altri motivi».

5. Il sesto comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente:

«6. Non costituiscono comunque atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari.»

Articolo
4
(Tutela giurisdizionale dei diritti)

1. Il quarto comma dell’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente:

«4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto - desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti - idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti o comportamenti discriminatori in ragione delle caratteristiche di cui all’articolo 1, spetta al convenuto l'onere della prova sulla insussistenza della discriminazione.»

Articolo
5
(Legittimazione ad agire)

1. L’articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente:

«1. Le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e le organizzazioni ed associazioni che abbiano un interesse specifico ad intervenire in giudizio in ragione degli interessi che rappresentano sono legittimate ad agire ai sensi dell’articolo 4 in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione, in forza di delega rilasciata per iscritto, a pena di nullità, o a suo sostegno, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l’atto discriminatorio.

2. Le rappresentanze sociali, le organizzazioni e le associazioni di cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva, anche nei casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto le persone lese dalla discriminazione.»

Articolo
5-bis
(Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative)

1. Dopo l’articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è inserito il seguente:

«Articolo 5-bis. – (Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative). – 1. Allo scopo di sostenere il principio di parità di trattamento, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali promuove la consultazione delle parti sociali e delle organizzazioni ed associazioni di cui all’articolo 5.

2. Il Ministero, sentite le parti sociali e le organizzazioni ed associazioni di cui al primo comma, e di concerto con esse, promuove inoltre il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, contratti collettivi di lavoro, codici di comportamento e ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche e adotta le misure necessarie per assicurare in tali ambiti il rispetto dei requisiti minimi previsti dal presente decreto.»

Articolo
5-ter
(Diffusione delle informazioni)

1. Dopo l’articolo 5-bis del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 introdotto dall’articolo 4 della presente legge, è inserito il seguente:

«Articolo 5-ter. – (Diffusione delle informazioni). – 1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali e le organizzazioni ed associazioni di cui all’articolo 5, e di concerto con esse, adotta le iniziative necessarie volte alla diffusione delle informazioni sui luoghi di lavoro, anche mediante campagne informative sul territorio nazionale, allo scopo di assicurare che le disposizioni di cui al presente decreto siano portate all’attenzione dei soggetti interessati.»

Articolo
7-bis
(Disposizioni finali)

1. Dopo l’articolo 7 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è inserito il seguente:

«Articolo 7-bis. – (Disposizioni finali). – 1. Sono nulle tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento di cui al presente decreto contenute nei contratti collettivi di lavoro, nei regolamenti aziendali, nei codici di comportamento, nei codici deontologici.

2. Sono altresì nulle ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile le clausole contrattuali contrarie alle disposizioni del presente decreto.»

 

Vedi: Gazzetta Ufficiale

 

Piero Pirotto, 2003

 

Il Governo mostra la sua faccia peggiore: la destra becera vince anche nell’applicazione della legge di lotta alla discriminazione sul lavoro.

Non ho grandi frequentazioni nella destra italiana e mondiale in genere, ma mi ero illuso che questa occasione il Governo del Berlusca non la perdesse. Invece la parte più becera e reazionaria di chi in questo momento ha il potere nel paese non ha resistito ad una ghiotta occasione: certo che aumentiamo le tutele antidiscriminatorie nei luoghi di lavoro, ma con un sacco di se ed un sacco di ma… davvero troppi.

In breve la storia è questa: nel 2000 l’Unione Europea impone ai paesi membri di adeguare la propria legislazione in tema di tutela antidisciminatoria nei luoghi di lavoro. Nello specifico inserisce anche l’orientamento sessuale tra le cause non accettabili di discriminazione insieme a sesso, religione, credo, pensiero politico, etnia ecc. Indica come le legislazioni devono essere adeguate: tempo limite il 2003. L’Italia arriva quasi buon ultima e decide che non sia il Parlamento a proporre una legge per adeguare la nostra legislazione, ma delega il Governo ad adeguare le leggi secondo quanto dettato dall’Unione Europea. La proposta sembrerebbe normale in un paese con anche una destra moderna ed attenta: ma siccome in Italia questo non è, dare delega al Governo significa dar loro mano libera perché si cerchino tutte le possibili soluzioni a mantenere una situazione di non discriminazione apparente.

Le associazioni (anche e soprattutto InformaGay attraverso il CERSGOSIG, il suo centro giuridico) cercano di collaborare perché il decreto legge del Governo non diventi un disastro, ma niente da fare, quello approvato all’inizio di luglio ad un disastro assomiglia molto. Si recepiscono i principi generali della direttiva comunitaria e quindi si inserisce anche l’orientamento sessuale tra le cause di non discriminazione (e per la prima volta nella legislazione italiana in maniera esplicita), ma si inseriscono anche tutta una serie di articoli talmente ambigui che l’applicazione di questo decreto anziché essere un miglioramento rischia di trasformarsi in un boomerang.

Intanto per la prima volta si rende esplicito il fatto che nei lavori quali le forze armate e di polizia, l’orientamento sessuale può risultare un impedimento: quindi cari finocchi e lesbiche di polizia ed esercito, se avete votato questo Governo cominciate a beccarvi questa prima mazzata diretta sulla fronte. Poi si fa un pericoloso paragone tra pedofilia ed orientamento sessuale: certo questa legge sembrava l’occasione giusta per ricordare a tutti che i deviati sono deviati in tutti i sensi… un bel segnale davvero da chi sbandiera modernità e libertà ogni volta che apre bocca… attenzione alle mosche che da li possono uscire!

Tutto questo con un paio di articoli di legge che lasciano le maglie talmente larghe rispetto alla possibilità di vedere tutelati i propri diritti da far venire i brividi. Non sono un giurista, non entro nel dettaglio, ma mi permetto una piccola riflessione. Questa cosa è passata completamente sotto silenzio, nessun dibattito, nessuna campagna stampa, solo l’iniziativa della CGIL a cui il movimento GLBT ha aderito: il risultato è stato fallimentare. Questa volta non addosso colpe, ma responsabilità: il governo ha deliberatamente espresso il proprio pensiero, quello nascosto ed inconfessabile di chi pensa che ci debba essere un trattamento diverso. Chiedo a tutti coloro che omosessuali e transessuali hanno dato il voto a questa coalizione di fare una riflessione: non auguro a nessuno problemi sul lavoro dopo questa legge, ma spero che tutti ci si renda conto che ora si è tutti un po’ più discriminati. Non sono un difensore dell’attuale minoranza, all’epoca sono stato molto critico sulla loro azione di Governo: in 5 anni non hanno fatto nulla per noi, neanche mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale, ma quanto successo in questi giorni è che si rischia veramente di non avere mai fine al peggio. Il tutto vale la pena di una riflessione!

Fonte: InformaGay - Vedi: Gazzetta Ufficiale

 

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