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Venerdì 12-Ott-2007
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9 Luglio 2003, secondo governo Berlusconi: come trasformare una direttiva della Comunità Europea pensata per impedire le discriminazioni, in un Decreto Legge chiaramente discriminatorio nei confronti delle persone LGBT* ed altre categorie non gradite...
(Estratto dal Decreto Legge)
Articolo 3 - (Ambito di applicazione)
3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare. 4. Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità al lavoro per quanto riguarda la necessità di una idoneità ad uno specifico lavoro e le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in merito agli adolescenti, ai giovani, ai lavoratori anziani e ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale. 5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività. 6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all'esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile. Articolo 4 - (Tutela giurisdizionale dei diritti) 4. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile. |
Testo integrale del Decreto Legislativo
Definitivamente
approvato dal Consiglio dei Ministri del 3 luglio 2003
Gazzetta Ufficiale N. 187 del 13 Agosto 2003
DECRETO LEGISLATIVO 9 luglio 2003, n. 216
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; Vista la legge 1° marzo 2002, n. 39, ed in particolare l'allegato B; Vista la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante «Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento»; Visto il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 marzo 2003; Acquisiti i pareri delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 luglio 2003; Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunita', di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'economia e delle finanze; Emana il seguente decreto legislativo:
1. Il presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento sessuale, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione, in un'ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini. Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto ai sensi dell'art. 10, commi 2 e 3 del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali e' operato il rinvio. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti. Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee (GUCE). Nota al titolo: - Il testo della direttiva 2000/78/CE (Direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Comunita' europea 2 dicembre 2000, n. L 303. Note alle premesse: - Il testo dell'art. 76 della Costituzione e' il seguente: «Art. 76. - L'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.». - L'art. 87, comma quinto, della Costituzione conferisce al Presidente della Repubblica il potere di promulgare le leggi e di emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. - Per il testo della citata direttiva 2000/78/CE, si veda nota al titolo. -
Il testo della legge 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l'adempimento
di obblighi derivanti - Il testo dell'allegato B della citata legge n. 39 del 2002, e' il seguente: (…)»
1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali,
per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona
è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe
trattata un'altra in una situazione analoga; 2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; 3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di un persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. 4. L'ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni personali, dell'handicap, dell'età o delle tendenze sessuali è considerata una discriminazione ai sensi del comma l. Nota all'art. 2: - Il testo dell'art. 43, commi 1 e 2 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, e' il seguente: «Art.
43 (Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi). 2. In ogni caso compie un atto di discriminazione: a)
il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o
la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell'esercizio
delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino
straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o
di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità,
lo discriminino ingiustamente;
1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree:
a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente,
compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; 2. La disciplina di cui al presente decreto fa salve tutte le disposizioni vigenti in materia di:
a) condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso all'occupazione, all'assistenza
e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel
territorio dello Stato;
1. All'articolo 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970, n. 300, dopo la parola «sesso» sono aggiunte le seguenti: «di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali». 2. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 si svolge nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; 3. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le rappresentanze locali di cui all'articolo 5. 4. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile. 5. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. 6. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 5, che l'atto o comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. 7. Il giudice può ordinare la pubblicazione delle sentenza di cui ai commi 5 e 6, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale. 8. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Note all'art. 4: - Il testo dell'art. 15, comma 2, della citata legge n. 300 del 1970, come modificato dal presente decreto, è il seguente: «Art. 15 (Atti discriminatori). È nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a)
subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca
o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; - Il testo dell'art. 44 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, è il seguente: «Art. 44 (Azione civile contro la discriminazione) - (Legge 6 marzo 1988, n. 40, art. 42).
1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione
produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione
del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro - Il testo dell'art. 410 del codice di procedura civile è il seguente: «Art.
410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). - Il testo dell'art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), è il seguente: «Art.
66 (Collegio di conciliazione). - Il testo dell'art. 2729 del codice civile è il seguente: «Art.
2729 (Presunzioni semplici). - Il testo dell'art. 3 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, è il seguente: «Art.
3 (Personale in regime di diritto pubblico).
1. Le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative a livello nazionale, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire ai sensi dell'articolo 4, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio. 2. Le rappresentanze locali dì cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva, qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione.
1. Entro il 2 dicembre 2005 e successivamente ogni cinque anni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali trasmette alla Commissione europea una relazione contenente le informazioni relative all'applicazione del presente decreto.
1. Dall'attuazione del presente decreto non derivano oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 9 luglio 2003 CIAMPI Berlusconi,
Presidente del Consiglio dei Ministri Vedi: Gazzetta Ufficiale |
XIV Legislatura - Disegni di Legge e Relazioni - Documenti
Modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, recante l’attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni del lavoro Onorevoli Colleghi e Colleghe, la presente proposta di legge si pone l’obiettivo di modificare il decreto legislativo 216/2003 recante l’attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Il decreto stabilisce un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo negli stati membri il principio della parità di trattamento. Ma l’impostazione generale del decreto appare ambigua e del tutto insoddisfacente. Il testo approvato definitivamente, infatti, sfrutta in chiave estremamente restrittiva le zone d’ombra della direttiva, cosicché l’introduzione di eccezioni generali e non circostanziate all’applicazione del principio di parità di trattamento comporta il rischio che i principi contenuti nella direttiva restino lettera morta rendendo in sostanza inefficaci strumenti che avrebbero dovuto rappresentare ed esercitare tutela ed adeguata protezione. Il testo approvato evidenzia il tentativo del governo di limitare la protezione dei lavoratori e delle lavoratrici, che al contrario costituiva la finalità della direttiva. Le eccezioni generali previste potrebbero essere applicate in maniera tanto estensiva da contenere in modo significativo, se non vanificare, la portata della disciplina antidiscriminatoria. L’attuazione della direttiva in senso meno minimalista avrebbe reso possibile per la prima volta nel nostro ordinamento l’introduzione di principi e misure antidiscriminatorie fondate sulla base dell’orientamento sessuale. Il decreto approvato rappresenta una occasione mancata. Altro punto importante è quello relativo all’onere della prova che nell’attuale formulazione rimane a carico della vittima: la mancata inversione dell’onere della prova rappresenta una violazione agli articoli 9 e 10 della direttiva. Il decreto manca poi di norme di attuazione delle disposizioni della direttiva relative alla diffusione delle informazioni, al dialogo sociale e con le organizzazioni non governative; omette la previsione di misure finalizzate al monitoraggio delle prassi dei luoghi di lavoro, La presente proposta di legge non mira a riscrivere il decreto ma si propone di sanare quelle che sono le maggiori storture del decreto legislativo e di intervenire sugli aspetti della nuova disciplina che ci sembrano più inadeguati.
MODIFICHE
AL DECRETO LEGISLATIVO 9 LUGLIO 2003, N. 216 –
1. All’articolo 1 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, le parole «disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione» sono sostituite con «disponendo le misure necessarie per la lotta alla discriminazione fondata sui suddetti fattori».
1. All’articolo 3, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, dopo la parola «assunzione» sono aggiunte le seguenti «indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale». 2. Il terzo comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente: «3. Nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività d’impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento basate su caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato.» 3. Il quarto comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente: «4. Sono comunque fatte salve le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in relazione all’età, riguardanti gli adolescenti, i giovani, i lavoratori anziani, ed ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto di lavoro e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale.» 4. Il quinto comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente: «5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività. Le differenze di trattamento di cui al presente comma non possono comunque giustificare una discriminazione basata su altri motivi». 5. Il sesto comma dell’articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente: «6. Non costituiscono comunque atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari.»
1. Il quarto comma dell’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente: «4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto - desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti - idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti o comportamenti discriminatori in ragione delle caratteristiche di cui all’articolo 1, spetta al convenuto l'onere della prova sulla insussistenza della discriminazione.»
1. L’articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 è sostituito con il seguente: «1. Le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e le organizzazioni ed associazioni che abbiano un interesse specifico ad intervenire in giudizio in ragione degli interessi che rappresentano sono legittimate ad agire ai sensi dell’articolo 4 in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione, in forza di delega rilasciata per iscritto, a pena di nullità, o a suo sostegno, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l’atto discriminatorio. 2. Le rappresentanze sociali, le organizzazioni e le associazioni di cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva, anche nei casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto le persone lese dalla discriminazione.»
1. Dopo l’articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è inserito il seguente: «Articolo 5-bis. – (Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative). – 1. Allo scopo di sostenere il principio di parità di trattamento, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali promuove la consultazione delle parti sociali e delle organizzazioni ed associazioni di cui all’articolo 5. 2. Il Ministero, sentite le parti sociali e le organizzazioni ed associazioni di cui al primo comma, e di concerto con esse, promuove inoltre il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, contratti collettivi di lavoro, codici di comportamento e ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche e adotta le misure necessarie per assicurare in tali ambiti il rispetto dei requisiti minimi previsti dal presente decreto.»
1. Dopo l’articolo 5-bis del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 introdotto dall’articolo 4 della presente legge, è inserito il seguente: «Articolo 5-ter. – (Diffusione delle informazioni). – 1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali e le organizzazioni ed associazioni di cui all’articolo 5, e di concerto con esse, adotta le iniziative necessarie volte alla diffusione delle informazioni sui luoghi di lavoro, anche mediante campagne informative sul territorio nazionale, allo scopo di assicurare che le disposizioni di cui al presente decreto siano portate all’attenzione dei soggetti interessati.»
1. Dopo l’articolo 7 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è inserito il seguente: «Articolo 7-bis. – (Disposizioni finali). – 1. Sono nulle tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento di cui al presente decreto contenute nei contratti collettivi di lavoro, nei regolamenti aziendali, nei codici di comportamento, nei codici deontologici. 2. Sono altresì nulle ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile le clausole contrattuali contrarie alle disposizioni del presente decreto.»
Vedi: Gazzetta Ufficiale |
Piero Pirotto, 2003
Il Governo mostra la sua faccia peggiore: la destra becera vince anche nell’applicazione della legge di lotta alla discriminazione sul lavoro. Non ho grandi frequentazioni nella destra italiana e mondiale in genere, ma mi ero illuso che questa occasione il Governo del Berlusca non la perdesse. Invece la parte più becera e reazionaria di chi in questo momento ha il potere nel paese non ha resistito ad una ghiotta occasione: certo che aumentiamo le tutele antidiscriminatorie nei luoghi di lavoro, ma con un sacco di se ed un sacco di ma… davvero troppi. In breve la storia è questa: nel 2000 l’Unione Europea impone ai paesi membri di adeguare la propria legislazione in tema di tutela antidisciminatoria nei luoghi di lavoro. Nello specifico inserisce anche l’orientamento sessuale tra le cause non accettabili di discriminazione insieme a sesso, religione, credo, pensiero politico, etnia ecc. Indica come le legislazioni devono essere adeguate: tempo limite il 2003. L’Italia arriva quasi buon ultima e decide che non sia il Parlamento a proporre una legge per adeguare la nostra legislazione, ma delega il Governo ad adeguare le leggi secondo quanto dettato dall’Unione Europea. La proposta sembrerebbe normale in un paese con anche una destra moderna ed attenta: ma siccome in Italia questo non è, dare delega al Governo significa dar loro mano libera perché si cerchino tutte le possibili soluzioni a mantenere una situazione di non discriminazione apparente. Le associazioni (anche e soprattutto InformaGay attraverso il CERSGOSIG, il suo centro giuridico) cercano di collaborare perché il decreto legge del Governo non diventi un disastro, ma niente da fare, quello approvato all’inizio di luglio ad un disastro assomiglia molto. Si recepiscono i principi generali della direttiva comunitaria e quindi si inserisce anche l’orientamento sessuale tra le cause di non discriminazione (e per la prima volta nella legislazione italiana in maniera esplicita), ma si inseriscono anche tutta una serie di articoli talmente ambigui che l’applicazione di questo decreto anziché essere un miglioramento rischia di trasformarsi in un boomerang. Intanto per la prima volta si rende esplicito il fatto che nei lavori quali le forze armate e di polizia, l’orientamento sessuale può risultare un impedimento: quindi cari finocchi e lesbiche di polizia ed esercito, se avete votato questo Governo cominciate a beccarvi questa prima mazzata diretta sulla fronte. Poi si fa un pericoloso paragone tra pedofilia ed orientamento sessuale: certo questa legge sembrava l’occasione giusta per ricordare a tutti che i deviati sono deviati in tutti i sensi… un bel segnale davvero da chi sbandiera modernità e libertà ogni volta che apre bocca… attenzione alle mosche che da li possono uscire! Tutto questo con un paio di articoli di legge che lasciano le maglie talmente larghe rispetto alla possibilità di vedere tutelati i propri diritti da far venire i brividi. Non sono un giurista, non entro nel dettaglio, ma mi permetto una piccola riflessione. Questa cosa è passata completamente sotto silenzio, nessun dibattito, nessuna campagna stampa, solo l’iniziativa della CGIL a cui il movimento GLBT ha aderito: il risultato è stato fallimentare. Questa volta non addosso colpe, ma responsabilità: il governo ha deliberatamente espresso il proprio pensiero, quello nascosto ed inconfessabile di chi pensa che ci debba essere un trattamento diverso. Chiedo a tutti coloro che omosessuali e transessuali hanno dato il voto a questa coalizione di fare una riflessione: non auguro a nessuno problemi sul lavoro dopo questa legge, ma spero che tutti ci si renda conto che ora si è tutti un po’ più discriminati. Non sono un difensore dell’attuale minoranza, all’epoca sono stato molto critico sulla loro azione di Governo: in 5 anni non hanno fatto nulla per noi, neanche mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale, ma quanto successo in questi giorni è che si rischia veramente di non avere mai fine al peggio. Il tutto vale la pena di una riflessione! Fonte: InformaGay - Vedi: Gazzetta Ufficiale |
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